Querelle Asti/Moscato. Brozzoni (SemVeronelli): «Una follia». Intanto Lega e Zonin flirtano col Prosecco

inserito il 23 Novembre 2011

Parliamo ancora della querelle sull’allargamento della zona del moscato alla città di Asti. I giudici hanno dato ragione a chi l’ha sempre negata. Molti vignaioli, Comuni e associazioni di categoria sono contrari. Il sindaco di Asti, Giorgio Galvagno ha detto a Sdp che tenere fuori la sua città dall’area di produzione è sbagliato e deleterio. Se ne è parlato anche in una recente assemblea pubblica voluta dalla Regione Piemonte e organizzata d’intesa con il Consorzio di tutela che, invece, per blindare la denominazione aveva aperto all’ingresso nella docg di Asti (e dei 20 ettari a moscato che l’industriale Zonin ha in città).

Sulla riunione canellese Sdp ne ha fatto una diretta twitter seguitissima, dando spazio – come sempre – a tutti, favorevoli e contrari.

Ma come veramente viene vista da fuori Piemonte  questa vicenda? Come la vede chi non abita e non lavora nelle province del Moscato, cioè Astigiano, Alessandrino e Cuneese?

Beh un risposta la dà l’intervento, pubblicato qualche giorno fa sulla newsletter “Il Consenso”, di Gigi Brozzoni, noto ed autorevole eno-giornalista, curatore della Guida Veronelli e direttore del Seminario Permanente Veronelli.

Nel suo servizio – che pubblichiamo integralmente con l’autorizzazione dello stesso autore – Brozzoni coglie una schizzofrenia di fondo del mondo del moscato piemontese, da sempre diviso – e sarebbe proprio ora di finirla – tra tradizione e innovazione, tra mercato e territorio, tra industria e vignaioli, tra poteri più o meno “forti” e movimenti più o meno di base.

Ora ecco il testo di GB, con una nostra breve nota conclusiva e una sorprendente news che arriva da Casa Prosecco. C’è un po’ da leggere, d’accordo, ma convinti come siamo che la comunicazione, libera e non a senso unico, sia alla base di una civiltà migliore, crediamo che lo sforzo verrà ripagato in termini di conoscenza e completezza di informazione. Buona lettura.

«Storie di ordinaria follia

La premessa

“La certezza del diritto” è uno dei concetti che più mi hanno colpito da quando mi occupo di vino. Lo proferì Calogero Mannino, allora Ministro dell’Agricoltura, nel corso di un convegno da noi organizzato al Vinitaly sui temi di legislazione vitivinicola. Da sempre questo concetto è stato alla base di ogni nostro ragionamento sul complesso di leggi e norme che governano la produzione di vino in Italia e nel Mondo.

La scoperta

Che Asti non potesse produrre Asti è stata una scoperta così sconcertante che inizialmente abbiamo pensato ad una burla; come se venissero a dirci che a Barolo non si potesse produrre Barolo, che a Soave non si potesse produrre Soave, che a Taurasi non si potesse produrre Taurasi. E invece è vero. Anzi, peggio. Perché da ora l’Asti ad Asti “non s’ha da fare, né oggi né mai”.

Le origini

Tutto inizia nell’agosto 1967, quando viene approvata la Doc Moscato d’Asti e Asti (Spumante) con il relativo Disciplinare di produzione; nell’articolo che delimita la zona di produzione, il comune di Asti non viene inserito, perché la città, che in quel momento storico guardava più alle prospettive industriali che a quelle agricole, non poteva immaginare che le cose sarebbero notevolmente cambiate cinquant’anni dopo ed inoltre i pochi vignaioli che avevano vigne nel comune di Asti mai si sono preoccupati di essere inclusi o esclusi dalla produzione di Moscato e tanto meno se ne preoccuparono le loro organizzazioni di categoria.

Il percorso normativo

Nel corso degli anni la Doc Moscato d’Asti viene modificata numerose volte fino al passaggio alla categoria Docg che avviene nel novembre 1993 e che non modifica nella sostanza il Disciplinare di produzione del 1967, quindi Asti continua a rimanere esclusa dalla zona di produzione di Asti. È del 2002, invece, la determina 173 della Regione Piemonte, che blocca l’aumento degli ettari vitati della Docg delle tre province interessate, ovvero Alessandria, Asti e Cuneo. Tradotto in termini pratici significa che chiunque voglia iscrivere un ettaro di vigna alla Docg dovrà acquistarne il diritto di reimpianto da chi è disposto a espiantare la propria vigna, contro il pagamento di una quota che è partita da circa 30.000 Euro ad ettaro è ora arrivata a quota 50 mila.

