Parla Angelo Gaja: «Carte vocazionali dei vini piemontesi? Si, ma aggiornate e “trasparenti”. Nei costi»

inserito il 6 Agosto 2011

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del produttore vinicolo Angelo Gaia, da Barbaresco, in margine alla presentazione, avvenuta alcuni gironi fa, della Carta di Vocazionalità del Barolo e del Barbaresco.

Il documento – voluto dalla Regione Piemonte, indica posizioni più o meno vocate per la coltivazione del nebbiolo da Barolo e Barbaresco. Gaia non nega l’utilità di questi studi, ma ne critica i presupposti di partenza e consiglia anche un po’ più di trasparenza. Sui costi.

Ecco il Gaia-pensiero.

«Si è detto durante l’incontro di presentazione della Carta che:

– La carta potrebbe servire per contrastare la liberalizzazione degli impianti. Lo spauracchio della liberalizzazione è lontano a venire (2018-2020, Biestro); per contrastare la minaccia basta ed avanza fare osservare le norme più che esaurienti già contenute nel disciplinare.

– La carta si presta ad essere utilizzata per obiettivi di promozione della qualità, supportata da riconoscimenti oggettivi. Le Istituzioni debbono essere prudenti a rilasciare dei riconoscimenti oggettivi di qualità in un settore complesso e nobile come è quello del Barbaresco e del Barolo. Perché non è così scontato che i funzionari di Torino possiedano una specifica ed oggettiva

competenza, perché il marketing va fatto con altri supporti.

Durante il dibattito è emerso che:

– la fotogrammetria aerea si è rilevata imperfetta (Dellapiana);

– la saggezza dei viticoltori aveva per lungo tempo suggerito le posizioni migliori per gli impianti a vigneto di Nebbiolo; poi c’è stata una deriva, si è piantato anche a Nord e nei fondo valle (Rinaldi);

– una carta vocazionale che vieti di piantare là dove manca idoneità e nel contempo non obblighi ad espiantare i vigneti già esistenti di fondo valle ed esposti a Nord, non garantisce un criterio di equità (Brezza);

– il progetto della carta vocazionale servirebbe di più in aree attualmente ancora poco coltivate, ove in futuro la viticoltura avrebbe concrete possibilità di estendersi, anziché in aree già densamente impiantate, ricche di storia e di tradizione come sono Barbaresco e Barolo (Biestro);

– non si capisce a cosa serva la carta di Vocazionalità del Barolo e Barbaresco, manca la descrizione del fine, dell’obiettivo (Gaja).

La carta di Vocazionalità non si avvale di alcuna ricerca scientifica sul terreno; non tiene conto del cambiamento climatico che da anni ormai (non soltanto nel 2003 e nel 2007) consente di fare qualità anche in esposizioni che in passato erano ritenute meno favorite; raccoglie dei dati storici d’archivio che viticoltori e produttori conoscono da sempre. Non è un lavoro inutile però chiamarla Carta di Vocazionalità è fuorviante.

E’ stato detto che la Regione Piemonte ha speso un importo modesto per commissionare la Carta di Vocazionalità del Barolo e del Barbaresco ma non è stato precisato quanto ed è un peccato perché sarebbe bello che si avviasse un progetto di trasparenza della spesa pubblica destinata ad operazioni di promozione. Identicamente, posto che si intenda affrontare il progetto di estendere le Carte di Vocazionalità a tutte le Denominazioni del Piemonte, va prima reso noto ai Consorzi di tutela il preventivo complessivo di spesa pubblica».

Angelo GajaBarbaresco

2 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 3 Febbraio 2012 at 12:27 -

    non sbagli… 😉

  2. vino barolo 27 Gennaio 2012 at 12:29 -

    bhe se non sbaglio i vini piemontesi hanno ricevuto anche più premi di quelli toscani no?!

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