Angelo Gaja non è tipo da saluti formali. Circonda, sommerge e travolge di eno-passione l’interlocutore. E a caldo ti dice che non vuole essere intervistato, «rump nen le bale, giurnalista!», poi, invece, parla un po’ di tutto e dice che…Che a Bordeaux l’Italia è sempre al top e che noi “gufi” abbiamo torto. «Guardate che l’Italia in giro per il mondo sta facendo la sua parte – assicura e avverte -. Certo non bisogna abbassare la guardia sennò ci sorpassano. Però siamo messi bene. Meglio dei cugini d’Oltralpe che stanno soffrendo un po’. Noi esportiamo più di loro. Se non aumentano la quota export saranno guai per loro».
Insomma come al solito i francesi s’incazzano quando a sorpassarli è un italiano, che sia Bartali, Materazzi o un Barolo d’annata.
Con Gaja, tra operatori d’ogni parte del mondo che ci tengono a fare la foto con lui, quasi fosse la Mole, c’è tempo di parlare del Piemonte. «Abbiamo cose da registrare, ma dobbiamo andare avanti come sappiamo fare noi» sentenzia
E dei rossi nobili, Barolo e Barbaresco? «Sono la nostra eccellenza…». Okkei. E della Barbera? «Ho già detto e scritto. Ora vediamo come si aggiusta la storia». E vabbè.
E del Moscato e dell’Asti? «Non ho notizie di prima mano. Sono lontano dal comparto – ammette il “re” di Barbaresco -, ma – aggiunge – sono vini talmente particolari, originali e graditi al pubblico che incrementeranno certamente il loro successo al livello mondiale». Speriamo.
E quando gli chiedi se il Piemonte vinicolo potrebbe fare di più, presentarsi meglio e più unito ai mercati internazionali, scuote la testa e fornisce l’ennesimo Gaia-pensiero controcorrente: «Ma guardatevi intorno! Qui a Bordeaux c’è molto Piemonte, segno che i piemontesi ci sono e hanno voglia di fare».
E se lo dice Gaia…
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)