Wine Week. La “Milano da bere” parla piemontese. Piemonte Land riunisce i Consorzi all’ombra della “Madonnina”. E i milanesi apprezzano. Servirà?

inserito il 11 Ottobre 2019

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Un intero palazzo nel cuore di Milano per presentare i vini piemontesi. Insomma la “Milano da bere”, per una sera, ha parlato piemontese e le è pure piaciuto a giudicare dall’afflusso di persone.
È accaduto ieri sera, nell’ambito della Milano Wine Week, kermesse un po’ “schiccosa” un po’ pop, che ha l’ambizione, almeno secondo le dichiarazioni del patron Federico Gordini, di dare un quadro il più ampio e completo possibile della produzione vinicola italiana nel “lampo” di una settimana nella capitale economica d’Italia.
Il Consorzio Piemonte Land, presidente Filippo Mobrici, ci ha creduto e così ieri sera, a Palazzo “Brian and Barry” in via Durini a Milano, è andato in scena l’orgoglio vinicolo del Piemonte.
Non è poco, visto che da un po’ di anni sembra che il Piemonte del vino preferisca le liti fratricide al fare rete e sostenere le proprie produzione come, invece, accade in altre regioni d’Italia.
Tuttavia in via Durini le cose sono andate, almeno per una sera, per il verso giusto.
Sui nove piani dell’edificio, che in effetti è un centro commerciale frequentatissimo piazzato in mezzo alle vie dello shopping meneghino, tra i negozi di abbigliamento, gioielleria, profumi e nei ristoranti, si sono aperti i banchi di degustazione di grandi rossi, dal Barolo alla Barbera al Dolcetto; dei bianchi dall’Erbaluce al Gavi; degli aromatici dall’Asti al Moscato d’Asti al Brachetto; delle novità Asti Secco e Acqui docg Rosé in testa.
Un grande affresco dei vini made in Piemonte che ha conquistato il mondo festaiolo della Milano da bere, più consapevole di quello degli Anni Ottanta, magari non qualche certezza in meno, ma almeno con la voglia di ribadire l’italianità nel segno del gusto e dello stile.
Basterà questo per dare stabilità alla nostra economia? Basterà per ridare vigore ai tanti rivoli del vino Piemontese, dall’Asti docg, che scricchiola ma non molla, al Brachetto docg che soffre ma non demorde e rilancia con un spot tv che verrà presentato prossimamente, alla Barbera d’Asti che sembra avere ritrovare una forte identità, ma aspira ancora ad avere posto stabile nell’olimpo dei grandi rossi; al Barolo docg che va sempre a gonfie vele, ma mette le mani avanti e ad inizio 2020 andrà, per la prima volta negli Usa per ribadire la propria leadership?
Gli interrogativi sono tanti. Bisogna dare risposte, possibilmente sensate, praticabili e costruttive che a distruggere ci pensano già altri dalla Ue “distratta” che ogni tanto rischia di affossare le proprie eccellenze agroalimentari alle Potenze straniere che difendono i propri interessi a ogni costo.
«Con Piemonte Land, qui a Milano, abbiamo dato voce a tutti i vini piemontesi, anche quelli che non avevano mai avuto visibilità» ha dichiarato Mobrici. La presenza, alla manifestazione milanese, di diversi esponenti consortili – noi abbiamo incontrato Romano Dogliotti e Stefano Ricagno, presidente e vice dell’Asti; Bruno Fortunato, vice presidente del Brachetto; Italo Danielli, presidente dell’Ovada docg – e di alte istituzioni come l’assessore regionale all’Agricoltura della Regione Piemonte. Marco Protopapa, sembra avallare la visione di Piemonte Land.
Certo resta da verificare se e come queste iniziative porteranno vantaggi al mondo del vino. Un fatto, però, è certo: al di là delle discussioni su come vengono impiegate le risorse a disposizione dei Consorzi, stare fermi, non comunicare, tirare i remi in barca, sarebbe la vera iattura, la vera disgrazia per il prodotto vino che, va ricordato, non è essenziale e, quindi, va sostenuto e promosso, pena la sua esclusione dai consumi.
Una delle frasi attribuite a Steve Jobs, fondatore della Apple, uno che di pubblicità, comunicazione e marketing ne sapeva tanto da aver creato l’azienda che ha rivoluzionato il mondo dei computer, della telefonia e del web, dice: “Investire nella pubblicità in tempo di crisi è come costruirsi le ali mentre gli altri precipitano”. Ecco, il vino piemontese, a nostro avviso, ha il dovere di seguire questo insegnamento perché dietro di sé non ha solo un’impresa che fa business e distribuisce dividendi, ma filiere agroaziendali composte da uomini e donne, un ambiente da salvaguardare, un paesaggio da tutelare, una storia fatta da storie personali che hanno fatto grande una regione e l’Italia.
Davvero, per difendere certi orticelli si vuole incenerire quello che si è costruito?
Ieri sera Piemonte Land e i Consorzi vinicoli piemontesi hanno dimostrato che insieme possono molto. Se lo vogliono.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

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