Al netto di chi vorrebbe una “guerra” tra i territori vinicoli piemontesi – il riferimento è alla querelle tra il Consorzio Piemonte Land e i Consorzi di Barolo e Roero (leggi qui e qui) – ci sono i risultati di un 2021 che, nonostante la pandemia da virus Covid, ha fatto segnare performance notevoli per tutti il comparto vino italiano e piemontese in particolare. Oggi il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, ha diffuso una nota nella quale dà numeri e riferimenti per un’analisi positiva dell’anno trascorso. Al top, almeno secondo quanto dice l’ente consortile, tutte le denominazioni tutelate, grandi e piccole con, anzi, picchi di eccellenze, come il Ruché e il Nizza docg che sono davvero indicative di quanto i vitigni autoctoni del Piemonte, di cui la barbera è la bandiera, possano rappresentare il futuro del settore, dalla vigna agli scaffali.
Qui la versione integrale del comunicato del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.
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I dati 2021 del Consorzio di Tutela
La Barbera d’Asti più forte della pandemia, si chiude un altro anno con tanti record
Il Ruchè docg abbatte la storica barriera del milione di bottiglie, mentre si registrano ulteriori exploit nella produzione di altri “brand” della vasta gamma di Doc (9) e Docg (4) tutelati dal Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.
Contemporaneamente si allarga la fetta dell’export (in primis verso i mercati di Nord Europa, Usa, Canada, Cina e Asia). E sempre più investitori sono attratti dalle opportunità offerte da questo territorio: 11 mila e 500 ettari (pari ad un terzo della superficie vitata Doc piemontese, distribuiti in prevalenza tra Astigiano e Alessandrino, ma con propaggini anche nel Cuneese e Torinese) in cui lavorano migliaia di vignaioli di centinaia di aziende (circa 400 aderiscono al Consorzio), per una produzione complessiva di 65 milioni di bottiglie (20 milioni di Barbera d’Asti).
Per dirla in termini meramente economici: un giro d’affari stimato intorno ai 400 milioni di euro, con un quarto dell’export di vino piemontese tutelato dal Consorzio.
Sono alcune delle curiosità statistiche che emergono dai dati della produzione 2021 censita dal Consorzio della Barbera d’Asti, guidato da Filippo Mobrici, a coronamento di un’annata segnata ancora dall’effetto pandemia. “E’ stato ovviamente un anno difficile, come per tutti, ma i vari indicatori ci dicono che non solo abbiamo tenuto le posizioni alla grande, ma il nostro Consorzio cresce in termini numerici e, soprattutto, qualitativi – spiega Mobrici -: questo significa che non solo paga la professionalità, ma la capacità che i nostri produttori hanno avuto di investire sul territorio, facendosi loro stessi ambasciatori di queste meravigliose terre Unesco. Qui non si tratta di celebrare un vino piuttosto che un altro. Ognuna delle nostre Doc e Docg ha peculiarità che le rendono uniche. Dobbiamo insistere su questa strada, nel solco della tradizione e del cambiamento e di uno straordinario lavoro collettivo. Tanto è vero che sono sempre di più gli imprenditori anche non astigiani che investono sui nostri vigneti”.
Le cifre Il Consorzio tutela 9 Doc (Albugnano; Cortese dell’Alto Monferrato; Dolcetto d’Asti; Freisa d’Asti; Grignolino d’Asti; Loazzolo; Malvasia di Castelnuovo Don Bosco; Monferrato; Piemonte) e 4 Docg (Barbera d’Asti; Nizza; Ruchè di Castagnole Monferrato; Terre Alfieri).
Tra i “marchi” che hanno fatto registrare incrementi significativi spicca la Barbera d’Asti Superiore che arriva a superare i 5 milioni di bottiglie (+ 5,6%). “Si tratta di una Barbera invecchiata per 14 mesi, con 6 di affinamento in botte, che conferma un trend positivo costante negli ultimi anni e che conferma come la qualità sia una delle componenti essenziali nel percorso di crescita” spiega Mobrici.
