Dalla scuola di enologia di Eboli alle Università della Cina per parlare di vino. È il percorso professionale e personale di Alessio Fortunato, 29 anni, enologo campano che qualche anno fa, dopo il diploma, ha avuto il fegato di ripercorrere la “via della seta”, ma con una bottiglia di vno in mano. Oggi Alessio è consulente in Wine Business e già professore presso la Prima Università in Enologia e Wine business instituita in Asia, la North West Agriculture and Forestry University in Xi’An. Esperto conoscitore del mercato del vino Cinese, specializzato in strategia di marketing e vendita, invitato in qualità di Wine opinion leader nelle maggiori Wine fair in Cina ed è stato premiato nel 2013 in Canada dall’Academic Wine Business Research con il miglior Best Paper. Ha all’attivo molte esperienze lavorative nelle più prestigiose cantine al mondo come Chateau Lynch-Bages (Francia), Kim Crawford (Nuova Zelanda) e collabora con molte agenzie ministeriali e private come Sud de France, German Wine Institute. A lui SdP ha chiesto lumi sul mercato cinese, anche in considerazione del fatto che molte maison e consorzi (quello dell’Asti da tre anni ha impiegato importanti risorse in un progetto Asti docg a Shanghai), sul’onda di quello già fatto anni fa dai cugini francesi, puntano proprio sul Paese della Grande Muraglia per ampliare volumi e reddito. Cina, dunque, come Eldorado del vino italiano e piemontese
«In Cina bisogna fare una grande distinzione tra le grandi città cosmopolite come Shanghai e Pechino e le città di seconda e terza fascia come Xian dove vivo – avverte subito Alessio -. Nelle città cosmopolite i consumatori cinesi hanno avuto modo di percepire il made in Italy in modo positivo dato che è maggiore la presenza anche di connazionali. Mentre nelle città di seconda e terza fascia la mancanza di italiani a fatto si che la maggior parte dei consumatori siano ignari dal definire cosa sia realmente il Made in Italy». Quindi la doccia fredda: «La presenza del vino italiano in Cina è molto bassa, complice una blanda promozione del vino attraverso i giusti canali. I cinesi hanno un ottima percezione del vino francese, australiano e cileno, mentre il vino italiano rimane quasi sempre un’incognita. Sono pochi i professionisti cinesi che conoscono realmente il grande panorama varietale italiano. Le istituzioni estere al quale sono consulente sono molto presenti in Cina con attività e presenza anche fisica durante le fasi chiave degli eventi cinesi, questo indubbiamente aumenta le chance di successo di notorietà in questo mercato».
L’eonologo campano non nasconde le difficoltà di approccio ad un mercato come cinese che definisce molto complesso e dinamico e anche molto promettente, «Se si intraprende una chiara strategia di pianificazione nel mercato» avverte e spiega: «Il consumatore cinese cambia da regione a regione, quindi bisogna utilizzare una strategia di marketing diversificata a seconda delle zone dove si vuole commercializzare. Moltissime aziende italiane in Cina stanno avendo dei risultati negativi perché non conoscono le logiche del mercato cinese».
Ma quali sono gli errori più banali che fanno le aziende italiane del vino quando entrano sul mercato cinese? «L’errore più grave è entrare nel mercato con la stessa attitudine che si entra in altri mercati esteri. La Cina è letteralmente un mondo diverso, con logiche e dinamiche differenti agli altri mercati. Per cui per entrare in questo mercato bisogna affidarsi a professionisti che vivono e conoscono profondamente il mercato del vino cinese. Altri gravi errori sono partecipare soltanto come tante aziende italiane fanno alle singole fiere del vino sparse per la Cina, con la vaga speranza che un importatore cinese vi noti. Basti pensare che solo a Shanghai da settembre a dicembre c’è una fiera del vino quasi ogni settimana, quindi bisogna ponderare la scelta con molta cautela, in questo modo l’azienda italiana ne beneficerà anche dal lato economico. Errori comuni sono quelli di ingaggiare connazionali e non che non hanno esperienza del mercato, ma che vivono in Cina, e per i quali l’unica nota positiva è quella di parlare la lingua cinese».
