Slow Food avverte che dal rapporto di medio termine sulla biodiversità della Commissione Europea il panorama sarebbe sempre più allarmante. E su questa base il movimento di cultura del cibo e ambiente fondato dal piemontese Carlin Petrini propone una propria soluzione lanciando l’osservatorio sulla biodiversità.
«Tutti sappiamo che il panda o l’orso polare sono specie a rischio di estinzione – si legge in una nota di SF -. Eppure pochi sanno che, molto più vicino a noi, stanno scomparendo razze di capre, pecore o vacche o ancora varietà vegetali, frutti, pani, salumi e, con loro, territori, saperi, storie e produzioni di piccola scala. A dircelo, in questi giorni, sono i dati allarmanti pubblicati dall’Unione Europea nel suo rapporto di medio termine sul monitoraggio della biodiversità in Europa. Il 77% degli habitat europei è in crisi, il 56% delle specie è a rischio e l’impronta ecologica di un abitante del vecchio continente si aggira intorno ai 6 ettari (a fronte dei 2 previsti dall’indice di sostenibilità)».
Per Slow Food le ragioni di questa situazione sono le pratiche agricole intensive e il progressivo abbandono delle campagne, uniti a fenomeni di urbanizzazione e di inquinamento chimico.
«Di fronte a questo panorama desolante – riferisce ancora la nota -, una speranza esiste e parte necessariamente da scelte individuali, da una nuova consapevolezza verso la nostra terra». In questo senso si indirizza la denuncia di Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità: «Slow Food – dice – lavora per salvaguardare la biodiversità agroalimentare da oltre 15 anni, e con i suoi progetti dei Presìdi e dell’Arca del Gusto ha raggiunto risultati concreti in tanti Paesi del mondo, come attesta una ricerca condotta con le Università di Torino e di Palermo. Ma si tratta di una goccia nel mare e dobbiamo dire forte e chiaro che ci vuole una vera, totale rivoluzione culturale: questa situazione disastrosa si può invertire solo cambiando gli stili di consumo di tutti noi. Per reagire a una situazione di estrema emergenza, Slow Food istituisce un Osservatorio sull’agrobiodiversità, con cui puntare i riflettori su situazioni problematiche, indicare i possibili rimedi e dare enfasi ai risultati positivi già ottenuti. La scelta di campo tra due modelli produttivi deve essere chiara: la produzione agroalimentare intensiva è la causa principale di perdita di biodiversità. Il modello di agricoltura multifunzionale, polivalente e di piccola scala è invece in grado di mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali, di preservare la biodiversità e di garantire l’integrità degli ecosistemi».
Dopo la battaglia sul cibo di qualità, quella sulla sua sostenibilità ambientale contro ogni forma di inquinamento anche eocnomico, la lotta per l’integrazione tra il Nord e il Sud del Mondo, ecco che Slow Food apre il fronte sulla biodiversità, in un momento in cui da più parti, comprese alcune associazioni di rappresentanza agricola predicano l’industrializzazione dell’agricoltura come unica via per risolvere i mali del pianeta, dalla fame all’inquinamento. Visioni diametralmente opposte. Non resta che vedere quale si dimostrerà più utile per l’umanità. Anche se i tempi di attesa non sembrano essere brevissimi.
SdP