La cronaca è semplice: succede che a due mesi dalla vendemmia del moscato in Piemonte va in scena la solita manfrina. Da una parte le industrie dall’altra i viticoltori, nel mezzo un comparto, quello dell’Asti docg, che non sa quale sarà il suo futuro. Tutto regolare, come da copione, alla fine si è sempre trovato l’accordo per andare avanti. Se non fosse per il non trascurabile fatto che le vendite sono precipitate attorno ai 50 milioni di bottiglie. Erano quasi 90 solo 4 anni fa. E le scorte sono alle stelle. Cosa è successo? Per qualcuno è colpa delle sanzioni alla Russia e della crisi del rublo. Altri aggiungono la crisi economica nazionale. Poi ci sono i complottisti e i colpevolisti. I primi tendono a credere che la crisi dell’Asti docg, unico spumante italiano a perdere in un panorama di crescita generale, sia dovuta a un progetto, un disegno di una qualche fazione che vuole buttare giù il comparto per piegarlo al proprio volere. I colpevolisti si limitano a indicare, appunto, i colpevoli, a loro modo di vedere, della crisi, gente che, sempre a loro avviso, ha impiegato male le risorse pro sviluppo del comparto. Il risultato di tutto questo gran calderone è il caos, che va a discapito dell’Asti docg in balìa ogni refolo di vento.
E ora una cronaca di quello che è successo e sta accadendo, ovviamente la nostro punto di vista che, come al solito e ampiamente e lecitamente non condivisibile e criticabile. Grosso modo quattro anni fa la pubblicità all’Asti (Rai, Mediaset, giornali e altri media) fu stoppata da alcune aziende multinazionali. Subito dopo il consorzio fu blindato con con uomini provenienti da quelle multinazionali. Un caso. A nostro avviso no. Ma è un fatto che quando la pubblicità si faceva le perdite, quando c’erano, erano contenute.
Da allora, cioè da quando l’Asti ha perso la “voce”, nonostante siano cambiati presidenti e direttori, la discesa dell’Asti docg negli “inferi” è stata costante e terribile. Di chi è la colpa? Un po’ di tutti, cioè di nessuno? O ci sono nomi e cognomi. Secondo noi un po’ una cosa un po’ l’altra.
Le aziende si sono disamorate dell’Asti sostanzialmente perché sono in mano a manager ai quali del territorio importa poco. La crisi è iniziata sulla base delle questioni di macroeconomia, vero, ma è stata acuita dal cambio di gestione di molti grandi marchi. E i manager, almeno quelli che sono in auge ora, preferiscono vendere le cose facili piuttosto che rompersi la testa su quelle difficili, come si faceva una volta. Ergo: Prosecco a gogò e l’Asti vada come vada. Naturalmente le dichiarazioni pubbliche sono di altro segno. Ci mancherebbe.
Vogliamo parlare dei vignaioli? Quanti di quelli che si spezzano la schiena nelle vigne di valle o nei surì, sono disposti a fare qualità assoluta, rese a parte? Quanti di loro sono disposti a conferire alle cantine solo il loro prodotto migliore lasciando in vigna quello mediocre o pessimo? Quanti di loro si fanno davvero promotori dei vini fatti con le loro uve? Quanti di loro hanno coscienza che se vanno male le aziende spumantiere vanno male anche loro?
Capitolo cooperative. Avranno capito finalmente che cosa fare da grandi? Avranno capito che non possono cantare e portare la croce? Se imbottigli datti da fare e vendi e scontrati pure con i grandi e medi produttori. Predendo i tuoi rischi e i vantaggi. Sennò fai il fornitore di vino a libro paga delle grandi industrie che, gioco forza, ti imporranno le proprie regole. È il mercato del lavoro, bellezza!
Vitivinificatori in proprio : il moscato non è un taxi. È una professione di fede. Punto. Non c’è altro da aggiungere. se ce l’hai nelle vene di danni l’anima e non fai il furbo facendo il “Piemonte”. Fai solo docg, perché quella è la tua “religione”.
Associazioni di categoria: troppo impegnate a farsi la guerra tra loro per difendere gli interessi degli associati. I “gialli” un po’ fanno melina un po’ i gradassi forti della loro gioiosa macchina da guerra. I “neri” provano a stare al passo, ma con meno astuzie, pragmatismi e risorse ostaggio della loro inguaribile noblesse oblige. I “rossi” ancora non si sa che cosa hanno deciso, devono discuterne. Per anni. Poi ci sono quelli che non hanno colore o li hanno tutti, almeno in apparenza. Ci sono i “trasparenti” che si sentono ormai degli zombie; e gli “urlatori” che hanno smesso di urlare e dicono che faranno qualcosa, magri insieme ad ex nemici. Buona strategia, che pare impensierisca non poco le Case spumantiere non abituate ad avere davanti una parte agricola in buona parte apparentemente coesa. Forse però gli urlatori ancora non sanno bene né cosa né quando faranno quel qualcosa da fare.
Consorzio di tutela: capitolo triste. Non è più percepito come ente autorevole e vuole dettare le regole. Vuole comunicare dicendo nulla. Sogna confini lontani ed esosi, ma cava pochissimo dal buco. E, giustamente, si prende critiche feroci. Non ha coraggio di schiacciare il bottone reset/restart. Come un computer obsoleto in crash è fermo in modo perenne e preoccupante, in stallo, ma consuma corrente.
Regione: va avanti con il freno tirato sperando che gli altri accelerino. Invece quelli hanno messo la retromarcia e lei, la Regione, manco se ne è accorta. Chapeau.
Intanto siamo a fine giugno. Tra due mesi si vendemmia e siamo ancora qui a parlare (parlare) di rese, giacenze, responsabilità, fallimenti. Per fortuna l’uva matura senza parlare. Altrimenti chissà che direbbe.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
fotografie Vittorio Ubertone
Hai descritto perfettamente tutti gli attori del comparto. Oltrepiu stiamo vedendo tutto il contrario di tutto. Prima l industria ed una parte agricola chiedevano rese alte, l altra parte agricola rese basse. Ora l industria chiede rese basse e tutta la parte agricola rese piu alte,(sicuramente avranno interessi loro per fare cosi) dico loro perche il gatto e la volpe si sono alleati nonostante siano in guerra tra loro. Io come molti altri non ci sentiamo piu rsppresentati ne del gatto ne dalla volpe. Bisogna rinnovare tutto e tutti. Prodotti nuovi personaggi nuovi. Questo e il pensiero di molti.
Filippo ti darei un bacio!! Scherzi a parte, nell’articolo da mettere nelle bacheche di tutte le aziende del comparto, in tutte le piazze e nei bar dei 52 comuni…. Leggiamolo tutti con attenzione e tristezza, rappresenta ciò che siamo… Né più né meno!