Il peccato originale

Presso l’azienda Castel del Poggio, 152 ettari in comune di Asti, Gianni Zonin pianta 20 ettari di Moscato Bianco, ma per poterli iscrivere alla Docg ha bisogno che il disciplinare di produzione incorpori il comune di Asti tra quelli autorizzati. A tal fine contatta l’allora Ministro dell’Agricoltura Paolo De Castro il quale, cercando di imitare il Giovanni Goria che in dirittura d’arrivo del governo nel 1992 fece approvare in fretta e furia la nuova legge 164 sulle Doc, inserì nel maggio 2008 un decreto legge che ampliava l’area di produzione dell’Asti ad Asti. Contro questo improvvido provvedimento ricorrono al Tar del Lazio i Produttori Moscato d’Asti Associati, chiedendone la sospensione. Ma il Tar respinge la domanda e i Produttori Moscato portano la questione al Consiglio di Stato il quale, non sapendo che pesci pigliare, si rifugia in un provvedimento a tempo, limitando il divieto di produzione solo “nella presente annata”. Nel frattempo gli intrepidi Produttori Moscato ricorrono anche contro la decisione del Tar, che nel febbraio 2009 annullerà definitivamente il decreto ministeriale di De Castro.

Il delirio

«Un risultato che premia la sua determinata difesa degli interessi agricoli e dell’intera economia del Moscato»: così si espresse l’associazione Produttori Moscato d’Asti all’indomani della seconda sentenza del Tar. Forse dimentichi che si trattava di 20 ettari sugli oltre diecimila dell’intera Denominazione, vale a dire lo 0,2%. Come questa briciola potesse compromettere gli equilibri e gli interessi dei coltivatori ci risulta difficile capire. Forse che gli impavidi Produttori Moscato in questo modo intendessero tenere lontano il diavolo Zonin dalle acquesante del Moscato, distratti o dimentichi del fatto che Zonin produce già Asti (300.000 bottiglie) e Moscato d’Asti (180.000 bottiglie), rigorosamente Docg, dalle altre sue tenute piemontesi? Poiché non crediamo ci siano tanti sprovveduti nell’ambiente del Moscato, appare chiarissimo che i motivi di tanto accanimento devono essere cercati altrove. E allora andiamo a cercarli.

Numeri. Sempre numeri. Stramaledettamente numeri

Per prima cosa chiariamo che il giochino dei diritti di reimpianto, 50mila moltiplicato per 20 ettari, fanno un bel milioncino di Euro, e un milioncino di Euro sappiamo che non sono bruscolini. I maligni/uno sostengono che il peccato originale di Zonin e De Castro fu commesso per evitare di spendere questo denaro. I maligni/due sostengono, invece, che qualcuno aveva sperato di espiantare degli scassati e improduttivi vigneti pianeggianti e di venderne i diritti alla bella sommetta di 50.000 Euro per ettaro, perché anche 50.000 Euro per ettaro non sono bruscolini. Ma… c’è sempre un ma, anche con i numeri; anzi, ce ne sono due. Primo ma: entro la primavera prossima verrà ultimata la misurazione effettiva, supportata dalla precisione delle fotografie aeree, dell’intero vigneto di Moscato Docg delle tre province e tutti sanno ormai che il totale risulterà ben al di sotto del limite che la Regione aveva fissato nel 2002, in tempi di eccedenza produttiva, per cui, con tutta probabilità, dalla primavera 2012 non sarà più necessario pagare diritti di reimpianto fino al raggiungimento del tetto massimo fissato, in quanto attualmente la domanda di Moscato da parte dei mercati internazionali è nettamente superiore all’offerta; di conseguenza, non aspettereste voi tutti la prossima primavera per risparmiare, senza colpo ferire, un bel milioncino di Euro? Si potrebbe obiettare che non sarebbe proprio “senza colpo ferire”, perché quello o quelli (parafrasando potremmo chiamarli i “furbetti del moscatino”) che si aspettavano i famosi 50mila per ettaro vedrebbero svanire in un batter d’occhio il loro sogno di gloria (bancaria); o, se preferite, Babbo Natale che si è dissolto nel nulla. Secondo ma, che ha persino del clamoroso: il direttore del Consorzio Tutela dell’Asti, Giorgio Bosticco, ci informa che non c’è mai stata intenzione da parte di Gianni Zonin di negare un suo impegno economico a favore del territorio astigiano, tanto che si è progettato di finanziare, con quel milioncino di Euro, una campagna promozionale della durata di tre anni a favore dell’Asti e del Moscato d’Asti nel mondo. La notizia ci è stata fermamente confermata dallo stesso Zonin. Solo che, a chi aveva pensato di sbarazzarsi del o dei suoi vigneti di Moscato, che gliene importa della promozione del Moscato nel Mondo?

