Vuol diventare grande, ma non troppo. Vuole diventare famoso, ma nel modo giusto e per realizzare questi desideri ha deciso di cambiare nome.
Il soggetto della “metamorfosi” è il Timorasso, vitigno, uva e vino al centro di un progetto che dal visionario primo step che si deve a quel guru anti-fafiuché (traduzione per i non piemontesi: fafiuché = fannullone, includente) di Walter Massa, primo tortonese che più di trent’anni fa ebbe fede e investì in quei colli e quelle vallate dove il vitigno Timorasso stava scomparendo (ce n’era meno di un ettaro, oggi sono quasi 200 e arriveranno a 300), conta oggi molti attori, alcuni blasonatissimi produttori di Barolo e Barbaresco con un’eccezione eclatante, l’astigiano Giorgio Rivetti de La Spinetta-Contratto che dal mondo della Barbera e del Moscato d’Asti è passato a quello del Barolo e poi alla Toscana e all’Alta Langa, e quindi, come SdP ha anticipato un mese fa (leggi qui), alla zona del Timorasso acquistandone trenta ettari.
Da qui l’idea di Rivetti di organizzare una “gita d’istruzione” con una “classe” di giornalisti e persone “informate dei fatti”, nel pieno rispetto delle regole Covid: mascherina, gel igienizzante come se piovesse, pulmino con posti distanziati, passeggiata tra le vigne, due chiacchiere con Rivetti, con il collega produttore Walter Massa, col presidente del Consorzio Colli Tortonesi, Gianpaolo Repetto e la conduzione del giornalista Sergio Miravalle.
Cosa è venuto fuori? Dalla gita in vigna c’è stata la conferma che i trenta ettari Rivetti e la sua famiglia l’hanno acquistati eccome (nell’ambiente c’era chi aveva espresso garbatissimi dubbi) spendendo per l’operazione oltre una decina di milioni di euro e mettendo insieme, non senza sforzo, più di una ventina di piccoli appezzamenti con relativi atti di vendita.
È venuto fuori che la zona di Monleale e Montemarzino con le località dai nomi tra il romantico (Pozzo delle rose), il fantastico (Scaldapulce) e il territoriale (Scrimignano), oltre a essere tra le più belle e incontaminate del Piemonte vinicolo, è anche densa di una biodiversità da preservare, con i vigneti, certo, ma anche frutteti e boschi e allevamenti (qui si fa uno dei salami crudi più buoni d’Italia).
Ed è venuto fuori anche che, al di là dei dati e dei numeri con il Timorasso che cresce in ettari e produttori, i barolisti (e non solo) che investono e fanno la felicità di mediatori e proprietari dei pochi appezzamenti ancora in vendita, danno forza alle prospettive future di un vitigno che si allontana sempre di più dalla zona “Panda”.
In questo senso Giorgio Rivetti assicura come il Timorasso sia vino internazionale e che meriti di essere distribuito in tutto il mondo, ma senza esagerare perché poi, come insegnano altre denominazioni, una crescita incontrollata porterebbe a ripercussioni difficilmente prevedibili e potenzialmente pericolose.
C’è poi il nodo del nome. Essì, perché il presidente Repetto e Massa l’hanno detto chiaramente, il nome Timorasso dovrà lasciare il posto gradualmente a Derthona, antico nome di Tortona, patria del vitigno. Il motivo è legato alla tesi secondo la quale una denominazione vinicola acquista forza e tutela solo se legata al territorio.
Non è solo una tesi, per la verità, secondo le leggi internazionali i nomi di vitigni non solo tutelabili perché patrimonio di tutto il mondo.
Diverso il discorso per le località che, evidentemente, godono di una tutela esclusiva. Così se si dice Moscato d’Asti s’individua una tipologia precisa che è anche una dop (una docg in Italia), con un’area di produzione identificata e tutelata per legge. Ma niente paura, i produttori tortonesi potranno comunque indicare il nome Timorasso in etichetta preceduto da Derthona come ha puntualizzato Repetto che, tuttavia, ha ribadito il desiderata che si arriva alla sola denominazione Derthona.
Ora, al di là della questione del nome, che pure terrà banco in qualche modo perché i produttori sembrano essere divisi su questo, lo stesso Rivetti (e, per quanto conta, anche noi di SdP) ha avanzato più di qualche perplessità, resta il fatto che quelli del Timorasso-Derthona, guidati da un Walter Massa che dovrebbe piantarla lì di darsi dello sciocco perché l’abbiamo capito tutti che è un visionario lucidissimo a cui nessuno può contestare il talento di vedere ora quello che altri vedranno, forse, tra un po’ di anni, puntano a un futuro pieno di successi sull’onda dorata di un vino che merita tanto e Giorgio Rivetti lo ha ribadito con una promessa da astigiano doc (anche se gli danno dell’albese lui è di Castagnole Lanze): «Siamo venuti qui non metterci addosso una medaglia, ma per fare impresa, per creare un’azienda solida, grande, strutturata e per contribuire a costruire quella rete di accoglienza enogastronomica, turistica, culturale e sociale che fa grande un territorio, come è successo nell’albese e in altre aree vinicole di pregio del Piemonte».
Non è la prima volta che i Rivetti investono in eno-zone piemontesi. Lo avevano fatto quattro anni fa con l’Alta Langa acquistando 40 ettari in quel di Bossolasco come SdP aveva annunciato con un’esclusiva (leggi qui)
Parole che hanno un certo valore anche a fronte delle risorse investite nella zona del Timorasso/Derthona dalla famiglia Rivetti.
Ora, però, c’è la prova del nove. I Rivetti, con l’etichetta La Spinetta, hanno lanciato il loro Colli Tortonesi doc Timorasso. E bisogna venderlo. A regime sarà presentato anche sui mercati internazionali. Giorgio Rivetti e la sua famiglia ci credono. Walter Massa non nasconde la soddisfazione per veder volare un vitigno che lui, insieme un manipolo di prodi, ha salvato dall’oblio.
Il Consorzio sta pianificando la governance di un grande bianco piemontese che ha culla in un posto del Piemonte che, per molti motivi, sa di Liguria e di Emilia, insomma di Italia nonostante tutto e tutti.
Quindi buon viaggio Timorasso o Derthona o entrambi.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)