Mondo Moscato/1. Salta l’accordo tra vignaioli e industrie? Forse si, forse no. Comunque è un casino…

inserito il 5 Agosto 2010

Salta l’accordo su rese e prezzo delle uve moscato. Dopo trent’anni potrebbe non esserci l’intesa tra produttori e Case vinicole. Si spera nella mediazione in extremis. Siamo alle solite: il mondo del moscato non trova pace. Vignaioli e industriali sono sempre ai ferri corti attorno ad un comparto che, unico ad essere remunerativo in campo enologico, avrebbe invece bisogno di gioco di squadra. Almeno in considerazione dei numeri: 10mila ettari vitati, 15mila addetti, 7mila aziende vitivinicole coinvolte e un giro d’affari da 500 milioni di euro.

Invece il fare squadra è un concetto che i piemontesi non conoscono preferendo l’autolesionismo alla sinergie utili per garantire reddito e mercati.

Ma per comprendere come si è giunti a mettere in forse uno dei punti di forza del mondo del moscato, occorre fare un passo indietro.

All’inizio di luglio, quando già si tratta su prezzi e rese per ettaro del moscato 2010, la parte industriale chiede di potere trasformare 12mila ettolitri di Asti spumante, giacenti nelle cantine, in Moscato d’Asti. Motivo: impellenti richieste di mercato.

Assomoscato, la più grande associazione di vignaioli da sempre controparte dell’industria, mette il veto. «Volete svendere il vino per fare business» è la motivazione.

Risultato: Assomoscato bloccato la trasformazione di Asti in Moscato d’Asti, ma le case vinicole perdono l’opportunità di vendere 1,5 milioni di bottiglie che, è ragionevole pensare, sarà stato sostituito con altri vini dolci, italiano o stranieri.

Queste premesse non potevano determinare che una degenerazione delle trattative, con i vignaioli di Assomoscato da una parte fermi nella propria convinzione a difendere l’immagine del vino e il reddito dei contadini; dall’altra gli industriali depressi da una posizione che ritengono kamikaze – «Come si fa a non dare il prodotto a chi ha già in mano i contratti di vendita  in un momento di crisi economica internazionale. È da irresponsabili!» ha dichiarato ieri a Sdp un imprenditore vinicolo – e determinati a non concedere spazio ad Assomoscato che ritengono una controparte non più adeguata ai tempi e alle condizioni del mercato.

Una situazione esplosiva. E infatti la “deflagrazione” avviene il 3 agosto scorso.

Alla riunione paritetica convocata dall’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto, la parte agricola c’è, i sindacati agricoli, pure, mancano le industrie o, meglio, hanno inviato un solo rappresentante, Enzo Barbero, uomo Campari e portavoce delle Case spumantiere che aderiscono al Consorzio di tutela.

Il manager legge una missiva nella quale, in sostanza, le industrie dichiarano che non tratteranno più oltre la propria ipotesi di contratto che prevede 110 quintali/ettaro di uve docg per la vendemmia 2010 (10 quintali di tolleranza potranno rientrare o essere esclusi dalla quota docg a seconda delle vendite) al prezzo del 2009, cioè 9,65 euro al miriagrammo; 100 quintali/ettaro per le annate 2011 e 1012 allo stesso prezzo del 2010.

Assomoscato ha reagito con un comunicato nel quale si dice che: «… Il no di Assomoscato, Cia e Coldiretti, a riclassificare 12mila ettolitri da Asti a Moscato d’Asti è motivato dal fatto che probabilmente (affermazione mai smentita) avrebbe alimentato canali di basso profilo.

Il nostro no è una doverosa e sacrosanta  difesa verso tutti quei produttori di Moscato d’Asti che si sono fatti strada in questi ultimi anni e che tale manovra li avrebbe danneggiati nel trovare sul mercato una bottiglia della stessa tipologia merceologica a prezzi che si aggirano sui 2 euro.