Alla riscossa

Non certo domato, Gianni Zonin rilancia la sua richiesta di inserimento di Asti nel territorio dell’Asti trovando due alleati formidabili: il professor Lorenzo Corino, direttore dell’Istituto Sperimentale di Viticoltura di Asti, che, dopo un approfondito studio pedo-geologico dei territori di Asti, afferma come vi siano ottimi ambienti idonei alla coltivazione di Moscato, con eccellenti risultati qualitativi, smentendo così tutti quelli che sostenevano, per partito preso e senza un minimo di scienza, che i terreni di Asti non fossero adatti alla viticoltura, negando così l’evidenza che le colline astigiane si formino proprio in territorio di Asti. Il secondo alleato è Giorgio Galvagno, sindaco di Asti, che caldamente appoggia la richiesta di ammissione di Asti all’Asti Docg. Con queste argomentazioni, e seguendo le corrette procedure burocratiche, viene chiesto al Comitato Nazionale Vini l’approvazione della modifica del Disciplinare di Produzione dell’Asti e del Moscato d’Asti.

La nuova legge 61

Siamo giunti all’8 aprile del 2010, quando arriva il Decreto Legislativo n. 61 che recepisce i nuovi orientamenti della Comunità Europea in ambito vitivinicolo. Il primo comma dell’articolo 4 recita così: «Le zone di produzione delle denominazioni di origine possono comprendere, oltre al territorio indicato con la denominazione di origine medesima, anche territori adiacenti o vicini, quando in essi esistano analoghe condizioni ambientali, gli stessi vitigni e siano praticate le medesime tecniche colturali ed i vini prodotti in tali aree abbiano uguali caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche.» Rileggete bene queste poche righe, perché dietro questa apparente convenzionalità del tema si nasconde un concetto rivoluzionario per l’Asti. C’è scritto che senza Asti non esiste la denominazione Asti. C’è scritto che se c’è Asti ci possono essere i territori adiacenti o vicini, ma senza Asti non c’è nessun territorio. Ebbene, cosa pensate abbia fatto il Comitato Nazionale Vini? Pensate che si sia posto il problema di adeguare i disciplinari di produzione alla nuova normativa generale? Assolutamente no. Anzi. State a sentire.

Chi perde vince, chi vince perde, fate il vostro gioco

Non siamo più in ambito storico, siamo alla cronaca. Arriva il giorno della votazione della richiesta di modifica del Disciplinare di Produzione della Docg Asti e Moscato d’Asti; siccome si sospetta che i componenti del Comitato Nazionale Vini e il Presidente Giuseppe Martelli possano essere sottoposti a tensioni e pressioni esterne optano per la votazione segreta al fine mettere tutti i membri a loro agio; naturalmente tutti sanno che questa votazione prevede un quorum di ¾ dei votanti e tutti sanno che questo è un legalissimo escamotage per bocciare qualsiasi richiesta. Dei 31 presenti le schede votate risultano: 22 sì, una nulla, 8 no. Chi vince? Gli 8 no, naturalmente. Il gioco è fatto.

Una domanda inquietante

I membri e il Presidente del Comitato si sono accorti che, agendo su mandato del Legislatore, si sono opposti alla legge del Legislatore? E il Legislatore si è accorto di aver nominato dei membri e un Presidente di Comitato che si oppongono al suo volere di Legislatore?

Ai posteri l’ardua sentenza?

Ma manco per niente. Perché il tempo a nostra disposizione è scaduto. Il Comitato Tutela Vini ha esaurito il suo compito ed ora le competenze per la gestione delle Denominazioni di Origine Protetta passano direttamente alla Commissione Europea. La quale appena si troverà sul tavolo un ricorso contro il disciplinare di produzione della Dop Asti e Moscato d’Asti non potrà fare a meno di cancellare, depennare, annullare la Denominazione intera, perché mancante del requisito principale, ovvero di quel “territorio indicato con la Denominazione di origine medesima”.

