Dino Scavanino, 54 anni, da Calamandrana, centro agricolo del Sud Astigiano, è il nuovo presidente nazionale della Cia la Confederazione degli agricoltori. Vignaiolo, vivaista, Scanavino è conoscitore profondo del mondo agricolo. Ha risposto alle domande di Sdp.
Presidente, lei è astigiano ed ha una lunga esperienza politico-amministrativa (è stato sindaco e consigliere provinciale). Crede davvero che il Governo Renzi cambi l’atteggiamento sempre un po’ distratto che hanno avuto i governi di tutti i colori nei confronti dell’Agricoltura italiana?
«Pochi giorni fa ho incontrato il neo ministro Maurizio Martina. Un giovane capace e preparato. Gli ho detto che che ci aspettiamo cose straordinarie da un Governo che è arrivato al potere in modo straordinario. Se fanno cose ordinarie è meglio vadano a casa»
E cosa dovrebbero fare?
«Per esempio tagliare i costi della burocrazia, dare incentivi per chi lavora e dà lavoro in campo agricolo, favorire l’export ma quello positivo che porta l’Italia nel mondo e aiutare il consumo interno, abbassare le leggi e le tasse che vessano gli agricoltori. Per esempio ad Asti noi, con Confagricoltura e Alleanza delle Cooperative, siamo scesi in piazza, altri non lo hanno fatto, contro la tassa sugli accessi alle strade provinciale estesa, non solo, come riteniamo giusto, alle sedi delle imprese agricole, ma anche ai fondi rustici. Un’ingiustizia bella e buona».
Mica poco…
«Però è quello che deve essere fatto e loro lo sanno. Del resto l’agricoltura è l’unico settore italiano che garantisce lavoro e crescita, anche se, come ho detto, in Italia l’agricoltura va bene e gli agricoltori no».
Perché?
«Produciamo molto e bene, ma guadagniamo poco, colpa di un sistema sbagliato. Serve più gioco di squadra, per fare massa critica e avere potere contrattuale, altrimenti si rischia di chiudere o guadagnare così poco da stentare ad andare avanti. Per esempio Agrinsieme, il nuovo soggetto che raggruppa Cia, Confagricoltura e Alleanza delle Cooperative, è un ottimo strumento di aggregazione che sta dando buoni frutti».
Parliamo di Piemonte…
«Vale ancora di più l’auspicio di fare team. Noi piemontesi non siamo molto aggreganti, ma bisogna farlo, è una scelta obbligata».
Però ci sono settori dove si litiga molto. Nel comparto moscato ad esempio…
«Se il riferimento è alla questione Asti docg ad Asti sgombro subito il campo da equivoci. Io l’ho sempre detto, sono perché il moscato docg si possa coltivare anche ad Asti. A patto però che si rispettino le regole. Le scorciatoie del caso Zonin (l’azienda ha 20 ettari di moscato ad Asti che un paio di volte sono state inserite per decreto nell’area di produzione innescando una querelle giudiziaria ancora in corso e che pare approderà alla Corte europea ndr) non servono, anzi allungano i tempi. Lo dirò a Gianni Zonin, non si entra nella zona dell’Asti docg per sentenza ma attraverso Comitato Vini e audizione popolare…»
Una trafila decennale come è stato detto nel Consiglio comunale aperto di qualche settimana fa ad Asti…
«Non è vero. I tempi sono molto più brevi. Ma il muro contro muro danneggia. Però una cosa deve essere chiara: è Asti città, con il suo territorio che entrerà, non solo l’azienda Zonin».
Poi c’è la questione del reddito agricolo…
«È quello che ci interessa come sindacato. Il moscato va bene, non solo quando vende milioni di bottiglie, ma anche se incrementa il reddito dei vignaioli. Per la barbera il discorso è diverso. Troppi interessi a tenere il comparto in una situazione di anarchia di fatto. Così i prezzi della materia prima restano bassi e la speculazione avanza. Un peccato. Speriamo che chi fa grandi Barbere con uve di qualità pagate il giusto continui a fare business».
Le armi del Piemonte agricolo?
«È banale ma vero: le sue eccellenze agroalimentari e il suo paesaggio. Gli agricoltori sono gli unici che difendono le une e l’altro. La candidatura dei paesaggi vitivinicoli a patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco ne è la riprova. Eppoi c’è Expo 2015…»
Un’occasione?
«Certo, a condizione che si capisca che non basta la vetrina. Bisogna fare in modo che i visitatori portino con loro un pezzo di Italia. Così i made in Italy funziona per il sistema Paese».
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Cara Elisa… dovresti parlarne con i Consorzi dell’Asti e della Barbera… trovi i loro indirizzi in Internet… ciao e grazie di averci letto e scritto…
Da 14 anni che vivo ad Asti sono una fans sia del Barbera sia del moscato, immancabili nel mio bar. A Cuba, posto da dove arrivò, ho visto in diverse enoteca alcuni vini italiani, il solito Chianti uno del trentino e un altro laziale, ne ombra del Piemonte .Sarebbe un mercato interessante, vi interesserebbe fare qualcosa?