«Niente nomi perché il solito imbecille potrebbe accusare questi imprenditori di razzismo culinario o, peggio, di praticare una qualche sorta di odiosa discriminazione. C’è niente di ciò. Alla base solo la voglia di difendere le nostre tradizioni». Così la fonte, attendibilissima, racconta a SdP una storia davvero singolare che vale la pena di riportare perché, per una volta, parlando di patrimonio immobiliare si mette da parte profitto e interessi e si pone al centro, curiosamente, la cultura enogastronomica piemontese. Dunque i fatti. Nel centro di una delle capitali piemontesi e italiane del gusto c’è un grande locale sfitto. Proprietaria una famiglia benestante e in vista di stimati professionisti. Il locale è molto appetibile, ma la crisi morde duro e non è facile affittare un locale che era adibito a prodotti alimentari. Le agenzie immobiliari si danno da fare e presentano i primi aspiranti fittavoli. Con grande sorpresa si propongono solo attività di cucina etnica: una catena giapponese specializzata in sushi, il pesce crudo servito alla moda nipponica; e una società che vorrebbe avviare un punto di distribuzione di kebab, la famose carne grigliata verticale all’araba. I pretendenti sono solidi, danno ottime garanzie e credenziali. Tuttavia, i proprietari non danno l’ok. «Siamo al centro del Piemonte con tradizioni di cucina millenarie. Niente contro queste attività e le culture da cui derivano, ma preferiamo che il nostro locale sia affittato da chi porta avanti queste tradizioni». Punto. Che dire? Comunque la si pensi un fatto è certo: la difesa della propria cultura, anche gastronomica, nel rispetto delle altre che hanno pari dignità e in presenza di reciprocità (quanti italiani hanno aperto locali all’estero), è da elogiare. Del resto kebab e sushi ormai ce ne sono in ogni dove, mentre qualche ristorante tipico chiude. Meditate, gente, meditate.
SdP