Consorzi vino Piemonte. Terremoto in PLand. Ascheri lascia, Barolo e Roero minacciano uscita. Strappo o zuffa? Intanto il Piemonte ci rimette… in immagine

inserito il 3 Gennaio 2022

La notizia era nell’ara da settimane, ma, a dirla tutta, avrebbe riguardato “solo” le dimissioni di Matteo Ascheri da presidente di Piemonte Land of Wine, il super consorzio che raggruppa tutti i consorzi vinicoli piemontesi e ne armonizza le attività promozionali.

SdP aveva contattato Ascheri prima di Natale per gli auguri di rito. Nessuna domanda inerente ai “si dice”, ma solo un rituale “ci sono novità?”. Ne avevamo ricavato un sibillino “sì, ma non posso dire. Ne parleremo dopo le Feste”.

Invece, come spesso accade, la notizia è trapelata (senza alcun comunicato ufficiale) dopo pochi giorni ed è stata sbattuta sulle pagine dei quotidiani, non solo, però, con la conferma delle dimissioni di Ascheri dalla presidenza di PLand, ma anche con l’annuncio dell’intenzione del Consorzio di Barolo e Barbaresco e del Consorzio del Roero (da sempre nella scia dei barolisti) di uscire dal super consorzio mettendo in vendita le proprie quote.

Annuncio accompagnato da dichiarazioni al vetriolo, da parte di Ascheri e Francesco Monchiero (presidente Consorzio Roero) che, in buon sostanza, hanno motivato il divorzio da PLand indicando una sorta di “incompatibilità” tra progetti, idee e filosofia langhetto-roerina, evidentemente considerati all’avanguardia e in grado di progettare il futuro del vino piemontese, e quella astigiano-monferrina che, Ascheri e Monchiero e i rispettivi CDA consortili non valutano all’altezza accusando i rappresentanti astigiani e monferrini in seno al CDA d PLand di non aver lasciato loro spazio di azione, accusa, per altro, rispedita al mittente. «Non è stato mai bloccato nulla» ha commentato laconico a SdP Filippo Mobrici, vice presidente di PLan di cui è stato presidente prima di Ascheri e che anche al timone del Consorzio della Barbera d’Asti.

Per Ascheri e Monchiero l’unica soluzione per sanare incomprensioni e opposte visioni sono state le dimissioni e l’annuncio di abbandono di PLand da parte dei rispettivi Consorzi.

Inevitabili i titoli sui media di una “guerra del vino” in atto di Piemonte con conseguenti elaborate teorie sulla contrapposizione tra Barolo e Barbera d’Asti, tra Langhe/Roero e Astigiano/Monferrato, con buona pace di tutta una serie di progetti che hanno visto questi territori collaborare, almeno a parole: dal sito Unesco, nato nell’Astigiano e sviluppato con la collaborazione di Langhe e Alessandrino; alla super ATL (Turismo) con Langhe Monferrato e Roero “complici” e le città di Alba e Asti a far da capitali più o meno equivalenti; alle fiere del Tartufo Bianco (d’Alba e del Monferrato). Insomma, nonostante tutto questo, in PLand sarebbe finita la “luna di miele” del vino, ammesso che ci sia mai stata, tra laghetti/roerini e astigiano-monferrini.

Le dichiarazioni di questi ultimi non si sono fatte attendere e hanno confermato forti maldipancia.

Paolo Ricagno, vicepresidente di PLand e presidente del Consorzio dei Vini d’Acqui (Brachetto), ha detto a SdP: «Non sono sorpreso dalla presa di posizione di Ascheri. Nel CDA c’erano da tempo tensioni a mio parere più da collegare a personalismi che a reali contrapposizioni di vedute. Io, da parte mia, avevo chiesto un incontro per valutare il boom di vendite che ha avuto il vino piemontese in periodo di pandemia. Una cosa che, a mio avviso, va analizzata. Nessuno ha dato seguito a questa proposta. Spero che ne parleremo al più presto».

L’auspicio di Paolo Ricagno, che era in predicato di essere eletto presidente di PLand, ma gli fu preferito Ascheri, potrebbe essere esaudito il 13 gennaio data in cui dovrebbe riunirsi il CDA di Piemonte Land che, però, al primo punto in agenda avrà di certo la “querelle” sollevata dai consorzi di Langa e Roero.

«Ne parleremo nella prima riunione utile del 2022» ha detto a SdP l’assessore regionale all’Agricoltura, Marco Protopapa che ha anche avvertito: «Piemonte Land ha senso se rappresenta tutto il mondo del vino, in caso contrario sarà da valutare. Della questione, comunque. si occuperà, insieme con me, anche il presidente Cirio».

La Regione prende dunque sul serio la crisi nel super Consorzio del vino piemontese che, a ben guardare, sembra avere radici legate non solo a visioni diverse, ma anche a vecchie diatribe di territorio.

