La tentazione di ergersi a modello, a primi della classe, a migliore dei migliori, insegue alcuni fin dalle scuole elementari. Poi c’è anche chi, consapevole delle proprie capacità e degli obiettivi raggiunti, codifica le proprie esperienze, le raccoglie, ne fa manuale d’uso con lo scopo, a dispetto di chi, a torto o a ragione, crede il contrario, di creare un “data base”, un archivio, un manuale, a disposizione di chi vorrà raggiungere quel livello e, magari, superarlo. Dopo di lui però.
In ambito vinicolo c’è una realtà storica, la Enrico Serafino 1878 di Canale, che in tema di Alta Langa docg, il Metodo Classico più iconico del Piemonte, è leader e ha l’ambizione di presentare più di un record. Qualcuno potrebbe chiamarla autocelebrazione o rilanciare i vecchio detto, “chi si loda…”. Comunque la si pensi, tuttavia, restano i traguardi raggiunti che vanno raccontati. A SdP ne ha parlato, senza falso pudore alcuno, Nico Conta, manager astigiano, laurea alla Bocconi, un passato da amministratore di aziende vinicole (una anche fondata) e ora, da alcuni anni, CEO della Enrico Serafino 1878 che, vale ricordarlo, è la più antica cantina del Roero attualmente in attività. Due parole sull’azienda: fondata nel 1878 da Enrico Serafino, imprenditore visionario con molti mezzi che aveva colto le innovazioni che arrivavano dal Canellese dove, all’epoca, era attivo Carlo Gancia a capo dell’omonima Casa spumantiera dove, nel 1865, si cominciò a produrre il primo spumante d’Italia, la Enrico Serafino 1878 occupa ancora gli stessi spazi all’ingresso di Canale, con le splendide cantine ristrutturate e operative dove si ancora si affinano vini e spumanti. Nel tempo gli investimenti sono stati indirizzati all’acquisizione di vigneti particolarmente vocati nelle aree di Roero, Barolo e Alta Langa. Dal 2015 la cantina fa parte del Gruppo Krause, potente e ricca realtà finanziaria che ha molti interessi in suolo italico, tra cui, ad esempio, il Parma Calcio. Tornando all’Alta Langa che, insieme ai vini mito delle Langhe come Barolo e Barbaresco, è core business della “maison” roerina dice Conta: «Perché sosteniamo di essere l’azienda che ha investito di più e più a lungo nell’Alta Langa docg? Perché è la verità. Dal 1994 ad oggi abbiamo fatto sempre e solo Alta Langa raccogliendo, in 27 anni di attività, un archivio di dati ed esperienze senza pari. Noi, per esempio, deteniamo ancora il controllo sul 25% dei primi quaranta ettari di vigne sperimentali che, all’inizio degli Anni Novanta del 1900, furono individuate in Langa, dalla Langa Astigiana a quella albese. Siamo i soli a produrre sette spumanti (uno uscirà a breve ed è prologo di progetti futuri ndr) e tutti e sette sono Alta Langa. Abbiamo praticato per primi quello l’affinamento lungo che da noi arriva a 140 mesi. Lo abbiamo fatto perché ci siamo presi il tempo di farlo e creduto fermamente che quello sarebbe stato il nostro valore aggiunto come poi è stato davvero».
Così, però, davvero potrebbe sembrare che ci sia una straripante ego dietro alle dichiarazioni di Conta il quale scuote la testa e ribatte punto su punto: «È solo verità che abbiamo messo e mettiamo e disposizione della denominazione». Come? «Prendiamo la zona di produzione dell’Alta Langa. Potrebbe sembrare estesa, più di quelle di altre docg, ma i limiti di quota (dai 250 metri sul livello del mare in su), di coltivazione delle viti e di rese per ettaro, danno una selezione naturale. Poi ci sono le nostre scelte di produzione: uve selezionate da 41 località suddivise in 56 particelle con, tra loro, fino a 300 metri di dislivello dove la vigna più “bassa” è a 283 metri sul livello del mare e quella più alta a quasi 600. Come non bastasse da noi la vendemmia delle uve chardonnay e pinot nero per Alta Langa docg dura 29 giorni perché la nostra Cantina si adegua all’andamento dell’uva e non viceversa». E questo che cosa comporta? «Una grande attenzione in vigna, com’è giusto che sia sempre quando non solo si vuole fare qualità, ma perseguire l’eccellenza assoluta e si persegue l’intenzione di raccogliere dati, informazioni, esperienze per costruire un bagaglio che sia utile all’azienda, ma anche alla denominazione. Del resto – annota Conta – non è così usuale quello che ci siamo permessi alla Enrico Serafino 1878, cioè di elaborare e regolamentare l’intera conduzione di una filiera, dalla vigna alla Cantina, fino alla commercializzazione». Ecco, appunto, le vendite. In periodi di pandemia chi ha solo l’Horeca (hotel, ristoranti, bar e luogo di mescita) come riferimento lamenta gravi ripercussioni economiche per invenduto. La Enerico Serafino 1878? Analizza Conta: «Dipende dai volumi, certo, ma le nostre tipologie più rare e costose sono sud out. Mi piace pensare che abbiamo fatto un buon lavoro e che anche a casa i nostri clienti non abbiamo rinunciato al nostra Alta Langa». Quindi l’amministratore delegato si lancia in una descrizione tanto tecnica quando affascinante sugli aspetti più specifici della produzione dell’Alta Langa firmata Enrico Serafino 1878. Torna il sospetto, sempre senza alcuna accezione negativa, di autocelebrazione, che la Cantina roerina si ritenga il “laboratorio dell’Alta Langa”, i “Messner” del Metodo Classico piemontese che spinge sempre più in alto l’asticella e che, infine, in qualche modo, ci sia anche un’ispirazione abbastanza palese ai cugini champagnisti. È così? Conta rigetta al mittente le “accuse”, ripete e ribadisce: «Non diciamo queste cose per mera vanagloria o, peggio, per vanteria commerciale. Sono fatti della nostra storia costruita in 27 anni di attività e lavoro solo ed esclusivamente dedicati alla produzione dell’Alta Langa. Quanto ai francesi – aggiunge – non siamo la stessa cosa e, però, sottolineo che loro hanno tre secoli di storia alle spalle». Ricevuto.
Resta, alla fine, l’assaggio che, per chi, come questo blog, non ha nel focus la degustazione, ma il racconto di storie di vino, è la parte più rilassante. Il calice di Alta Langa Oudeis (Nessuno, in greco, anche il nome “di battaglia” di Odisseo, il re guerriero protagonista dell’Odissea di Omero) è un finale perfetto al quale noi davvero non troviamo nulla da aggiungere.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)