
Da qualche giorno è di pubblico dominio il cosiddetto “Rapporto Colao”. È il documento con il quale un gruppo di esperti formato da economisti, imprenditori, sociologi, guidato dal top manager Vittorio Colao, indica al Governo cosa fare e quando farlo per tirar fuori il Paese da una crisi economica e sociale senza precedenti causata dalla pandemia da Covid -19.
Noi ne abbiamo parlato qui e rilevato, tra le altre cose e non solo noi, come in tutto il documento non si sia mai parlato di agricoltura, tema che, invece, sarebbe dovuto essere centrale per un Paese come l’Italia che si vanta di avere una biodiversità unica al mondo e basa su questo gran parte del valore aggiunto del suo “Made in Italy” agroalimentare, vino in testa.
Ma che ne pensano gli imprenditori vinicoli piemontesi e italiani di come è gestito questo delicato periodo della storia economica italiana?
Su questi temi abbiamo intervistato Ernesto Abbona (foto), piemontese, al timone della Cantina di famiglia, la Marchesi di Barolo, presidente della Uiv, l’Unione Italiana Vini, che, come si legge nella presentazione istituzionale, dal 1895 è l’associazione di rappresentanza delle imprese italiane del vino, raggruppa 500 aziende associate che rappresentano più di 150.000 viticoltori, oltre il 50% del fatturato italiano di vino, l’85% del fatturato export di vino italiano e fornisce servizi specialistici a 3500 oltre a editare il periodico Corriere Vinicolo che con i suoi 12 mila lettori settimanali è il media di riferimento degli imprenditori del vino italiani.
Ernesto Abbona, come esce il vino italiano e piemontese da questa crisi?
«Di sicuro ne usciamo. In questi mesi a chi è venuto a trovarmi in Cantina, con tutte le cautele sanitarie, ho fatto vedere la nostra bottiglia di Barolo del 1918, imbottigliata nel pieno dell’epidemia mondiale di “Spagnola” e anche quelle che segnano le guerre e altre catastrofi nazionali e mondiali. Voglio dire che usciremo da questa crisi di sicuro. Basta farsi un giro sulle colline piemontesi. La natura sta andando avanti. Le viti stanno germogliando e sono rigogliose. Nelle altre zone viticole d’Italia è lo stesso. Noi ci riprenderemo, non c’è dubbio».
Che pensa delle “task force” che suggeriscono al Governo cosa fare?
«Che, fatta salva l’emergenza sanitaria, sulla crisi economica siamo ancora al punto dei consigli, dei vertici, dei summit, mentre, invece, il Paese avrebbe bisogno, ha bisogno, di decisioni, di un percorso certo da fare, ma subito, non domani, ora non dopo»
Avete proposte come Uiv?
«Le abbiamo elencate al Governo, al Ministero e al ministro Bellanova (la lettera di marzo consultabile qui). Nessuna è stata ancora presa in considerazione. Non c’è attenzione sufficiente verso un settore come quello del vino che significa non solo reddito, ma commercio, cultura, turismo, crescita sociale, made in Italy»
Cos’è che manca?
«A mio parere una visione globale, un progetto per il futuro e, come ho detto, una sensibilità verso il comparto del vino»
Perché?
«Credo per inesperienza, per mancanza di bagaglio di esperienze. Il cambiamento che si è verificato negli ultimi anni nella politica italiana ha portato cambiamenti radicali, non solo nelle Aule parlamentari, ma anche dentro alle strutture istituzionali. E non sempre gli effetti sono stati positivi. Del resto non è che le istituzioni pubbliche italiane abbiano mai brillato per attenzione nei confronti della viticoltura e dell’agricoltura in generale. Alla base c’è una scarsa considerazione del merito e del valore delle imprese che generano commercio, come quelle del settore vino. In Italia si parla spesso e tanto di produzione. In altre Nazioni, come la Francia, il valore commerciale di un’azienda, di una filiera, è presa in alta considerazione e i risultati si vedono, soprattutto in momenti di crisi come questo che stiamo vivendo».
Soluzioni?
«Liquidità immediata a chi paga le tasse, no agli aiuti a pioggia, soldi alle aziende sane che affrontano la crisi, corridoi verdi per i lavoratori agricoli stranieri. Il nodo della manodopera in agricoltura è cruciale. Ce ne accorgeremo alla raccolta, alla vendemmia, se non si farà qualcosa prima»
E la solidarietà?
«Sono favorevole alla solidarietà, ci mancherebbe, credo, però, che sia importante che il Governo aiuti in modo concreto, importante e veloce quelle realtà imprenditoriali che, pagando le tasse e operando nella piena legalità, consentono allo stesso Governo, allo Stato e alla comunità, di esistere e andare avanti e fornire servizi».
Per quanto riguarda il mondo del vino si sta parlando di strumenti anti crisi come la distillazione di eventuali esuberi e la vendemmia verde, cioè la diminuzione delle rese in vigna. Lei che ne pensa?
«Che sono scelte che non valorizzano il nostro vino, ma che, anzi, lo deprimono. Si distillano vini di poco pregio non quelli che hanno fatto grande l’Italia nel mondo. Si fa vendemmia verde per tipologie non strategiche, non per quelle che sono il vanto del nostro Made in Italy»
Però anche la Francia ha chiesto la distillazione di crisi.
«Il sistema francese e quello italiano sono molto diversi. Lì si riconosce il merito, il valore aggiunto del commercio, della tradizione, del vino come tassello strategico dell’economia nazionale. Qui non sembra sia così».
Suggerimenti?
«Un fondo per formare giovani e start-up che aiutino a proporre e vendere il vino italiano nel mondo. Sarebbe la risposta più giusta alla crisi che sta attanagliando imprese e Cantine. Io penso che i grandi vini italiani vadano venduti al giusto prezzo, non usati per produrre gel igienizzanti».
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)