Vendemmia finita in questi giorni per il Loazzolo doc, mentre in Langa si prepara l’Asti “Antico” Metodo Classico. News da due piccole realtà vinicole, ma con una grande immagine

inserito il 28 Ottobre 2009

grappolo-loazzolo_big_01I numeri e i volumi del Loazzolo doc e dell’Asti spumante “Antico” Metodo Classico che si sta producendo nella Langa Astigiana faranno sorridere gli amanti delle grandi cifre. Per questa annata sono rispettivamente 12mila bottiglie da 37 cl e 10mila da 75. Meno di una goccia nell’oceano dei vini che si ottengono dall’uva base moscato bianco di Canelli, la stessa che serve per Asti spumante e Moscato d’Asti docg i due vini fratelli che insieme vendono 100 milioni di bottiglie (da 75 cl) nel mondo. Eppure questi due micro-vini, Loazzolo doc e Asti Antico, secondo molti osservatori potrebbero essere i precursori di un modo nuovo di intendere il marketing legato alla filiera delle uve moscato.

Facciamo un passo indietro. Diciassette anni fa, nel 1992, veniva concessa la doc al Loazzolo, un vino passito ottenuto da uve moscato vendemmiate tardivamente e lasciate appassire su graticci. La doc era stata fortemente voluta da Gianfranco Scaglione, un enologo di fama, winemaker per molte note aziende (suo, ad esempio, l’Asti Metodo Classico “De Miranda” di Contratto), con una tenuta vinicola di famiglia in quel di Loazzolo, piccolo centro tra Canelli e la Langa astigiana. D’accordo con lui nomi importanti del mondo vinicolo e della comunicazione enogastronomica come gli idimenticabili Giacomo Bologna, mitico vignaiolo di Rocchetta Tanaro autore del rilancio della Barbera d’Asti, e Luigi Veronelli, editore e giornalista del vino e della buona tavola inventore del giornalismo enogastronomico. Ebbene da allora il Loazzolo doc ne ha fatta di strada, conquistando palati e, soprattutto, mercati.

Sdp ne ha parlato con Gianni Scaglione, figlio di Gianfranco e che con al sorella Silvia conduce Forteto della Luja, l’azienda simbolo del Loazzolo doc al centro di un territorio incontaminato diventato anche Oasi del Wwf. «La raccolta delle uve è finita pochi giorni fa – dice ad Sdp Scaglione -. La qualità dei grappoli 2009 è davvero eccezionale e personalmente sono convinto che si tratti della migliore vendemmia in assoluto per il moscato destinato a diventare Loazzolo doc». I motivi, secondo il vignaiolo, sono le caratteristiche delle uve, mature e con un ampio quadro aromatico. Ma per giudicare il vino bisognerà attendere la primavera del 2012. «Il disciplinare – spiega Scaglione – prevede un affinamento di due anni e la vendita dall’anno successivo. Stiamo parlando di una piccola perla enologica con una dozzina di produttori di uve e una decina di aziende vinicole, tutte comprese nei tre ettari scarsi della zona vocata all’interno del territorio comunale di Loazzolo. La produzione media è attorno alle 12mila bottiglie da 37 cl, con prezzo medio al pubblico tra i 20 e i 3o euro l’una.

Insomma un vino non a buon mercato, ma che sembra non essere toccato dalla crisi dei consumi. «Il Loazzolo doc è vino da estimatori – spiega il produttore -. Chi lo conosce ne rimane affascinato. Per questo abbiamo richieste oltre che dall’Italia e dall’Europa anche da Americhe, Asia, Oceania e Africa». Un piccolo vino, dunque, ma che ha conquistato i mercati di mezzo mondo senza i problemi dei fratelli maggiori Asti e Moscato doc. «Ma sono realtà diverse e non paragonabili» precisa Scaglione. Vero, ma un fatto è certo: il Loazzolo ha sempre praticato l’equazione virtuosa vino=territorio, il Moscato “tappo raso” anche, l’Asti quasi mai. Si obietterà che l’Asti è un gigante difficile da regolare. Vero, ma fino ad oggi le aziende non hanno brillato per lungimiranza, anzi hanno puntato più ai volumi che alla stabilizzazione di immagine e prezzi.

Ma il Loazzolo doc non è l’unico prodotto a base moscato che esula dal grosso della trasformazione destinata a diventare Asti spumante e Moscato docg. Da pochi anni, secondo un progetto della Comunità montana “Langa Astigiana Val Bormida”, si sta sperimentando la produzione di un Asti spumante Metodo Classico, cioè che si ottiene non con la fermentazione in autoclavi (metodo Martinotti-Charmat), ma con la maturazione del vino in Bottiglia secondo un metodo che discende, ma con variazioni sostanziali legate alla qualità dell’uva moscato, da quello per la produzione dello champagne.

Ebbene quest’anno sono una decina le aziende che hanno prodotto un Asti Spumante Metodo Classico secondo il progetto “Asti Antico” promosso dalla Comunità montana. Dice a Sdp Gianfranco Torelli, assessore all’Agricoltura dell’ente che ha sede a Roccaverano e egli stesso produttore di vini in quel di Bubbio: «La produzione dell’annata 2009 è pari a 10mila bottiglie da 75 cl. Siamo molto soddisfatti della qualità del vino che, per volumi, si colloca tra le etichette di nicchia. Con un prezzo medio al consumatore che si dovrebbe attestare attorno ai 12 euro».

Un prodotto insomma non di largo consumo, ma che comincia ad affacciarsi sul mercato e che potrebbe ritagliarsi un suo spazio tra gli appassionati, seguendo l’esempio di altri Asti Metodo Classico, come il De Miranda della Contratto e il Camillo Gancia della Gancia. Un ritorno all’antico per guardare al futuro.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

2 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 31 Ottobre 2009 at 10:29 -

    Caro Sergio, amico e socio Lions (però smettiamola che sennò sembriamo quelli della confraternita del fico secco) non sono necessarie scuse per la tua puntuale e giusta precisazione. Ci mancherebbe. Tuttavia, come avrai notato, il mio pezzo parla del progetto Asti “Antico” dove l’aggettivo non è un’invenzione giornalistica, ma la definizione esatta e ufficiale di un’iniziativa pubblica, quella della Comunità montana Langa Astigiana Val Bormida, finanziata dalla Regione e che coinvolge una decina di aziende vitivinicole per la produzione di un Asti spumante, appunto “Antico”, da vinificare con il Metodo Classico, cioè la fermentazione in bottiglia. Era questo che volevo sottolineare. Fatte salve, ovviamente, le preziose e pregiate produzioni singole di aziende che, come il tuo Asti Cesare che tra l’altro ho avuto l’onore di presentare in quel di Santo Stefano Belbo, servono a tenere alto.

  2. Sergio Cerutti "Ca' du Ciuvin 31 Ottobre 2009 at 08:55 -

    Peccato che Ti sei dimenticato che il primo a presentare un Asti antico al consorzio dell’Asti, sono stato io con l’ASTI CESARE.
    credevo che Tu lo sapessi,caro amico e socio Lions.Scusami per la mia precisazione.
    Sergio Cerutti

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