Asti spumante e la crisi del vino. Due argomenti che sono collegati. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Bordeaux. Ma le cronache dei giornali non hanno detto tutto, anzi hanno detto davvero poco. Noi di Sdp vi spieghiamo perché.Cominciamo dalla crisi del vino. A Sdp una fonte che vuole rimanere anonima, al di là dei soliti eno-slogan lanciati da qualche quotidiano che invitano all’ottimismo, non solo ha confermato il periodo di “lacrime e sangue” del settore, ma anche fornito precise indicazioni rispetto alle grandi partite di vino che sono state trattate in quel di Bordeaux. In particolare i vini da tavola spagnoli e del Sud della Francia, che, insieme agli italiani, sono quelli che hanno maggiore quote di mercato mondiale (e si badi bene che il vino nel mondo è e resta un consumo elitario) sembra siano passati di mano all’ingrosso a prezzi molto bassi, pare, secondo la nostra fonte, tra i 16 e i 20 centesimo al litro. Un’ecatombe. «E i prezzi avrebbero potuto scendere di più se non fosse che la fiera ha chiuso i battenti» ha commentato amaro il nostro informatore. Per il resto è stata confermata la crisi degli espositori, del vino in bottiglia con prezzi medio alti. Il Barolo starebbe segnando il passo a favore di Barbera e Dolcetto. C’è chi annuncia riprese che, però, allo stato, appaiono ancora di là da venire.
Ora parliamo l’Asti. Al Vinexpo grande vetrina enologica che si è chiusa il 25 giugno scorso a Bordeaux, si è parlato anche dello spumante italiano più venduto nel mondo. Il presidente del Consorzio di tutela, Paolo Ricagno, ha ammesso cali in terra russa. Ma ha anche detto che non c’è da preoccuparsi. Il 12 luglio si parlerà di rese e prezzi per ettaro delle uve destinate a diventare Asti e Moscato docg. Lça trattativa non si presenta facile. Da una parte ci sono i contadini che si chiedono dove sono i risultati del piano di rilancio dell’Asti da 40 milioni di euro avviato dal Consorzio, dall’altra ci sono le aziende spumantiere che, c’è da scommetterci, tenteranno di pagare meno e ottenere più prodotto. Un classico, insomma. Ricagno difende i progetti consortili e invoca l’unità della parte agricola. Mah. C’è anche da considerare quello che alcuni osservatori ormai chiamano il “farinettismo”, cioè la filosofia promo-commerciale di Oscar Farinetti, uomo d’affari cuneese, buon amico di Carlo Petrini di Slow Food, patron di Eaitaly, il più grande supermercato di prodotti tipici italiani, ora anche al timone di Fontanafredda, che continua a sparare ad alzo zero contro Consorzio dell’Asti e colleghi produttori che avrebbero “sputtanato” (parole di Farinetti) l’Asti spumante. Che dire? In questi giorni il dibattito tra Farinetti e chi (Ricagno, enti locali, altri produttori) difende il comparto, è continuato, a tratti anche con toni aspri. Si è auspicato al rilancio (uffa!) dello spumante piemontese dolce docg, si è detto che bisogna valorizzare il suo territorio (ri-uffa!); si è sostenuto che si devono cercare nuovi mercati (e bbbasta!). Poi, dopo tutta questa fuffa, ecco che arriva il comunicato ufficiale della Douja d’Or, il concorso enologico che si terrà a settembre ad Asti. Ebbene, non solo sono state meno di una decina le aziende che hanno presentato il proprio Asti spumante all’unica gara vinicola che si svolge nella città che porta il nome del prodotto in questione, ma tra gli “Oscar della Douja”, il più importante riconoscimento del concorso, non c’è neppure un Asti. Robe da matti! Forse il “farinettismo” ha contagiato i giurati astigiani che non sono riusciti, bontà loro, a trovare un Asti degno di premio. A loro il premio per il più bell’autogol enologico dell’annata.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)