Il discorso si sposta sulle regionalità italiane. Chiediamo a Alessio quali tra i vini piemontesi sia quello che ha migliore possibilità di penetrazione. «Il Barolo – risponde – è il vino più conosciuto. Il Moscato ha un ottimo potenziale di penetrazione. Dopo aver effettuato oltre 49 Master Class e degustazioni in tutte le regioni della Cina ho potuto constatare che il Passito di Erbaluce ha delle ottime potenzialità in questo mercato, Ma – avverte ancora l’enologo – quello cinese è un mercato dove non basta aver trovato un importatore per fare sonni tranquilli. Bisogna affidarsi a professionisti che pianifichino una strategia di penetrazione basata sulla singola azienda per tipologia di vino prodotto. Le aziende italiane, francesi e tedesche che seguo in questo mercato hanno delle ottime performance perché hanno capito l’importanza di essere sempre presenti fisicamente in questo mercato. Come dicevo non basta partecipare ad una fiera del vino per vendere. Inoltre queste aziende hanno creduto nella formazione dei futuri esperti e professionisti del vino, quindi ho avuto modo di utilizzare il mio ruolo di Wine Opinion Leaeder e professore universitario per concretizzare delle Master Class specifiche per promuovere le aziende nelle diverse forme».
La cucina piemontese, vanto dell’enogastronomia sabauda che ha già conquistato large fette di Asia, potrebbe aiutare la penetrazione del vino in cina? «Cibo e vino è un connubio indissociabile, quindi ben venga l’associazione con i prodotti dell’eccellenza gastronomica piemontese.
Impossibile interrogare Fortunato anche sulle notizie che indicano la Cina come un futuro grande produttore di vini. «Ci stanno lavorando tantissimo» conferma l’enologo italiano che dà notizie di prima mano: «Per espandere la propria area di produzione, le aziende cinesi che seguo hanno in programma di quadruplicare la loro area produttiva». In Italia prima di ampliare la zona di produzione passanno anni. In Piemonte non di rado si va anche alle liti giudiziarie. Il mondo del moscato ne sa qualcosa.
Burocrazia e stragie economiche a parte quali sono i punti di contatto tra Cina e Italia anche dal punto di vista enogastronomico? Rivela Alessio: «Non tutti sanno che in Cina si mangia tantissima pasta specialmente nel Nord. La tipologia più utilizzata è la pasta fresca con grano tenero, a forma di spaghetti. Considerate che in alcune aree si mangiano spaghetti a colazione pranzo e cena tutti i giorni. Tutto questo fa parte della tradizione culinaria cinese. Lo speziato è un altro punto d’incontro».
In fine una domanda un po’ banale ma sempre un must per gli italiani che lavorano e vivono all’estero: cosa manca dell’Italia quando sei in Cina e cosa della Cina quando sei in Italia? La risposta del giovane prof. Campano è immediata: «Pizza e mozzarella sono i prodotti che mi mancano tantissimo quando vivo per lunghissimi periodi in Cina, anche se in alcune grandi città si può mangiare una pizza decente fatta da connazionali. Quando sono in Italia sento la mancanza del Thè cinese di cui ho imparato ad apprezzare la diversità di stili e gusto. In effetti le tipologie di thè cinese rispecchiano la diversificazione che in Italia si incontra per il vino, quindi è un mondo affascinante da esplorare».
SdP
Buongiorno Giancarlo e grazie del commento. Il pezzo è un po’ datato, ma sempre valido anche in questo periodo particolare. Buona l’idea di una squadra apripista. In Piemonte qualcuno ha provato a entrare nel mercato cinese non sempre ottenendo buoni risultati. Gli italiani dovrebbero fare squadra come i francesi, ma sembra sia difficile. La speranza è che questa emergenza faccia da collante, almeno. Buona vita!
Siamo produttori di PROSECCO SAN CARLO .
Ovviamente siamo molto interessati al mercato Cinese .
Ottimo l’articolo pubblicato , dovremmo creare una “squadra di apripista ” e condurre una campagna , anche lunga , per promuovere i nostri vini , oltre naturalmente ai prodotti agroalimentari tipicamente Italiani .