Assomoscato ha valutato l’impatto che questa offerta avrebbe avuto sul sistema nell’arco dei tre anni e si è accorta di un piccolo particolare: attualmente le scorte conosciute non sono meno di 200 mila ettolitri e pianificando una previsione ottimistica, ma utopistica, di 90 milioni di bottiglie per tre anni consecutivi, mai raggiunta nella storia del Moscato, il comparto avrebbe tutti gli anni una crescita delle scorte di oltre 65mila ettolitri. Cosa porterebbe alla fine del 2013 ad un quantitativo di scorte al collasso con oltre 400mila ettolitri.

Pertanto Assomoscato propone l’adeguamento del prezzo all’indice ISTAT, come reiteratamente firmato in passato dall’industria ma mai rispettato, ed una resa calibrata con il fine di soddisfare il mercato evitando di produrre ingenti stoccaggi che danneggerebbero unicamente i viticoltori».

Parole dure, confermate a Sdp dal presidente dell’associazione che raggruppa circa 2mila viticoltori, Giovanni Satragno.

Ma il fronte agricolo potrebbe non essere così compatto. Si parla di cantine vinicole che, contrarie a prese di posizione giudicate troppo anti-aziendaliste, avrebbero intenzione di uscire da Assomoscato.

Di certo contrario alle scelte dell’associazione guidata da Satragno è Paolo Ricagno, presidente della cantina sociale Veccia Alice e Sessame, con altre 6 cooperative associata alla Vignaioli Piemontesi, e anche a capo del Consorzio di tutela. «Ma di quello che è accaduto il 3 parlo come rappresentante delle Cantine della VP» precisa e avverte che: «Le nostre cantine sono d’accordo con la proposta fatta dalle aziende. Rispetta il reddito agricolo e dà garanzie per il futuro. Altre forzature sono a mio avviso pericolose per un’economia di territorio che ha bisogno di evolversi secondo le leggi del mercato e gi interessi di tutta la filiera e non solo secondo i dettami di una parte rappresentativa di un solo segmento». Ricagno non nasconde il timore di una vendemmia 2010 senza accordo interprofessionale, «sarebbe la prima volta in trent’anni e ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità».

Posizioni dure anche da parte della parte industriale. Ha detto a Sdp Enzo Barbero, responsabile delle attività enologiche per la Campari (il gruppo tra l’altro ha la vicepresidenza del Consorzio di tutela) e portavoce delle Case spumantiere: «La goccia che ha fatto traboccare il calice è stato il no ai 12mila ettolitri che avrebbero potuto portare sul mercato 1,5 milioni di bottiglie di Moscato d’Asti docg. Falso che sarebbe stato venduto a basso costo. Vero che avrebbe favorito l’ingresso e il mantenimento di posizioni di mercato strategiche. Per il resto le aziende hanno fatto la loro proposta e non hanno intenzione di trattare oltre. Mesi fa avevamo fatto un passo verso Assomoscato, rinunciando a conteggiare la presa di spuma come docg e accettando di ampliare la quota di vino che viene direttamente dalla vigna. Dall’altra parte. Però, non c’è stata analoga disponibilità. Del resto oggi proponiamo di pagare l’uva 9,65 euro al miria, più dei 9,55 che prevedeva il vecchio contratto con una resa di 85 quintali/ettaro. Ed è falso che non abbiamo intenzione di pagare i 10 quintali in più della raccolta 2010».

Fin  qui le dichiarazioni ufficiali, tra troppi slogan e qualche ruggine di troppo.

Per il futuro, ormai a ridosso della vendemmia 2010, c’è chi prevede una trattativa in extremis, magari con un accordo firmato solo da alcune parti del settore riunite al tavolo dell’assessore Sacchetto che, dicono testimoni, il 3 agosto si sarebbe scocciato non poco delle liti tra Assomoscato e Case vinicole. «Non ho tempo da perdere in queste beghe. Quando vi sarete messi d’accordo chiamatemi» avrebbe sbottato l’esponente leghista del governo regionale. E forse non ha tutti i torti.

