Per scoprire la razza bovina francese “Blonde d’Aquitaine“, una delle più pregiate al mondo, con capi che nascono in Francia e sono poi allevati in Italia, si comincia con una visita a un allevamento modello. In provincia di Cuneo.
L’azienda è quella dei cugini Villosio a Cardé, a due passi da Saluzzo. Si parla con l’allevatore, Domenico Villosio, che cura 800 capi con 60 ettari coltivati a mais per l’alimentazione dove nulla va sprecato. «Il mangime oer i vitelli deriva da un pastone di pannocchie e mais che produciamo dal nostro raccolto. Il resto della piante serve da mettere nelle stalle dove stanno gli animali. Non bottiamo via nulla» spiega l’allevatore.
Da Simone Mellano, direttore di Asprocarne Piemonte, si conoscono i dati di un progetto franco-italiano – più o meno 100 mila capi l’anno transitano da Francia e Italia – che da anni mette al centro la qualità delle carni e che ha proprio nella cooperativa piemontese Asprocarne – 400 soci, presidente è l’allevatore chivassese Franco Martini – il braccio operativo in provincia di Cuneo.
E si scopre che negli allevamenti che lavorano bene anche la sostenibilità ambientale è tenuta in conto, con impianti fotovoltaici, riciclo delle acque, uso di mangimi autoprodotti, mitigazione della CO2, ma soprattutto dell’ammoniaca, «Che è l’elemento più da tenere sotto controllo» avverte Mellano.
E poi si finisce con un pranzo in uno dei luoghi più iconici di Saluzzo, il Monastero della Stella, edificio che risale ai Secolo XVI e XVII, trasformato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, con una incredibile opera di riconversione che abbina storia a innovazione, in un centro eventi all’avanguardia dove, con la guida del giornalista, enogastronomo ed editore (vedi qui), Paolo Massobrio, il ristorante Monviso realizza un pranzo dove tutte le caratteristiche della carne della Blonde d’Aquitaine sono esaltate al massimo in un mosaico di tenerezze e gusti.
Però, certo, la domanda del perché in terra piemontese si allevino capi francesi è legittima. La risposta, di tecnici e allevatori, è pressoché unanime: la produzione in Italia è insufficiente per la richiesta interna. Quindi si importano capi e carni dall’estero. La collaborazione con gli allevatori e operatori francesi, «che hanno un lunga esperienza in fatto di selezione bovina» sottolinea Mellano, insieme alla grande capacità e accortezza di allevamento delle aziende italiane, è una delle strade più virtuose per avere carni europee di altissima qualità e sicurezza.
Per questo, come sottolinea nella nostra intervista, non senza qualche nota di amarezza, Franco Martini, c’è esigenza di approvare una legge che obblighi la ristorazione a indicare la provenienza della carne che va a finire nei piatti dei commensali. «Abbiamo dopositato un disegno di legge nel 2009 al Senato» dice il presidente di Asprocarne. Fino ad oggi, però, niente di fatto. C’è da chiedersi quanti Governi e di quali colori politici si siano succeduti in tutti questi anni.
Tornando alla Blonde d’Aquitaine, che nelle macellerie piemontesi è spesso proposta insieme alle varietà autoctone e di grande prestigio come la Razza Piemontese, il progetto c’è ed ben supportato come anche Massobrio conferma. E chissà che non si arrivi anche per la “Blonde” a un evento popolare in stile “Bue Grasso”
Filippo Larganà
foto e video Vittorio Ubertone