La cornice del convegno era uno schianto, Villa Ottolenghi, una struttura relais sulle colline che dominano Acqui Terme, nel cuore del Monferrato.
Il tema del dibattito, voluto da Regione Piemonte, Consorzio Vini d’Acqui e Comune acquese, insieme ad alcune associazioni di categoria, era il presente e il futuro dei vini rosati in Italia. Che detto così dice tutto e nulla, ma che, invece, abbinato all’Acqui Rosé, la nuova versione non dolce a base di uve brachetto declinato sia in versione spumante sia come versione di vino fermo ispirata ai rosati Provenzali, dà molti spunti di riflessione.
Ad analizzare spunti, riflessioni e dati c’erano: l’assessore regionale ad Agricoltura e Cibo, Marco Protopapa; il presidente del Consorzio, Paolo Ricagno; il presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro; Mattia Vezzola, Vicepresidente del Consorzio Valtenesi e Carlo Flamini, coordinatore tecnico Osservatorio Vino – Unione Italiana Vini.
E proprio fa Flamini sono arrivati dati e numeri che dovrebbero far riflettere, soprattutto i produttori e gli operatori piemontesi che, in molti casi, soffrono ancora di un immobilismo disarmante che se da una parte induce e indulge a una saggia prudenza, dall’altra non fa andare da nessuna parte o, comunque, ci fa andare al rallentatore in un modo che, però, corre.
Tornano alla giornata acquese Carlo Flamini, in estrema sintesi, ha fornito la fotografia di un settore dei vini rosati che gode di performance interessanti, sia a livello nazionale sia internazionale.
È stato evidenziato come «i mercati che assorbono maggiormente le quote di mercato dei vini rosati e vini spumanti siano UK, USA e Germania. La somma di questi due trend sono gli Sparkling Rosé, vini che l’Italia nel 2019 ha prodotto per 49 milioni di bottiglie e che le proiezioni per il 2021 dicono possnoa arrivare a quota 64 milioni, mentre la produzione mondiale per il 2021 può raggiungere 160 milioni, raggiungendo il 5% dei consumi totali di spumante. Una crescita in cui si può inserire l’Acqui docg Rosé».
Qui la riproduzione di alcune slides presentate dalla ricerca di Carlo Flamini:
Ora, in che modo e soprattutto con che aspettative l’Acqui docg Rosé può diventare attore di questo mercato?
Per la ricerca presentata da Flamini le strade sono essenzialmente tre:
1) rincorrere quello che farà un atteso protagonista nel campo degli spumanti rosati che ancora deve comparire sulla scena, cioè il Prosecco Rosé che, secondo alcune stime potrebbe addirittura ambire, in soli due anni, a coprire una quota pari al 10% della produzione di Prosecco doc, si parla, quindi, di circa 50 milioni di bottiglie;
2) posizionarsi nella zona di mercato compresa tra Prosecco Rosé e Champagne rosati;
3) mettersi in scia con il Prosecco doc tout court.
Una risposta chiara in questo senso l’ha data a SdP Paolo Ricagno a convegno chiuso: «Noi siamo per la seconda ipotesi. Le altre due non ci interessano. Il nostro è uno spumante rosato naturalmente ed è un docg, espressione più alta e pregiata di un territorio che ha una storia e un futuro ed è al centro di un’area che, prima in Italia tra le zone vintivinicole, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco».Chiaro.
Che cosa hanno detto gli altri relatori?
Per l’assessore Marco Protopapa: «È necessario che le istituzioni si impegnino a facilitare l’esportazione dei nostri vini e l’Acqui docg Rosé rappresenta un esempio di iniziativa da promuovere. Si tratta – ha aggunto – di un’occasione da sostenere per far conoscere sempre più le nostre eccellenze, come anche il Brachetto d’Acqui docg, sempre però di pari passo con la promozione turistica del nostro straordinario territorio».
