Barbera d’Asti in fermento: viticoltori e aziende preoccupati dalla crisi, centomila ettolitri di giacenze, necessità della nuova doc Piemonte Rosso, di maggiori spazi nella Gdo (anche con aiuti pubblici) e di un piano di rilancio e comunicazione da due milioni di euro. Nostra intervista esclusiva al presidente del Consorzio di tutela, Enzo Gerbi

inserito il 21 Ottobre 2009

Enzo Gerbi

Enzo Gerbi (Internet)

La riscossa della Barbera d’Asti passa attraverso un piano di rilancio da due milioni di euro e la collocazione sul mercato di centomila ettolitri di giacenze sfruttando la creazione di Piemonte Rosso, una doc “base” da cui far partire una vino di consumo quotidiano che garantisca reddito e stabilità al comparto. Sono gli spunti di discussione che emergono dall’intervista concessa a Sdp da Enzo Gerbi, enologo, direttore della cantina sociale “Sei Castelli” di Agliano Terme (Asti) e presidente del Consorzio dei Vini d’Asti e del Monferrato che raggruppa circa 130 aziende enologiche.

Presidente Gerbi, partiamo dai numeri. Quali sono i volumi della Barbera d’Asti?

«Nel 2008 si sono prodotti circa 229mila ettolitri di vino, erano 282mila l’anno prima. La media è attorno ai 250/260mila ettolitri l’anno. In tutto si producono 15 milioni di bottiglie»

Però si parla da mesi esplicitamente di una grave crisi della Barbera. Realtà o forzatura?

«Nessuna forzatura. Purtroppo è tutto reale. Per fortuna non ci sono stati i prezzi minimi che qualcuno ha messo in giro, ma le quotazioni, a parte i picchi di eccellenza, sono precipitate e questo ha messo in sofferenza il settore»

Non sarà dovuto anche al quadro quanto meno variegato delle denominazioni della Barbera d’Asti: docg per Asti e Monferrato Superiore, doc per Asti, Monferrato e Piemonte, senza contare che la denominazione Barbera comprende Alba, Colli Tortonesi e zone della Lombardia…

«La docg ha messo paletti ben precisi. Il guaio è che ci sono circa 100 mila ettolitri di giacenze, un “polmone” che va ricollocato sul mercato nella maniera più opportuna. Per questo ci serve una doc di base, il Piemonte Rosso che associa il nome della regione alla ripologia del vino»

Un’altra doc. Non si farà ancora più confuzione?

«No. La Barbera d’Asti ha un ventaglio di produzione molto ampio. Si va da un ottimo prodotto destinato al consumo quotidiano, fino alle eccellenze della tipologia Superiore docg. Tutte hanno la denominazione Barbera. Per questo bisogna fare chiarezza e stabilire una nuova doc base, Piemonte Rosso appunto, che raccolga le produzioni indirizzate verso un mercato più di largo consumo. È un progetto che risolverebbe molti dei problemi del settore, a partire dal polmone da centomila ettolitri oggi stoccati nella miriade di cantine e case vinicole che compongono il territorio di produzione della Barbera d’Asti. Mi auguro che si arrivi entro alcuni mesi alla doc Piemonte Rosso»

Ma non c’è il rischio di svilire il prodotto?

«Collocare vino doc nel settore del vino quotidiano non significa svenderlo. A questo serve la doc Piemonte Rosso. Poi bisogna conquistare spazio nella grande distribuzione (Gdo) dove ci gioca la partita dei “vini da tutti i giorni”. Ne va del futuro del comparto»

Per avere spazio nella Gdo, però, bisogna pagare…

«Su questo e non su altro, secondo me, si dovrebbe chiedere l’aiuto della Regione Piemonte»

La accuseranno di invocare l’assistenzialismo di Stato…

«La sopravvivenza economica di tante aziende agricole e vinicole è un fatto che coinvolge tutta la comunità, nessuno escluso, che va affrontare come un’emergenza sociale»

Nel frattempo, però, la sensazione è che le aziende vinicole della Barbera siano ferme, senza idee né progetti. Il Consorzio dovrebbe essere di stimolo. Che cosa state facendo?

«Il problema è che questo immobilismo è dettato dalla crisi del mercato che chiede un taglio deciso dei prezzi. Richiesta che preoccupa aziende e viticoltori, già alle prese con un’impasse economico con pochi precedenti. Per questo ho proposto alla filiera un autofinanziamento per avviare una campagna di comunicazione. Ho fatto i conti: da aziende e viticoltori si poteva raccogliere un milione di euro, un altro sarebbe arrivato dai contributi europei. Con due milioni si possono fare interventi mirati importanti, in Italia e all’estero»

E che fine ha fatto la sua proposta?

«È stata bocciata. Aziende e agricoltori, per ora, non se la sentono di decurtare il proprio margine di guadagno già pesantemente attaccato dalla crisi. Io però non demordo e riproporrò il progetto convinto come sono che gli investimenti si fanno proprio nei momenti di crisi. Altrimenti si rischia che i concorrenti rubino spazio commerciale, in Europa e nel mondo»

A proposito, dove si vende la Barbera d’Asti?

