L’operazione è in pista da un paio d’anni, ma solo nel 2013 è approdata sul web. Una grande azienda americana vende in Usa, in una bottiglia con propria etichetta, il Moscato d’Asti docg. Tagliando fuori i marchi italiani che, intanto, hanno a che fare con una filiera sempre più litigiosa. La grande azienda è la californiana E.& J. Gallo Winery (http://gallo.com/) , un colosso con molte società satellite. Una di queste è la Ecco Domani (http://www.eccodomani.com/) che commercializza il marchio Mia Dolcea sui cui mircosito web (http://www.miadolcea.com/) si trovano due prodotti: un Moscato d’Asti docg e un Pink Moscato, un moscato rosa. Il primo prodotto, al netto degli svarioni grammaticali, è indicato come fatto con moscato al 100%, proveniente dalla “rinomata regione di Asti in Piemonte”, alla faccia dell’annosa querelle sulla questione se inserire o meno la città di Asti nel territorio dove si coltiva l’uva moscato docg. Il gemello rosa è un Terre Siciliane Igt, sempre da uve moscato 100%. Messa così per un consumatore non esperto di denominazioni italiche, la differenza tra i due vini potrebbe essere solo nel colore.
Tuttavia il nodo è un altro. Se una grande industria vinicola come Gallo Winery decide di investire in Moscato d’Asti, oltre che nel Moscato tout-court, come stanno facendo decine di aziende straniere, che cosa sta facendo l’Italia e il Piemonte che del Moscato si sentono la culla? Poco o nulla. Anzi qualcosa stanno facendo: litigano. E lo fanno da anni, impippandosene delle necessità dei mercati, sprecando risorse e tempo in progetti quanto meno discutibili, ma che sono portati avanti come bandiere, quasi fossero guerre sante. L’esempio ormai di scuola è la querelle sull’inserimento o meno di Asti città nella zona di produzione del moscato per Asti spumante e Moscato d’Asti docg. Un casus belli difficile da spiegare a chi non è addentro alle questioni che animano il litigioso mondo del moscato, e che, è lungi da essere risolto. E tuttavia non è l’unico fronte di contrasto. Ce ne sono almeno altri tre. Quelli di immediata scadenza sono due: il rinnovo del Cda del Consorzio di Tutela, che dovrebbe esserci entro gennaio 2014, e, nello stesso periodo, la concessione dello sbloccaggio a docg dei 5 quintali per ettaro di vino moscato “congelato” sul modello francese, da parte di quelle aziende che, a quanto sembra, hanno venduto tutto il prodotto nel 2013 e ne hanno ancora bisogno. Per il primo punto bisognerà vedere se la parte agricola accetterà di buon grado il prolungamento, visto il rientro nel Consorzio di tre aziende (Martini & Rossi, Fontanafredda e Toso), della presidenza di Gianni Marzagalli (ex manager Campari) per altri tre anni, oltre i due già passati con un rimpastino del Cda che prevede l’allargamento a consiglieri delle aziende rientrate. Per il secondo tema bisognerà vedere se la parte agricola, sia disponibile a concedere lo sbloccaggio della quota di vino di cui le aziende hanno bisogno. In caso di “niet” non è difficile prevedere altre frizioni e contrasti per una filiera da tanti, troppi anni in effervescenza perenne. Ultima fonte di diatriba è quella di una eventuale terza docg, un Moscato d’Asti spumante che secondo alcuni servirebbe a fare piazza pulita degli spumantelli a base moscato che le aziende fano con i superi comprasti a basso costo, per altri servirebbe solo a fare confusione in un segmento di mercato dove i vini a base moscato sono già troppi.
Bene, in questo quadro che assomiglia in modo inquietante alla rissosa e inconcludente politica italiana, registriamo investimenti come quello di Gallo Winery e di altre eno-startup che puntano sul Moscato per fare business. Senza se e senza ma.
