Ci sono storie che si raccontano da sole. Quella di Romano Dogliotti, vignaiolo in Castiglione Tinella, terra di mezzo sospesa sulle colline tra Cuneese e Astigiano, è la storia di uomini e donne con una vocazione: il Moscato in tutte le sue declinazioni.
Molte vite interrotte hanno ricominciato a scorrere dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Anche quella di Redento Dogliotti, padre di Romano, si riprende dagli orrori del conflitto. È giovane, Redento, ha due braccia forti, una moglie bellissima, la salute e una vigna florida dove coltiva moscato. E poi arriva un bimbo biondo e birbante che lo segue come un’ombra e fa tutto quello che lui gli dice. Romano ha la stoffa del vignaiolo di razza. Suo padre se ne accorge subito. E se lo “coltiva” come le sue viti. I frutti, ottimi, arriveranno.
Redento lavora sempre. Anche di notte. Quando i braccianti e gli altri vignaioli dormono lui non dorme. Prende i suoi attrezzi e gira per le cascine della zona come contoterzista. Uno stakanovista, si direbbe. O semplicemente uno innamorato della sua terra e del durissimo lavoro che bisogna fare per coltivarla. Il giovane Romano è affascinato da questa figura di padre instancabile, con il viso scolpito dal sole di Langa e il fisico possente da granatiere lituano, come lo definirà lo scrittore Mario Soldati. Redento lo porta nella vigna, gli fa conoscere la durezza e la bellezza del lavoro. Quello fisico, atavico, che mette davanti a prove muscolari e intellettive. Quello che rende stanchi ma liberi. Quello che a volte curva, ma non piega. E poi c’è il moscato. Padre e figlio si rigirano in mano quei grappoli d’oro da cui si ottiene un vino inenarrabile. Romano beve ogni parola, ogni gesto di Redento che guarda suo figlio come in uno specchio. Come i padri guardano i figli. Il lavoro insieme è più di un rapporto di sangue. È una fusione completa di menti, spiriti, sentimenti, aspirazioni, di progetti, di vite passate e future. A 14 anni Romano è già sul trattore, senza patente, a fare su è giù dalla vigna alle cantine di fondovalle. Lo fermano i carabinieri e gli fanno la multa. Fa parte del gioco. Passano gli anni e le vendemmie. Romano cresce e Redento invecchia. Lui, però, prima di scendere da quella giostra che si chiama vita (o vite?) vorrebbe volare. Non per finta, ma proprio su un aeroplano. Dice Romano: «È il mio cruccio. Non sono riuscito a portarlo su un aereo. Lui non mi voleva vignaiolo. Sognava che facessi l’aviatore. Ma si sa, gli asini non studiano, e allora…».
Con Romano la cascina di Redento diventa La Caudrina. Il Moscato diventa griffe conosciuta in tutto il mondo. Romano incontra Bruna. Nascono in tre: Alessandro, Sergio e Marco. Oggi sono tutti La Caudrina. Non servono articoli determinativi. Loro sono la vigna che l’azienda che è Moscato, ma anche Barbera e altri vini nobili piemontesi. E i premi fioccano. C’è anche la medaglia di Cangrande della Scala., quella che danno ai vignaioli top al Vinitaly di Verona. Romano è andato a ritirarlo avvolto nel suo mantello nero e con in testa il solito cappellaccio da ranchero. Qualcuno giura che in quel momento somigliasse in modo impressionante a Redento.
Seduto davanti al camino acceso Romano torna indietro nel tempo e racconta. Parla di Redento, della vigna, dei viaggi per vendere il Moscato, di quella volta che lui e Redento andarono ad Aosta per una fiera e lui se lo perse, Redento.
Lo trovò solo a tarda sera. Era andato in aeroporto a vedere volare gli aerei.
Durante la vendemmia Romano passeggia tra i filari come fa un pastore tra il gregge. Guarda a destra e a sinistra. Accarezza i tralci. Palpa i grappoli gonfi e caldi di succo. Ogni tanto stacca un acino e ne succhia la polpa. Sono gesti d’amore, ma anche di chi ha un rapporto speciale con la vigna. Non è solo lavoro, non è solo poesia. È un insieme di entrambi. È la vita.
Dal cortile della sua cantina, da cui si gode un panorama mozzafiato sulle Langhe e le Alpi, parla di moscato. Lascia da parte diatribe e liti, il dispiacere per l'incendio che qualche mese fa gli hanno appiccato dei ladri balordi e che ha distrutto la sua collezione privata di bottiglie con i ricordi di una vita da vignaiolo, e rassicura: «Il Moscato va. Piace ancora. All'estero e in Italia, anche se da noi la crisi morde feroce e bisogna fare i salti mortali».
Il video di SdP lo testimonia: lo spirito di big Romano c'è tutto, insieme ad alcuni preziosi consigli su come e perché brindare con un buon bicchiere di bollicine dolci piemontesi, non solo a Natale o a San Silvestro, ma tutto l'anno e ad ogni ora della giornata.
Parola di Romano Dogliotti.
Insomma, come si dice: se c'è vita c'è speranza... e con un calice di Moscato diventa tutto più dolce... o quasi.
Il Moscato d’Asti (La Caudrina e La Galeisa) prima di tutto e tutti, poi c’è l’Asti docg (La Selvatica) e il Passito di Moscato dedicato a Redento e la grappa di Moscato. Poi le Barbere (La Solista e Montevenere e La Guerriera), il Dolcetto (Campo Rosso), un vino Sfacciato da uve nebbiolo e lo Chardonnay detto Mej.
Sono undici come una squadra di calcio.
Momenti fermati nell’istante in cui esistono. Romano, la sua famiglia, le sue viti, i grappoli, la collina, il paesaggio, la sua vita.
Il racconto per immagini è solo un tassello di un quadro più grande.