Per concludere, che si è fatto tardi

Che straordinario Paese è l’Italia e che straordinario popolo è il nostro! Nonostante si sia governati e amministrati in questo modo continuiamo ad essere la settima potenza industriale al mondo e la prima o seconda (il dibattito è ancora aperto) potenza vitivinicola al mondo. Qualche volta, però, ci facciamo prendere dallo sconforto e ci ritorna in mente un vecchia favola, chissà da chi inventata, se mai qualcuno l’avesse inventata: narra di quel segretario comunale, o qualche cosa di simile, di una piccola città francese appena finita la Rivoluzione del 1789. Il boia, terminato il suo gravoso e truce compito, si apprestava a riporre, debitamente smontata, la ghigliottina nel sottoscala del palazzo comunale. Al che gli si avvicinò il segretario che gli disse: «Ora la riponiamo, ma tienila sempre oliata, perché non si sa mai cosa possa succedere un domani».Capisco che ai più questa storiella della Rivoluzione Francese possa sembrare un po’ troppo greve e lugubre e allora ve ne racconto un’altra, anch’essa, però, di origine ignota. Narra di un valente funzionario del Cremlino che un giorno si trovò sulla scrivania il messaggio di recarsi urgentemente a Dudinka, Siberia nord orientale per una missione della massima importanza e segretezza. Il nostro solerte funzionario si recò alla stazione ferroviaria di Mosca e si diresse alla biglietteria scegliendo lo sportello meno affollato. Dopo più mezz’ora di coda, dall’impiegato allo sportello gli venne spiegato che per il biglietto per quella località doveva recarsi allo sportello 124 bis, in fondo alla sala. Non c’era coda a quello sportello, ma un cartello non molto in vista avvertiva: biglietti di sola andata.»

(G.B.)

Fin qui l’intervento di Brozzoni che abbiamo pubblicato senza tagli per non snaturarne spirito e messaggio.

Un paio di cose aggiungiamo: 1) siamo certi che eventuali commenti saranno espressi in perfetta civiltà e tolleranza, come è costume del popolo del moscato e, quindi, anche di questo blog. 2) che a quetso link – http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/11/03/news/il-carso-rifiuta-zonin-e-il-prosecco-di-prosecco-1.1642759 – si trova un interessante articolo comparso qualche giorno fa sul Piccolo, quotidiano del Nord Est (non romano, eh…) nel quale si parla della vicenda Prosecco/Carso/Zonin, per certi versi simile a quella Moscato/Asti/Zonin.

Ma la cosa interessante è la reazione dell’assessore all’Agricoltura del Comune di Trieste, Claudio Volino, che si duole perché all’industriale veneto non è stato possibile impiantare vigneti a Prosecco nel suo territorio dando vita al Presecco di Prosecco (non richiama l’Asti di Asti?) e promette di dare una mano.

In Piemonte, come si sa, l’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto la pensa diversamente e da subito ha dichiarato di essere contrario ai progetti espansionistici di Zonin.

E pensare che Sacchetto e Volino sono dello stesso partito, la Lega Nord. Evidentemente nel carroccio le posizioni cambiano non solo quando si parla di Nord e Sud, ma anche di Est e Ovest.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)


6 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. Gianluigi Bera 13 Dicembre 2011 at 19:59 -

    @ Maurizio Gily: il nome “Asti” (nelle varianti “Asti Spumante”, o “Asti uso Champagne”) si affermò commercialmente alla fine dell’Ottocento per una serie di motivi:
    1) perché nella città di Asti il territorio di produzione si riconosceva orgogliosamente sul piano identitario;
    2) perché nella città di Asti esistevano molte cantine di “negociants manipulateurs” che spumantizzavano e commercializzavano il Moscato;
    3) Perché all’epoca Asti aveva una notorietà ed un prestigio enologico di livello internazionale;
    4) Perché gli industriali canellesi dell’epoca facevano molto gioco di squadra con gli astigiani;
    5) Perché il nome Asti fu ritenuto più facile ed immediato nelle lingue straniere;
    6) Perché in vista dell’ampliamento dell’areale di produzione non si voleva dare una visione troppo municipalista;
    7) Quando tra le due guerre fu delimitata per legge la prima “Zona Tipica” (mi pare nel 36 se non ricordo male) il marchio “Asti” era già commercialmente affermato e dominante. L’ipotesi “Canelli” fu sollevata, ma incontrò l’opposizione campanilistica ed un po’ miope degli altri comuni dell’area individuata, che preferirono un nome neutrale per non privilegiare un comune soltanto.

