Premi internazionali, vendite in crescendo, segnalazioni, critiche lusinghiere. Il vino piemontese sembra vivere una stagione positiva. Ecco i segnali, con qualche, immancabile, ombra. Ma cominciamo dalle note liete. I vini “made in Piemonte” sono apprezzati in tutto il mondo, non è la soluta frase fatta, ma lo testimoniano le vendite che crescono soprattutto per gli spumanti, Asti e Moscato docg in testa, insieme a riconoscimenti internazionali che ultimamente hanno premiato case vinicole storiche conosciute per le produzioni selezionate ancorché limitate.
È il caso di due realtà astigiane: la Clemente Guasti, maison fondata nel 1946 con cantine e vigneti a Nizza Monferrato, e La Canellese, azienda a conduzione famigliare, attiva dal 1957, originaria di Canelli, ma con sede a Calamandrana, tra le poche aziende enologiche specializzate esclusivamente in vermouth, liquori e vini aromatizzati.
Per quanto riguarda Guasti il suo Barcarato, Barbera d’Asti docg Superiore Nizza 2006 è stato premiato con il massimo del punteggio nella categoria Barbera nell’ambito della manifestazione Prague Wine Trophy di Praga, che vedeva in lizza i vini qualitativamente più importanti e noti a livello europeo e quelli di Oltreoceano.
Invece i vermouth della linea “Vento Solare” de La Canellese, realizzati secondo la ricetta tradizionale piemontese, sono stati premiati al Prodexpo di Mosca, per «l’alta qualità e il packaging originale».
Ma non finisce qui. Nell’ultimo numero in edicola di Panorama, la collega Fiammetta Fadda, nel suo servizio “C’è del nuovo in cantina” sui vini emergenti di produzione biologica – ancorché i vini bio di fatto in Italia non esistono, perché non c’è ancora una regolamentazione ufficiale come ha dichiarato pubblicamente il parlamentare del Pd Massimo Fiorio della Commissione Agricoltura della Camera – indica ben quattro maison piemontesi: l’alessandrina Ricci con il suo Giallo di Costa; le albesi Parusso e Pecchenino con due selezioni 2007 di Barolo e Favaro-Le Chiusure con l’Erbaluce di Caluso 2008.
Peccato che la Fadda non abbia segnalato nessun bio-spumante emergente – eppure ci sono, come ad esempio l’Asti docg biologico Di Michela di Torelli (Bubbio) – proprio della regione che lo spumante italiano lo ha inventato. Colpa del solito basso profilo dei bogia-nen piemontesi. Forse. Certo è che in tema di bollicine veneti e lombardi sono molto più attivi e presenti, dimostrazione ne sia che su quattro spumanti bio segnalati due sono lombardi, uno veneto e, utite udite, uno emiliano. Del Piemonte neppure l’ombra.
Siamo contenti? Sì, siamo contenti, non fosse per le solite diatribe che agitano, inutilmente e inspiegabilmente il mondo del vino piemontese, più legate a faide personali che a reali esigenze del comparto. Speriamo che passino come il maldipancia dei neonati.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)