SdP
Una precisazione a seguito di alcuni lettori che hanno mandato commenti non qui, ma in via riservata: in questo post non si è voluto minimamente criticare la bontà commerciale di un’operazione assolutamente lecita, cioè la sinergia tra un’azienda straniera e un produttore italiano (ce ne fossero!), si è voluto, invece, sottolineare come l’Italia e il Piemonte abbiano eccellenze che meriterebbero di essere sfruttate meglio da chi le detiene come fanno, ad esempio, abili operatori commerciali stranieri. Tutto qui. Ed è banale e scontato dirlo, ma Gallo, evidentemente, ha rilevato come sul mercato Usa, oltre al semplice Moscato (californiano, sudafricano, australiano, italiano ma non piemontese, piemontese ma non docg, piemontese ma non doc) esista una domanda di Moscato d’Asti docg che va soddisfatta (vivaddio!) importando direttamente il prodotto dalla zona di origine. Quello che ci si augura è che la filiera colga (e sfrutti) le stesse cose.
Dalle informazioni assunte è proprio Moscato d’Asti DOCG imbottigliato (sembra) nella Valle del Belbo. Sempre meglio del ROSCATO prodotto con “uve rosse italiane Trentino-Alto Adige: Terolengo, Lagrein e Croatina” così si legge sulla presentazione e prosegue “Roscato Rosso Dolce è un vino prodotto blush in stile Moscato d’Asti, con zuccheri residui dandogli una finitura off-asciutto” : ‘ La fantasia degli americani che ‘ sto Moscato d’Asti lo ficcano dappertutto.
quelli della Gallo Winery sanno ben individuare le “galline” dalle uova d’oro…..non certo come i nostri “moscatisti” che non sanno far di meglio che litigare tra loro….come galli che si fermano al loro pollaio…..
se poi son soldi pubblici non hanno nemmeno colore…
…e allora Vespasiano al figlio Tito disse “pecunia non olet”
@Giovanni, quello che apprezzo in te è il gusto della provocazione… che non sempre viene colta da chi polemizza con te… e questo tuo ultimo intervento lo considero, appunto, una bella provocazione… ai produttori di uva, infatti, non può non interessare se le vendite le fanno gli italiani o gli americani… come non può non interessare la qualità delle uve e quella dei vini, tappo raso o spumante, che escono dalle cantine. Come scriveva anni fa un mio collega, il tempo dell’uva vendemmiata e salutata è finito. Che i piemontesi vendano in prima persona l’Asti e il Moscato docg è un primato che, a mio parere, deve essere difeso, non solo per un fatto di leadership commerciale o di orgoglio di territorio, ma anche, più concretamente, per difendere reddito, posti di lavoro, qualità della vita. E persino per difendere un paesaggio unico al mondo. Quanto alle liti, non scherziamo. Sono ancora convinto, pensa quanto sono romantico e ingenuo, che questa terra non abbia bisogno di americani, russi, tedeschi, cinesi o indiani che vengano ad insegnare come vivere e vendere. Sarebbe ora, a mio parere, che tutti mettessero da parte preconcetti e atteggiamenti da primadonna, per trovare, con umiltà (che non vuol dire remissione o sudditanza) soluzioni, invece di creare nuovi problemi, e fare davvero gioco di squadra. Epperò, riguardo a questo, tendo ad uno scoraggiante pessimismo…
@ Filippo questa sì che è una bella notizia. Se la Gallo. una delle più importanti aziende del vino a livello mondiale,investe sul Moscato d’Asti docg vuol dire che negli anni ’80 avevamo ragione a puntare sul Moscato d’Asti e negli anni ’90 a batterci per la Docg. Se la Gallo vende in America il Moscato d’Asti docg vuol dire che lo fa imbottigliare in una delle tre province (Alessandria,Asti, Cuneo) o nella frazione Pessione di Torino come vuole la legge. Ai produttori di uva moscato (95% dei 4200 contadini) poco importa se le vendite le fanno gli italiani o gli americani…La Martini & Rossi e la Gancia insegnano. Se invece questo prodotto è un prodotto taroccato, allora deve intervenire il Consorzio di Tutela. A proposito dei litigi, se nonostante tutti i litigi un’azienda americana come la Gallo investe sul Moscato d’Asti, bisognerebbe intensificarli, chissà magari qualche cinese, giapponese o coreano ….sognare non costa nulla.
Buon Moscato d’Asti
giovanni bosco