  2. maurizio gily 6 Dicembre 2011 at 11:22 -

    Come sempre Bera è saggio e documentato e sottoscrivo, ma anche Gigi Brozzoni non ha torto quando dice che non esiste al mondo una denominazione geografica con questo “baco” (ed anche, ma questa è solo un’opinione, che la posta in gioco è talmente piccola da non giustificare tutte queste barricate). Non so come andrà a finire sul piano legale, non so se la previsione di Gigi sia giusta, penso che non lo sappia nessuno perchè immagino una totale assenza di precedenti, quale denominazione prende il nome da un comune che non ne fa parte? Quello che molti si chiedono è: perchè all’epoca (e non parliamo del 67 ma di molto prima) fu chiamato Asti? Non era meglio chiamarlo Canelli visto che la culla era lì? Forse Gianluigi potrà spiegarcelo. Invece Muscat Canelli è una denominazione usata abitualmente da produttori stranieri (legittima in quanto nome di vitigno), ad esempio Robert Pecota, che ho visitato anni fa in Napa Valley. A proposito, e mi riferisco anche a quanto sentito in un recente incontro, chi pensa che il Moscato di qualità si faccia solo in Piemonte si sbaglia di grosso. Certo, i nostri grandi moscati e Asti sono sublimi e inimitabili nella loro originaità: ma con un po’ di tecnologia un vino a base moscato da 2 euro alla bottigia più che bevibile si può fare quasi ovunque. Qualunque strategia di prodotto, espansiva o meno, tenga conto di questo. Lancio il sasso, e non nascondo la mano.

  3. Gianluigi Bera 24 Novembre 2011 at 12:36 -

    Ciò detto, ripeto ancora una volta quanto espresso in precedenti occasioni. Si verifichi la cogenza legale; si verifichi se è un OBBLIGO che il comune eponimo della zona sia inserito nella zona medesima, o se non è un obbligo. Se sì, si individuino all’interno del Comune di Asti quelle zone pedologicamente e climaticamente adatte alla produzione del Moscato, e si inseriscano nell’area di produzione; evitando di fare interventi “ad aziendam” solo perchè ci sono in ballo promesse o blandizie. Se no, tutto resti così com’è: l’azienda in questione non avrà difficoltà ad approvvigionarsi di uve Moscato DOCG, come facevano le Case Vinicole della Città di Asti andandolo a cercare nella zona di produzione.

  4. Gianluigi Bera 24 Novembre 2011 at 12:29 -

    Comincerei con il rilevare una notevole imprecisione contenuta nell’articolo di Brozzoni. Nel 1967, quando nacque la zona DOC del moscato, il Comune di Asti era ( e lo fu ancora per un lungo periodo) il più vitato del Piemonte, con all’epoca più di 1500 ettari di vigneto in produzione. Dove però il Moscato non esisteva. La Città aveva sì una grande tradizione enologico-commerciale, perchè fino a pochi anni prima aveva ospitato numerose aziende di imbottigliamento, le classiche realtà che i francesi chiamano “negociants-manipulateurs”. Il nome “Asti” o “Asti Spumante” non fu ideato e scelto nel 1967, ma si era affermato già agli inizi del Novecento; perché all’epoca il vigneto di Moscato era quasi totalmente all’interno del Territorio ASTI, o “pays d’Asti” come lo chiamava il mercato francese che ne assorbiva in gran parte il prodotto. Asti non è soltanto una Città, nè soltanto un Comune: è un Territorio antico e variegato, in cui si è identificata quella parte dove da sempre si coltiva il Moscato.
    Allo stesso modo il Dolcetto d’Asti DOC, che si chiama così perché i suoi vigneti si trovano nel Territorio astigiano, senza che la Città faccia parte dell’area delimitata dal disciplinare di produzione.

  5. Adriano Salvi 24 Novembre 2011 at 12:08 -

    Non ho nulla da aggiungere a quanto ha descritto, con metodica precisione, l’amico e collega Gigi Brozzoni.
    Altri siti di news vinicoli con redazione non auctoctona, hanno ripreso in buona parte un mio articolo su ATNEWS perchè, siamo onesti, un osservatore esterno alle colline che si allungano tra Strevi e Mango penso faccia proprio fatica a capire questa vicenda……sono ben pochi i giornalisti che conoscono nei dettagli la realtà e la storia di Moscato e Asti come Brozzoni e non sono condizionati da questioni localistiche….spero che il suo intervento solleciti qualche riflessione a tutti i livelli.

  6. giovanni bosco CTM 23 Novembre 2011 at 18:51 -

    @Filippo, Tu sai come la penso, però a questo punto devo dire vox Brozzoni, vox Brozzoni….. vox populi, vox Dei (con le eventuali conseguenze del caso).

    Buon Moscato d’Asti

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