Fenomeno “Nizza”. A proposito di Barbere in grande evidenza il +13% fatto segnare dal “Nizza”: con i “barberisti” di 18 Comuni del Sud Astigiano, impegnati a produrre oltre 700 mila bottiglie “top di gamma” (prezzi medi intorno ai 20 euro a bottiglia): “E’ un dato che va oltre le nostre più rosee aspettative anche perché abbiamo avuto per lunghi mesi un blocco pressoché totale delle forniture ad alberghi e ristoranti, ovviamente causa Covid” svela Stefano Chiarlo, presidente dell’Associazione produttori del Nizza (vi aderiscono circa 70 aziende su una novantina in totale). Chiarlo (è anche vicepresidente del Consorzio, carica che condivide con Lorenzo Giordano) ringrazia i produttori dell’Associazione “per lo straordinario lavoro svolto” e il Consorzio per l’attività di tutela e supporto alla promozione e guarda con sempre maggiore interesse al mercato estero. Esportiamo la metà della produzione e siamo presenti in una quarantina di Paesi. Abbiano mercati, come quello americano, dove il Nizza è richiestissimo. E ci sono imprenditori americani o nord europei che acquistano i vigneti nelle nostre zone”.
Ruchè nella storia. Da vitigno quasi “dimenticato” fino agli Anni ’80, poi protagonista di una straordinaria ascesa fino a grandissimo rosso che ormai “fa tendenza”. “Per noi si è chiuso un anno speciale. Il traguardo del milione di bottiglie è finalmente realtà Siamo una trentina tra produttori e qualche imbottigliatore e per noi questo è un dato davvero speciale” sottolinea Luca Ferraris, presidente dell’Associazione produttori. Coltivato in sette Comuni (Castagnole Monferrato, Grana, Scurzolengo, Viarigi, Montemagno, Refrancore e Portacomaro, il paese di Papa Francesco), come ribadisce Ferraris “le potenzialità del Ruchè sono anche per noi ancora tutte da scoprire. Basti pensare che nei locali di Torino, su 10 bicchieri di rosso, sei sono di Ruchè”. “I clienti lo chiedono espressamente: vogliamo il Ruchè dicono. E il nostro vino piace in Asia come negli Usa, a testimonianza del fatto che è ormai un vero brand noto internazionalmente” racconta Ferraris.
Il “piccolo” Albugnano. Prodotto in una ristrettissima fascia di vigneti (4 soli Comuni: Albugnano, Pino d’Asti, Castelnuovo Don Bosco e Passserano Marmorito) da appena una ventina di produttori in quella che è chiamata la “Terra dei Santi” (in queste zone nacque san Giovanni Bosco) questo Nebbiolo non ha nulla da invidiare ai più celebrati confratelli albesi. “Dal 2017, quando abbiamo costituito l’Associazione produttori di passi in avanti ne abbiamo fatti molti” annota Andrea Pirollo, presidente dell’Associazione 549 che ha visto superare quota 60 mila bottiglie (+18%). E aggiunge: “La forza della squadra ci ha consentito di raggiungere obbiettivi neppure immaginabili. Dobbiamo cercare di crescere salvaguardando questo territorio unico anche per la sua biodiversità. Siamo a due passi da Torino e questa nostra sorta di enclave con i vigneti incastonati tra un territorio di boschi e pascoli è qualcosa di speciale”.
Boom di rossi, bianchi e rosati. Dai dati spiccano ulteriori elementi di curiosità. Come il +142% nel milione e mezzo di bottiglie raggiunto dal “Piemonte Rosato” che piace soprattutto ai cinesi, oppure i 2,4 milioni di bottiglie del Piemonte Rosso (+42%): un milione di bottiglie in più dei dodici mesi precedenti per questo prodotto che unisce varietà diverse (Barbera, Nebbiolo, Dolcetto, Freisa e Croatina). E come non citare il raffinato Piemonte Viognier: prodotto da un vitigno a bacca bianca, con origini serbo-romane (il primo “enologo” fu l’imperatore Marco Aurelio Probo), molto popolare in Francia, sta trovando ora molti nuovi estimatori anche sul mercato piemontese e non solo. E con 142 mila bottiglie prodotte il Viognier ha fatto registrare un incredibile +190% rispetto al 2020. Ancora più straordinaria la performance del Monferrato Nebbiolo: 200 mila bottiglie, 313% in più.
Piccoli miracoli di una produzione da grandi numeri e grandi vini nel segno del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato.