Qualche giorno fa, nel corso di una commissione paritetica convocata espressamente per parlare della crisi dell’Asti docg le cui vendite sono crollate nell’ultimo periodo a 55 milioni di bottiglie contro gli 81 del 2011, l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero, aveva lanciato l’idea di aprire l’imbottigliamento dell’Asti docg anche ad aziende fuori dalla zona di produzione compresa tra 52 Comuni di Astigiano, Cuneese e Alessandrino. «Serve un cambio di norma, ma l’apertura dell’imbottigliamento anche fuori dalla zona di produzione potrebbe essere una soluzione alla crisi nera dell’Asti docg» avevano riportato alcuni media (leggi qui ferrero e asti spumante) citando le parole dell’assessore. Una proposta che aveva suscitato pareri discordanti. Ma tutti nell’ambito degli interessati, cioè di coloro, tecnici, manager o imprenditori, che operano all’interno della zona della denominazione Asti.

In questo senso, però, è automatico il paragone con la zona del Prosecco, che sei anni fa, precisamente nel 2009, concesse proprio ai piemontesi imbottigliamento e spumantizzazione fuori dalla propria zona. Cosa non da poco visto e considerato che il Prosecco in questi anni è diventato un fenomeno da centinaia di milioni di bottiglie che sta conquistando i mercati di tutto il mondo suscitando timori e invidie tra i concorrenti. Tanto che molti lo danno sul punto di collassare prevedendo scenari futuri apocalittici. Tuttavia, nonostante i “gufi” la Prosecco-mania non sembra diminuire. Con buona pace anche degli imbottigliatori piemontesi (tra cui, per esempio, gli storici Gancia e Martini & Rossi) che continuano a fare business con la bollicine veneto-friulane (il paese di Prosecco, inserito nella zona di produzione per blindare la tutela mondiale della doc, è in Friuli).
Dunque l’assessore Ferrero ha proposto un itinerario al contrario: dopo il Prosecco doc “piemontese” potrebbe l’Asti docg diventare un po’ “veneto”? SdP lo ha chiesto a uno che di Prosecco se ne intende, Stefano Zanette, presidente della Cantina sociale di Vittorio Veneto e anche al timone del Consorzio di Tutela del Prosecco doc. «La questione è interessante anche se molto articolata – ha esordito Zanette -. Premetto che le aziende che spumantizzano e imbottigliano il Prosecco doc fuori della nostra zona di produzione sono inserite in una lista speciale. Fu fatta una deroga particolare in funzione della storicità di alcuni marchi che da tempo avevano interessi commerciali verso la nostra denominazione. Tuttavia tengo a precisare che ci siamo preoccupati di mettere in atto sistemi di controllo e tutela nei confronti di chi spumantizza il Prosecco doc fuori dall’area deputata. Ogni operazione di garanzia è, infatti, eseguita all’interno della zona di produzione. Un modo anche di affermare la territorialità della denominazione. Per l’Asti, se verrà seguita l’indicazione di aprire la spumantizzazione anche fuori dall’area piemontese, a mio parere deve essere fatta la stessa cosa. Fermo restando – ha sottolineato Zanette – lo spirito delle denominazioni di origine che devono privilegiare i territori di nascita, altrimenti il rischio è che si snaturi il concetto. E non è detto che ampliare la zona di spumantizzazione porti solo vantaggi». Insomma per il presidente dei prosecchisti fare l’Asti fuori dal Piemonte, per esempio in Veneto, potrebbe essere cosa buona, ma con regole certe per garantirne la denominazione. Al netto di implicazioni sociali sia pure fondamentali (posti di lavoro, infrastrutture, ricadute economiche, crescita delle comunità, qualità della vita) il ragionamento del presidente Zanette non fa una grinza, anche in considerazione delle nuove normative in tema enologico che la Ue avrebbe intenzione di varare, tra liberalizzazione degli impianti dei vigneti non solo in sede europea (tra gli altri moscato, barbera, nebbiolo e brachetto sono vitigni che ormai si coltivano in tutto il mondo) e tutela delle denominazioni dei vini solo attraverso indicazioni geografiche determinate e certe.

E la stessa domanda, cioè se sia utile al rilancio dell’Asti docg l’apertura della zona di spumantizzazione e imbottigliamento al di fuori dell’area piemontese, l’abbiamo girata a Ezio Pelissetti, enologo di lungo corso, per 18 anni direttore del Consorzio dell’Asti e oggi consigliere delegato e direttore di Valoritalia, la società per la certificazione delle qualità e delle produzioni vitivinicole italiane nata nel 2009 per volontà di Federdoc e CSQA, cui si è aggiunta in seguito UIV. «Se i numeri sono quelli di una crisi profonda – dice Pelissetti – è lecito, anzi, doveroso guardarsi attorno per esplorare possibilità di rilancio». Per il manager che, per storia personale e professionale, dell’Asti docg sa “vita e miracoli” il punto nodale è che oggi il prodotto vive una crisi del sistema commerciale, «In questo senso un aumento dei soggetti che lo promuovono sui mercati potrebbe servire». Per quanto riguarda i controlli Pelissetti è categorico: «Se l’Asti docg si facesse anche fuori dal Piemonte per noi di Valoritalia che già certifichiamo il Prosecco non cambierebbe nulla. Infatti i controlli (analisi e degustazioni) del Prosecco fatto da produttori piemontesi le facciamo a Treviso e nell’area veneta. Solo gli adempimenti formali-burocratici (consegna fascette e prelievi) sono eseguiti in Piemonte. Se l’Asti docg sarà fatto fuori dal territorio del Piemonte bisognerà fare la stessa cosa».
Potrebbe quindi davvero servire la proposta Ferrero per sbloccare la crisi nera dell’Asti docg? Zanette e Pelissetti sembrano possibilisti, anche se resta difficile dare una risposta certa oggi. Di sicuro qualcosa deve essere fatto. A cominciare dal rinnovo dei rappresentanti di una filiera che ormai appare sclerotizzata su posizioni personalistiche ancorate al passato. Una situazione talmente lapalissiana che in troppi fanno finta di non vedere, nel più perfetto stile gattopardista che da molti anni caratterizza l’enologia piemontese. E i risultati si vedono.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)