Filippo Larganà (Filippo.largana@libero.it)

19 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. ottavio 10 Agosto 2010 at 05:02 -

    @ Giovanni.
    Grazie per queste ulteriori precisazioni che confortano molto le riflessioni che avevo avuto modo di proporre come commenti a questo articolo. Confido che ora sia chiaro che fondamenti abbiano le “pretese” dei viticoltori e anche che l’Assessore ha modo di conoscere, prepararsi e agire per difenderle. Lo aveva già in precedenza, ma come si dice, meglio tardi che mai!

  2. giovanni bosco CTM 9 Agosto 2010 at 18:36 -

    Chiedo scusa 8.000 Hl e non q.li di Moscato d’Asti in giacenza

  3. giovanni bosco CTM 9 Agosto 2010 at 18:19 -

    Mi sono dimenticato di un particolare, tra le rimanenze vendemmia 2009 vi sono anche 8.000 q,li di Moscato d’Asti pari ad oltre 1 milione di bottiglie. Pertanto non è vero che questo prodotto mancava, questa è stata soltanto una scusa per interrompere le trattative. A qualcuno dispiace dover pagare il moscato ad un certo prezzo quando tutti gli altri sono in crisi,approffitando dell’inesperienza del nuovo assessore. Purtroppo per lui non ha calcolato che nel mondo del moscato vi sono ancora persone che dopo quarant’anni di battaglie hanno ancora voglia di esserci

  4. ottavio 9 Agosto 2010 at 17:08 -

    I dati riportati da Giovanni Bosco sono proprio quelli illuminanti che invocavo.
    Nelle cantine ci sono 220 mila ettolitri, cioé 25 milioni di bottiglie potenziali, risalenti alla scorsa vendemmia.
    Se le previsioni sono confermate, a fine anno di saranno vendute 92 milioni di bottiglie di ASTI+Moscato, cioè 700mila ettolitri. E siamo di fronte all’incremento più straordinario di sempre nelle vendite, difficilmente ripetibile.
    Oggi gli industriali chiedono 100 quintali ettaro, con possibilità di superi per ulteriori 10 quintali. Atteniamoci al disciplinare: 100 quintali ettaro significano 1 milione di quintali, ovvero 700-750 mila ettolitri e 95-100 milioni di bottiglie.
    In quale rapporto sta, questa richiesta, con la realtà produttiva consolidata e con le più rosee aspettative di vendita future? Questo è ciò che si chiede chi assiste dal di fuori a questo importante dibattito. E poi, chiudendo, perché se il mercato tira così tanto (il che è l’argomento forte degli industriali per chiedere aumento delle rese) gli stessi industriali rifiutano l’adeguamento ISTAT dei prezzi, oltre alla loro fissazione ex novo per i prossimi tre anni?

  5. giovanni bosco CTM 9 Agosto 2010 at 14:21 -

    Questa mattina alle ore 9 l’assessore regionale all’agricoltura ha incontrato la rappresentanza dell’Associazione Produttori moscato d’Asti Associati nelle persone del Presidente Satragno e dei vicepresidenti Scagliola e Negrino. Era presente anche Giuseppe Artuffo, presidente dell’associazione dei Comuni del Moscato. All’incontro c’erano alcuni produttori di uva ed il sottoscritto, quale presidente del Coordinamento Terre del Moscato (CTM). L’assessore aveva in mano (finalmente) i dati di Valoreitalia delle vendite al 4 agosto 2010. Le rimanenze attuali sono di oltre 220 mila ettolitri. L’aumento delle vendite dell’Asti Spumante ad oggi sono del 6% e quelle del Moscato d’Asti del 34% sull’anno passato. Fatti due conti se l’incremento continua su questa linea a fine anno avremo una vendita di circa 74 milioni di Asti e sui 18 milioni di Moscato d’Asti per un totale di 92 milioni di bottiglie. L’assessore ha concordato sul fatto che 95 q.li per ettaro sono più che sufficenti, anzi le giacenze aumenterebbero di altri 20 mila ettolitri. Ora sentirà la parte industriale.

