È di ieri la notizia del Giv, il gruppo italiano vini, partner del colosso cinese del commercio digitale Alibaba. È uno dei tasselli del mosaico di collaborazione che il Governo italiano ha messo in piedi con molte imprese della Cina. Poco tempo da ci fu l’incontro tra Matteo Renzi e Jack Ma, fondatore proprio di Alibaba. I due, a favore di telecamere e fotografi, si scolarono pure un calice di vino insieme, come due vecchi amici. Dunque la domanda sorge spontanea: qual è la situazione del vino italiano in Asia?
Qualche settimana fa un lettore di SdP in viaggio di lavoro in Estremo Oriente ci ha inviato foto e qualche commento sulla presenza dei vini piemontesi, e italiani in generale, in alcuni punti vendita delle Filippine.
Ne è venuto fuori un reportage che evidenzia, sia nelle immagini che nelle parole del nostro corrispondente che ha chiesto e ottenuto di conservare l’anonimato, come molto, davvero tanto, sia ancora il lavoro da fare.
I vini italiani e di conseguenza quelli piemontesi, sono sistematicamente surclassati non solo da quelli francesi, ma anche da quelli statunitensi, cileni, sudafricani e australiani. Nelle fotografie che ci sono state inviate, che si riferisocno ad un grande “mall” a Cebu, seconda città delle Filippine dopo Manila. Ebbene l’Italia del vino è confinata in un corner insieme a Spagna, Nuova Zelanda e Argentina. Perchè?
Per alcuni osservatori il problema sembrerebbe essere la scarsa penetrazione delle nostre aziende che, quando lo fanno, spesso affrontano i mercati lontani in ordine sparso e sono gravate da dazi che altri paesi hanno superatro con accordi bilaterali. Insomma niente massa critica ma singoli e senza nemmeno l’accordo dei Governi nazionali e Ue. Esattamente il contrario di quello che pare facciano la Francia (che se ne infischia dei dazi perché ha un marketing imbattibile) e gli Usa, che invece sono protagonisti di un’ottima politca commerciale internazionale (quando non esportano democrazia con le armi).
«Davvero anche in Italia producete Moscato? Noi conosciamo solo quello Australiano» è stata la battuta che si è sentito rivolgere da un buyer l’addetto di una masion vinicola piemontese inviato nel del Sud Est Asiatico.
Nelle Filippine, quasi 100 milioni di abitanti secondo dati del 2013, ma alcuni fonti danno la popolazione ben oltre questo indicatore, sembra che le cose non vadano proprio al massimo per il vino italiano.
E anche la deprecabile pratica dell’italian sound, cioè di prodotti non italiani che sfruttano nomi e marchi italiani, è molto diffusa, come dimostrano altre immagini di vini e formaggi non italiani ma che, però, ammiccano all’Italia spuntando posizioni commerciali di rilievo. I nomi italiani sono utilizzati anche per i negozi, spesso collegati a catene non italiane.
Infine, a questo proposito una curiosità: qualcuno che è stato recentemente in California ci può inviare foto delle famose verdi praterie dove pascolano le mucche californiane da cui si ottiene il “California cheese”? Grazie.
SdP
Vini italiani nelle Filippine
L’italian sound impera