Il 23 febbraio si saprà se i Comuni del Moscato sono 52 o 53. Lo dirà una sentenza del Tar, il tribunale regionale amministrativo, del Lazio, chiamato ad esprimersi in merito all’ingresso della città di Asti nella cerchia ristretta, almeno fino ad oggi, dei Comuni della zona di produzione dei pregiati grappoli da cui si ottiene Asti spumante e Moscato d’Asti docg.
A dare notizia, con una dichiarazione alla redazione di Sdp, dell’imminente sentenza è stato Giovanni Satragno, presidente della Produttori Moscato (Assomoscato) la società che raggruppa tremila viticoltori della zona classica di produzione. Tutto è da ricondurre alla querelle nata due anni fa quando il Comune di Asti chiese di far entrare il proprio territorio nell’area di produzione, fino ad oggi limitata, secondo il rigido disciplinare basato anche sulla storica presenza del vitigno nelle zone maggiormente vocate alla sua coltivazione, ai 52 Comuni di Sud Astigiano, Acquese, Strevese e Albese.
La città di Alfieri, storicamente mai legata alla produzione di moscato, motivò la richiesta citando normative Ue che, secondo alcune interpretazioni, prevedono la presenza nella zona di produzione delle uve della città da cui il vino prende il nome. Come accade per Barolo o Barbaresco, tanto per restare in Piemonte. La richiesta di Asti, già due anni fa, provocò non poche proteste.
Ad opporsi furono soprattutto Assomoscato (viticoltori) e la maggioranza dei sindaci dell’associazione Comuni del Moscato. In molti sostennero che la richiesta di Asti andava verificata da appositi comitati, in Regione e al Ministero. Insomma andava rispettata una trafila. Anche perché accettare l’ingresso di Asti avrebbe significato aprire a possibili nuovi reimpianti di moscato bianco per vini docg.
Una roba da trattare con cautela.
Invece a maggio del 2008 l’allora ministro all’Agricoltura, Paolo De Castro, mentre il Governo Prodi, già caduto, gestiva la normale amministrazione in vista dell’insediamento del Governo Berlusconi, firmò un decreto con il quale includeva nella zona di produzione della docg Asti e Moscato l’intero territorio di Asti.
Un decreto che fu interpretato da viticoltori e Comuni “moscatisti” come un vero colpo di mano. In più visto che proprio nella zona di Asti ha una delle sue tenute (Castello del Poggio, www.poggio.it) Zonin, uno dei gruppi più importanti e potenti del panorama enologico italiano, con vigne in quasi tutte le regioni d’Italia e perfino negli Usa, non furono pochi a pensare che nella decisione del ministro fu decisivo il peso di un’azienda come Zonin. Illazioni, cattiverie o verità? Difficile appurarlo. Sia come sia a quel decreto Assomoscato e sindaci della zona “classica”, con l’appoggio anche di alcuni sindacati rurali, presentarono ricorso al Tar del Lazio, competente per fatti che riguardano il Governo. I contadini chiesero pure la sospensiva immediata del decreto, che, però, non fu concessa, anche se a settembre 2008 il Consiglio di Stato, in qualche modo, sembrò dare ragione a loro.
Come riporta Assomoscato sul suo sito (www.produttorimoscato.it): «All’udienza del 30 settembre 2008 – riferisce on-line l’associazione -, il Consiglio di Stato, Sez. VI, con ordinanza n. 5030/08, ha espressamente escluso che per l’annata in corso possa avvenire nel Comune di Asti produzione di vino sotto la denominazione Asti e Moscato d’Asti, e rinviato per la decisione finale del ricorso al Tar Lazio, senza disporre sospensione.
Testualmente l’ordinanza del Consiglio di Stato dispone che: “nessuna produzione di vino potrà avvenire nel Comune di Asti sotto la denominazione docg nella presente annata”. Ritenendolo comune interesse non solo dei produttori, ma anche di tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti, la Produttori Moscato, tramite i propri legali di fiducia, sta assumendo tutte le iniziative possibili al fine di accelerare la definizione nel merito del giudizio da parte del Tar Lazio. In attesa di ciò, Produttori Moscato auspica che gli enti ed organismi competenti, e comunque tutti i soggetti interessati, si attengano alla decisione del Consiglio di Stato, preservando quindi il diritto dei produttori a che la decisione finale del ricorso possa essere serenamente resa».
Una posizione fortemente critica, ribadita dalle dichiarazioni rilasciate a Sdp dal presidente Satragno: «Quel decreto – ha detto – è stata una vera legge ad personam che, se confermata dal Tar, costituirà un pericoloso precedente di forzatura della zona di produzione, in barba alla legge che regola le docg e con ripercussioni incontrollabili. Nel territorio di Asti, per altro, è stato appurato esistono 24 ettari di vigneto moscato, una risorsa appetibile che con la docg alza enormemente il suo valore, sia come produzione di uva che in termini di diritti di reimpianto».
Ora si vedrà che cosa sentenzierà il Tar il prossimo 23 febbraio, se cioè, i giudici, riterranno sufficiente chiamarsi “Asti”, per coltivare i grappoli di moscato a docg. Se sarà così non sono escluse richieste di entrare nella zona classica anche da parte dei Comuni di Buttigliera d’Asti, San Damiano d’Asti, Villafranca e Villanova d’Asti, tutti nel Nord della provincia di Asti, ben distante dalla zona classica di produzione del moscato. Infine non è improbabile che le parti non soddisfatte dalla sentenza presentino appello alla decisione del Tar.
In questo caso il duello eno-giuridico andrebbe avanti, ma nel frattempo la vendemmia di moscato docg potrebbe svolgersi anche nelle vigne presenti ad Asti, 53° Comune “virtuale” – ma produttivo – del Moscato.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it) info@saporidelpiemonte.it