  6. ottavio 9 Agosto 2010 at 12:36 -

    @Luca. Grazie per la precisazione e per i dati che hai aggiunto a questa discussione. Ti risulta quindi che dell’annata 2009 siano state vendute 95 milioni di bottiglie di ASTI e Moscato d’Asti?
    A me risultavano dati inferiori, ma ti sarei grato di una smentita circostanziata.

  7. luca bosio 8 Agosto 2010 at 18:51 -

    vorrei solo sotolineare un aspetto per ottavio: quest’anno è da MAGGIO che non si ha più un litro di mocato in giacenza per soddisfare gli ordini; la mia cantina ha dovuto letteralmente pregato gli importatori di posticipare gli ordini ad otobre 2010 con il prodotto nuovo; questa situazione non ha fatto altro che creare speculazione già a partire dai mesi di febbraio-marzo con i prezzi dei mosti all’ingrosso schizzati fin oltre i 2 euro/kg!! quindi ritengo possa essere relamente utile poter aumentare la resa ad ha se non fino a 110 q/ha ( che fondamentalmente sono solo voci da bar) ad una più realistica resa di 100 q/ha( che corrispondono a 50000 quintali di uva in più rispetto alla resa dello scorso anno , dunque non più di 5 milioni di bottiglie); tale numeo sarebbe facilmente venduto se solo si potesse dare la possibilità di produrle…….

  8. maurizio 7 Agosto 2010 at 22:13 -

    E’ sempre giusto discutere senza rigidità e, se possibile, trovare un accordo. Ma senza dimenticare che l’agricoltore e l’imbottigliatore hanno un interesse in comune, cioé il fatto che il prodotto si venda e possibilmente si venda bene, e un interesse contrapposto, che riguarda il valore della materia prima, non solo nell’immediato ma anche in una visione di medio e lungo periodo. Se chi fa Moscato d’Asti crede nel prodotto, nel terroir, nella sua originalità, non si mette sullo stesso piano dei vari moscatelli senza storia del mondo, altrimenti finirà sicuramente per sbracare in una corsa al prezzo più basso nella quale alla fine, comunque, perderà. La cosa è semplice: l’agricoltore cerca di valorizzare il suo prodotto, la sua proprietà e il suo territorio; l’industria, almeno quella più “arrembante”, cerca di disporre della più ampia base possibile di prodotto, per poterlo pagare di meno e non perdere fatturato se si aprono canali di vendita. Nulla di nuovo sotto il sole. Ma gli agricoltori fanno bene a tenere le posizioni, anziché attaccare il ciuccio dove vuole il padrone.

  9. ottavio 7 Agosto 2010 at 20:49 -

    Gentile direttore,
    credevo che il finale ” E forse non ha tutti i torti” esprimesse un giudizio di condivisione, parziale magari, per l’atteggiamento dell’Assessore Regionale. Probabilmente ho frainteso io, anche se personalmente non avrei avuto il dubbio: l’assessore ha le leve economiche per condurre a mitezza gli spiriti più bollenti; ha un ruolo che una prassi trentennale gli attribuisce e ha un compito che può decidere di non svolgere, innovando la tradizione. Quello che deve essere chiaro, però, è che senza accordo le cose vanno bene solo per la parte industriale, perché i produttori l’uva la devono staccare tra due o tre settimane e non sono quindi in una posizione mercantile di forza.
    Quanto all’accusa di volere stoccare rivolta da Assomoscato a Ricagno e Industriali, essa è stata formulata nel corso del tavolo paritetico di cui riferite.
    Per questo mi sarei aspettato di leggerne nella vostra pregevole cronaca di detto tavolo.
    Mi pare che quei numeri meritino un approfondimento, perché è chiaro, a mio avviso, che si vuole un accumulo senza precedenti, il cui sfogo sui mercati produrrebbe un’intuibile crisi dei prezzi, che ancora una volta andrebbe a scaricarsi sull’ultimo anello. Sì perché le industrie possono praticare delle strategie di diversificazione produttiva, ma chi ha due o 3 ettari di moscato si diversifica se estirpa tutto e ripianta, in un tempo che va dai tre ai 5 anni… Non proprio una posizione comoda e paritaria.
    Detto questo, nessun diktat, semmai dei desiderata esposti con un po’ di foga. Buon lavoro.