«L’Italia assorbe il 66% per della produzione. Ma quello che mi preoccupa è che si beve Barbera d’Asti sono nel Nord Ovest. Nel resto della Penisola no. In Piemonte, invece, spesso e volentieri, si consumano vini di altre regioni o, addirittura, stranieri. Fa parte della curiosità enologica dei piemontesi, certo, ma in qualche caso un po’ d’amor proprio e di sano “regionalismo” non guasterebbero. All’estero “tira” la Germania, con un 23%, che però richiede vini di qualità a prezzi concorrenziali, seguita da Usa, 14 e Gran Bretagna, 10%. È significativo il dato dei Paesi bassi e della Scandinavia: la Danimarca da sola fa il 13%, ma insieme a Olanda (7), Belgio (4), Svezia e Norvegia (2), si va al 28%. Questi segnali dovrebbero farci riflettere. C’è una parte dell’Europa del Nord che ama la Barbera d’Asti e verso questi mercati si dovrebbero avviare azioni di comunicazione e promozione. Del resto sono molti i turisti che arrivano in Piemonte da quell’area e che, addirittura, hanno comprato casa qui»

E il resto del mondo? Cina. Asia e Russia…

«Sono mercati interessanti, ma per la Barbera d’Asti ancora lontani. Tuttavia, a livello imprenditoriale, sono convinto che si dovrebbe trovare la forza per fare almeno dei tentativi di test»

Parliamo dell’ultima vendemmia.

«Ottima. Abbiamo raccolto grappoli sani e di prima qualità da cui nasceranno vini di qualità eccelsa»

Si discute se variare le rese per ettaro dell’uva. Lei che ne pensa?

«I 90 quintali ad ettaro per la Barbera d’Asti e i 130 per la tipologia Piemonte Barbera per me sono più che sufficienti per fare ottimi vini»

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

4 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Adriano Salvi 26 Ottobre 2009 at 09:10 -

    Rimango perplesso sulla denominazione Piemonte Rosso….vedremo….ma come ho detto non è questo il nocciolo della questione….sono i produttori che debbono attivarsi e fare sistema, altrimenti non si andrà da nessuna parte….vivacchiando alla belle e meglio in un contesto sempre più affollato da concorrenza molto agguerrita e che non siferma “perchè c’è la crisi”…dovrebbe essere il contrario anche da questi parti….ma purtroppo pochi lo capiscono….il sostegno pubblico, sempre evocato in questi frangenti, non è che possa far miracoli…ho sempre pensato che la Barbera abbia ampi spazi di crescita di mercato (ancora oggi) in Italia ed all’estero…ma se non si cercano è dura…e le troppe aziende agricole che producono poche miliaia se non centinaia di bottiglie da sole non hanno molte possibilità…Slow Food ha annunciato che nel 2010 farà una nuova guida senza punteggi e che spingerà affinchè aumenti la vendita diretta del vino presso la sede del produttore….è una buona idea, difficile da realizzare…ma sempre meglio che niente, se non altro ci sarà il supporto di chi sa comunicare…..

  2. luigi 22 Ottobre 2009 at 16:10 -

    I punti sostanziali sono due e di difficile connubio ma che parimenti debbono essere perseguiti: far coesitere una politica di sostegno di un vigneto tra i più belli del mondo in fase di drammatico declino e la capacita di sopravvivere in un regime di libero mercato.
    il primo traguardo non può prescindere da interventi di sostegno per lo meno finalizzati ad evitare il dissesto e la “selvificazione”, Alto Adige docet, con masi posti fino a 2000 mt di quota.
    il secondo si puo ottenere unicamente facendo massa critica ed ottenendo visibilità in una miriade di proposte/denominazioni/vitigni provenienti ormai da tutte le parti del mondo, grazie anche ad un nome (Piemonte) molto più conosciuto.
    lunga vita alle piccole appellazioni ed alla biodiversità, sono un fan del grignolino, ma come pensiamo di sopravvivere quando oggi mi viene comunicato che un grande retailer che distribuisce vini di tutto il mondo ha deciso di ridurre le referenze da 70 a 50???

  3. filippo 21 Ottobre 2009 at 16:22 -

    Caro Adriano, anche questa volta concordo con te, soprattutto quando sottolinei l’assenza di comunicazione, che poi è il male storico delle imprese piemontesi e non solo del settore vinicolo. Epperò l’idea del Piemonte Rosso (Bresso a parte) a me stuzzica. Del resto le Barbere non sono tutte uguali e, forse, una nuova doc che non si chiama Barbera potrebbe chiarire un po’ le idee al povero consumatore che già deve districarsi tra tante, troppe denominazione (Dolcetto docet!). E non mi si venga a dire che più ampia è l’offerta e meglio è. È una baggianata solenne inventata da chi ama più il proprio campanile che la sua terra.

  4. Adriano Salvi 21 Ottobre 2009 at 15:23 -

    Mah….questa iniziativa del “Piemonte Rosso” francamente mi lascia alquanto perplesso….ho più di qualche dubbio che serva a smaltire giacenze, se fosse, ovviamente nei sarei ben lieto. Temo invece che un altra doc, sia pure, è il caso di dire “di ricaduta” , finisca per aumentare la confusione nel consumatore…già alle prese con fin troppe denominazioni bislacche e di difficile interpretazione….questo Piemonte Rosso potrebbe aver qualche successo se adottato come vino ufficiale dalla Bresso in vista dell’ormai prossima campagna elettorale….scherzo ovviamente….ma l’altra notizia molto più preoccupante è che i produttori non hanno intenzione di sborsare un cent in promozione… leggo che anche il presidente Gerbi è contrario a questo atteggiamento e tornerà alla carica….speriamo che convinca i soci del Consorzio che sono proprio i momenti di crisi quelli in cui occorre far valere i propri prodotti sul mercato nazionale ed estero, se così non sarà altre aree vitivinicole non solo in Italia ma dall’estero, ma anche piemontesi saranno ben liete di prendersi il mercato di chi aspetta Godot…….

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