Ciclicamente l’Albarossa, il vino ottenuto dall’omonimo vitigno riscoperto nel 1938 e riproposto alla vinificazione dal laboratorio eno-sperimentale piemontese di Tenuta Cannona, torna in auge. Ultimi episodi, in ordine di tempo l’Albarossa premiato della Cantina sociale Tre Secoli di Mombaruzzo (che ne fa anche uno spumante rosè molto apprezzato) e lo spumante vinificato in bianco della Caudrina di Roma Dogliotti di Castigione Tinella. Ma l’attenzione attorno all’Albarossa è talmente intensa che ha determinato la nascita di un “club”. Lo compongono le Case vinicole Castello di Neive, Banfi, Marenco, Michele Chiarlo e Bava che da anni portano avanti il progetto avviato dalla Tenuta Cannona.
Recentemente questi marchi hanno presentato i loro Albarossa, codificandone, per così dire, la carta d’identità. «L’Albarossa – si legge in una nota ufficiale – è un vino autoctono dal DNA assolutamente piemontese. Si tratta, infatti, dell’incrocio di due dei vitigni più rappresentativi della regione: la Barbera e il Nebbiolo. La sua nascita è datata 1938, grazie alla felice intuizione del prof. Giovanni Dalmasso, docente di viticoltura e Preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino. Quindici anni fa la Tenuta Cannona (organo sperimentale della Regione Piemonte) lo ripropose con l’obiettivo di creare interesse intorno a questa realtà. A credere fin da subito nel progetto sono stati soprattutto cinque produttori, Castello di Neive, Banfi, Marenco, Michele Chiarlo e Bava, rappresentanti di diverse zone vitivinicole del Piemonte. Una caratteristica particolare dell’Albarossa, infatti, è proprio quella di poter essere impiantato in tutta l’area vinicola che attraversa Langhe, Monferrato e Roero, ponendosi come primo esempio di vino che unisce tutto il territorio».
Albarossa è un vino che ha mostrato fin da subito enormi potenzialità. A distinguerlo, in vigna, è un grappolo dagli acini molto piccoli e con vinaccioli piuttosto sviluppati. Questo ha creato qualche difficoltà per tarare nella giusta maniera pressatura, durata della fermentazione e tipo di affinamento, ma i risultati fanno capire bene quanto il lavoro sia stato fruttuoso e quanto l’Albarossa, pur nelle diversità delle lavorazioni e delle caratteristiche date dai diversi terreni di coltura, riesca ad affermare delle qualità comuni che lo fanno distinguere e apprezzare come vitigno pronto a ritagliarsi un suo spazio importante nell’enologia internazionale. Tra queste qualità sicuramente spicca il colore violaceo molto intenso, l’ottima capacità di invecchiamento e profumi molto accattivanti e inaspettati in un vino piemontese, che, però, si abbinano bene ai piatti della tradizione gastronomica, incontrando il consenso unanime del pubblico, specie all’estero.
Ed è proprio per iniziare a comunicare in maniera forte e decisa tutte queste qualità che si è costituito l’Albarossa Club, con l’unione dei cinque produttori e diversi ristoratori non solo decisi a proporre nella loro carta dei vini l’Albarossa, ma anche disposti ad ospitare serate particolari dedicate a questo vino. Il progetto prevede di promuovere l’Albarossa attraverso alcune serate ad hoc, nelle quali il vino sarà abbinato ad alcuni piatti dell’alta gastronomia piemontese, mentre a rendere indimenticabile l’esperienza penseranno gli artisti che, di volta in volta, saranno chiamati a nobilitare ancor più le occasioni di “incontro” con l’Albarossa.
I ristoranti nei quali si svilupperanno le serate sono: Il Belbo da Bardon, Osteria Terzo Tempo, Ristorante Piazza Crova 3, Ex Vigin Mudest, Stefani Paganini, Il Vascello d’Oro, Nuovo Parisio, Quartino Divino, I Caffi, Il Moncalvo, Locanda San Martino, Ristorante Cicinbarlichin, Angolo del Beato, Locanda del Bosco Grande, Cavallo Scosso.
SdP