Paolo Ricagno non ha mai avuto peli sulla lingua. Produttore di lungo corso, da decenni alla guida di una cantina sociale dell’acquese, vignaiolo e proprietario di vigneti (si dice quasi 300 ettari) è stato nella governance piemontese dal vino dagli Anni Settanta, ai vertici dei Consorzi dell’Asti e del Brachetto (di cui ancora è presidente), ma anche in rappresentanza dei viticoltori visto che è stato tra i fondatori di Assomoscato.
Al Vinitaly 2017, con altro trenta fiere alle spalle, non ha più voglia di mediazioni e inutili equilibrismi. Si vede e si sente.
Parla della crisi che da troppo tempo affligge il Brachetto e indica la strada: promozione e valorizzazione per riportare in alto il rosso dolce piemontese unico al mondo.
Chiaro anche sulle colpe: «Se la prendono con la presidenza, ma il Consorzio non vende, semmai promuove sulla base delle risorse che fa. Se non le ha non può fare granché e i risultati si sono visti: la crisi».
Il da farsi? «Pubblicità, promozione, comunicazione» i suoi ingredienti.
E sull’ipotesi di unire Asti e Brachetto per un “rosè” a doppia docg è determinato: «Si potrebbe fare anche in tempi brevissimi, a patto che i due consorzi comunichino. Oggi quello dell’Asti non lo fa» è la sua accusa verso l’ente che tra breve dovrà cambiare i vertici con la presidenza che, secondo un “patto tra gentiluomini”, dovrebbe andare alla parte agricola.
Tra i papabili di questo fronte tanti nomi (e per ora sono solo questo): si va dal moscatista Romano Dogliotti, al leader di Assomoscato, Giovanni Satragno, dal direttore della Tre Secoli, Elio Pescarmona, allo stesso Stefano Ricagno, figlio di Paolo e direttore della Cuvage.
Tutti uomini validi, a meno che l’industria non avochi a sé ancora per altri 5 anni la presidenza, creando, però, una frattura con la parte agricola.
Si vedrà. Intanto il presidente del Brachetto qualche sassolino dalle scarpe se l’è già tolto.
Ecco la videointervista.