Il Consorzio Piemonte Land of Wine nacque nel 2011, su stimolo della Regione Piemonte con la denominazione un po’ presuntuosa di Piemonte Land of Perfection, per dare sostegno pubblico al mondo del vino piemontese. Le malelingue sostennero che i barolisti avrebbero voluto essere parte di una strettissima elite in forza della propria leadership, altri assicurarono che il vasto mondo dell’Asti e del Moscato d’Asti e della Barbera d’Asti (a onor del vero parimenti conosciuto in Italia e all’estero) avesse fatto in modo di fare parte della partita insieme a una serie di mondi satellite che poi tanto satellite non sono più come i vini del Nord Piemonte e l’area del Gavi insieme a realtà tutt’altro che invisibili come l’Alta Langa o il Timorasso (oggi Derthona).

Alla fine si formò questa squadra con chi si sentiva (e lo era) CR7 e chi invece era considerato il Chiellini (tanta roba!) della situazione insieme al settore dell’associazionismo, Vignaioli Piemontesi (cooperative) su tutti, diciamo un nutrito e agguerrito centrocampo.

Le cose sono andate bene fino a quando non sono emerse aspirazioni più o meno legittime e opportune.

Che il mondo del Barolo e delle Lange abbia in qualche modo mal sopportato la presidenza di PLand (precedente a quella di Ascheri) dell’astigiano Filippo Mobrici, presidente della Barbera d’Asti, è stato sempre evidente. I segnali c’erano tutti.
Quando Mobrici propose la denominazione Piemonte Nebbiolo, i laghetti insorsero per difendere il primato del loro Langhe Nebbiolo. Ci furono botte e risposte attraverso i media e pure, si dice, caldissime riunione del CDA di PLand.
Alla fine se ne uscì con il Monferrato Nebbiolo che non accontentò nessuno.

Poi ci fu la storia delle uve nebbiolo che qualcuno voleva inserire nel disciplinare dell’Alta Langa, ipotesi caldeggiata dai molti (non tutti) barolisti che vedevano un limite nella possibilità di aggiungere solo una minima quantità di altre uve di territorio a Chardonnay e Pinot Nero uve classiche principale autorizzate per il Metodo Classico Alta Langa. Ci furono le solite polemiche. Qualche importante produttore di Alta Langa minacciò di uscire dal Consorzio. Alla fine tutto passò in cavalleria.

Quindi ci fu la vicenda, passata sottotraccia, del Moscato. Cominciò a circolare l’ipotesi di un Langhe Moscato che avrebbe potuto trovare casa nel Consorzio del Barolo. Immancabile la rovente incazzatura dei moscatisti. Anche questa idea fu abbandonata.

Come si può vedere i grandi territori del vino piemontese fanno (e hanno sempre fatto) fatica a fare squadra. Come ha detto qualcuno è storia vecchia, ma non è detto che non vada cambiata una volta per tutte.

D’altra parte molte aziende astigiane e monferrine hanno acquistato nella zona del Barolo e del Roero e molti barolisti e roerini hanno vigneti in provincia di Asti, nel Monferrato, a Gavi e nell’area del Timorasso. 

Inoltre anche la tesi, che sui media ha avuto qualche evidenza, secondo la quale albese e Roero sarebbero le terre dove ci sono Cantine orientate alla qualità, mentre Astigiano e Monferrato sarebbero area di Cooperative vinicole con, quindi, un approccio più dedito ai volumi, non è solo sbagliata, ma è anche antistorica e falsa in quanto le Cantine cooperative di tutto il Piemonte da anni praticano politiche di qualità estrema, in vigna e in Cantina. Dire il contrario vuol dire quanto meno non conoscere la materia.

Al momento i cui scriviamo non possiamo sapere chi prenderà il posto di Ascheri e se  il Consorzio del Barolo e del Barbaresco e quello del Roero usciranno davvero da PLand o ci sarà una ricomposizione della frattura.

Non sappiamo se l’assessore Protopapa (acquese e quindi monferrino) e il presidente Cirio (albese docg) riusciranno a mediare e ricompattare uno “spogliatoio” fin troppo litigioso che più che ai galli in pollaio somiglia ai famosi volatili di Renzo di manzoniana memoria. Un fatto, però, è certo: queste fratture, più o meno profonde, più o meno motivate, non servono nessuno.

Oggi, dopo lo “strappo” langhetto-roerino e la risonanza anche a livello internazionale che esso ha avuto con l’immancabile scia di polemiche e malumori, l’immagine del vino piemontese nel suo complesso rischia di appannarsi, tra l’altro in periodo premiante in tema di vendite e prospettive, per liti che avrebbero dovuto e potuto essere composte in modo diverso, più maturo, persino più responsabile verrebbe da dire.

Invece si fa come i capponi di Renzo e questo è davvero molto triste oltre che poco intelligente.

Filippo Larganà
filippo.largana@libero.it

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