Di poche ore fa l’annuncio che è in dirittura d’arrivo l’iter di attribuzione della Docg (denominazione origine controllata e garantita) al Moscato Canelli, un progetto, partito nel 2001, che definisce il Moscato d’Asti docg di una zona precisa (tutte le info tecniche e molto altro qui) a denominazione a sé stante, nella stessa maniera del Nizza docg, il vino rosso a base di uve barbera prodotto nella zona di Nizza Monferrato, sempre nell’Astigiano e a pochi chilometri da Canelli. Il Comitato nazionale vini si è espresso a favore del Canelli docg, ora tocca ci sarà la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e, poi, la dichiarazione di Bruxelles. Dopo ci sarà da lavorare e molto. Prima di tutto bisognerà pensare a come raccontare il Moscato Canelli, a come spiegare che un vino che nasce dalle stesse uve del Moscato d’Asti docg diventi espressione del tutto originale, dal dolce al meno dolce con, nel mezzo, sfumature sorprendenti, un vino che va al di là delle consuete annate e si coniuga nel tempo, rivelando tutte le numerose potenzialità di un vitigno aromatico, il moscato bianco, che solo nella zona di produzione del Sud Piemonte, tra le province di Asti, Alessandria e Cuneo, attiva caratteristiche uniche e rare. C’entra il microclima, la composizione dei terreni e le tradizioni viticole. Tutte cose che non si possono copiare. Ed è per questo che il Canelli docg dovrebbe proporsi come vino simbolo dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe e Monferrato (aggiungiamo noi l’Astigiano) che dal 2014, insieme al Roero, prima area vitivinicola di pregio italiana, sono Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco. Del resto partì proprio da Canelli la candidatura a quel progetto.
fi.l.