«La produzione mondiale di vini rosati si attesta intorno ai 24 milioni di ettolitri, mentre il totale della produzione italiana di vini è di 48 milioni di ettolitri – ha spiegato Riccardo Ricci Cubastro, presidente Federdoc –. Il mercato mondiale dei rosati, quindi, corrisponde a metà della produzione del Paese che produce più vini in assoluto, l’Italia. Questo dato ci mostra quanto sia importante l’iniziativa dell’Acqui docg Rosé, un progetto coraggioso e di qualità, che ora va caratterizzato e raccontato correttamente». Per quanto riguarda i mercati Ricci Curbastro ha immaginato un Acqui docg Rosé che aggredisce gli Usa sistemamdosi in quella fascia di bevande che gli americani amano consumare durante occasioni di socialità, come le famose grigliate.
Un’idea, in qualche modo suggestiva, ma che cozza con variabili da considerare:
1) l’amore degli statunitensi per la birra (e altre bibite) abbinata al rito del barbecue;
2) il fatto che ci sono (e ci saranno) vini americani e non, compresi italiani, che sfruttano al meglio il rapporto costo di produzione prezzo finale;
3) la dichiarata volontà dell’Acqui docg Rosé a percorrere la strada più difficile, ma anche più interessante e premiante, di collocarsi in una fascia che tende comunque a quella alta. Insomma quella di Ricci Curbastro sarebbe idea buona più per un vino quotidiano e cheap, che, almeno negli intenti, non dovrebbe essere l’Acqui docg Rosé.
Concreto l’intervento di Mattia Vezzola che ha detto: «La cosa più importante è dare un’identità precisa ai vini senza una caratterizzazione precisa è difficile ritagliarsi la propria fetta di mercato. Questo, dopo aver dato il via a un nuovo interessante progetto, deve essere il prossimo passo dell’Acqui docg Rosé, senza dimenticarsi però del Brachetto d’Acqui docg, che ha fatto la storia di questo territorio».
Ottime considerazioni dette da uno dei produttori di quella fetta di Garda che, per stessa ammissione di Vezzola, ha cambiato troppo spesso denominazione alla propria zona di produzione.
Capita più spesso di quando si immagini in molte parti vinicole d’Italia.
Sarebbe stato bello sentire anche le idee dei produttori pugliesi di vini rosati e se, come sembra, l’evento di Acqui Terme si candida a diventare una sorta di osservatorio dei vini rosati italiani, suggeriamo agli organizzatori che sarebbe il caso di invitarli per la prossima edizione.
Conclusioni: il comparto italiano dei vini rosati, sia “fermi” sia spumanti, è in grande spolvero sulla scia di un trend mondiale che, nonostante il Covid, non sembra aver risentito della crisi.
In Italia ci sono produzioni di pregio, interessanti e avviate che promettono prospettive di conferma e futuro.
Il Prosecco Rosè sarà certamente protagonista di una crescita del settore. L’Acqui docg Rosé deve far leva sulle proprie caratteristiche di territorio, denominazione, carattere, per accreditarsi come il rosato piemontese di pregio. Non sembrano esserci altre strade.
E per far questo deve abbandonare lo stile “bogia nen” (immobile) e diventare vino alla moda, che fa tendenza.
Non è e non sarà facile. Bisogna investire risorse, tempo, denaro e, soprattutto, bisogna crederci. Perché allo stato sembra proprio essere la “fede” a mancare per certe filiere vitivinicole piemontesi che, al di là di episodi di marketing aziendale (sacrosanti perché fanno reddito e pagano stipendi) stentano a trovare o ritrovare quello spirito imprenditoriale e anche un po’ visionario, che nel 1865 condusse Carlo Gancia a inventare, a Canelli, nell’Astigiano, in Piemonte, il primo spumante d’Italia.
Un particolare questo che, purtroppo, al convegno di Acqui Terme, non è stato adeguatamente segnalato.
Ecco un bell’inizio, anche per il mondo della spumantistica piemontese, bianca o rosata che sia, sarebbe quello di ricordare la propria storia per progettare e costruire il proprio futuro.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)