  10. filippo 7 Agosto 2010 at 08:34 -

    A nome mio e dello staff di Sdp voglio ringraziare quanti, fino ad ora, hanno commentato la nostra cronaca sull’ultima, burrascosa, riunione paritetica sul moscato. Come sempre il nostro sito-blog ospiterà tutte le posizioni, purché rispettose ed espresse entro i limiti di educazione e civiltà. Solo un paio di notazioni ad Ottavio Paschetta, nome che rilevo dalla mail sorgente. Il fatto di aver scritto che Moscatellum è una piccola associazione non è e non voleva essere una “diminutio” del ruolo e del lavoro di produttori che conosco personalmente e apprezzo. Se qualcuno lo ha inteso in questo modo ha clamorosamente sbagliato e non per colpa di Sdp. Dogliotti (immagino Romano), Saracco (immagino Paolo) e tanti altri hanno fatto certamente del Moscato una bandiera (e un business), ma ci sono anche tanti viticoltori soci di cantine sociali e conferenti di Case spumantiere che hanno altrettanto titolo ad aver concorso al successo del Moscato d’Asti (o no?). Coldiretti occhieggia le posizioni di Ricagno, non mi pare proprio, basta leggere il comunicato che abbiamo pubblicato. Inesatto dire che non abbiamo dato conto dell’accusa agli industriali di volere rese più alte per creare polmoni ad hoc. Basta leggere (attentamente e con spirito obiettivo) le nostre cronache passate. Non abbiamo scritto che l’assessore Sacchetto ha fatto bene, abbiamo sostenuto che diatribe e liti davanti all’assessore non vanno bene. Punto. E non crediamo che la Regione abbia intenzione di trattare il Moscato come le quote latte. Infine le precisazioni su etica e tecnica giornalistica: Sdp non ha padrini, né li vuole. È responsabile delle scelte editoriali che, beninteso sono lecitamente criticabili, ci mancherebbe, ma che sono prese in completa autonomia. Dunque ok a posizioni del tipo “…io avrei sentito anche tizio…”, ma è inaccettabile che si “esiga” alcunché. Sdp non è servizio pubblico, ma un mezzo di comunicazione libero, curato da professionisti della comunicazione che fanno il loro lavoro, senza padroni, nella migliore maniera possibile. Se qualcuno lo vuol criticare, liberissimo, ma per favore nessun diktat. Siamo allergici.
    Filippo Larganà
    direttore Sdp

  11. ottavio 6 Agosto 2010 at 21:52 -

    Due notazioni.
    Il nome del moscato tappo raso è legato ad alcuni nomi che ne hanno fatto una bandiera: Saracco, Dogliotti in primis. L’associazione Moscatellum sarà piccola, ma rappresenta il vertice della piramide qualitativa sul mercato del tappo raso. Quindi la sua posizione può sì essere la stessa di Assomoscato (non mi pare che coldiretti sia proprio in linea, come invece leggo sull’articolo: mi pare invece che occhieggi alle posizioni di Ricagno), ma non per le stesse ragioni e con gli stessi obiettivi. Dunque, una parte che avrei sentito per completezza di informazione e anche per comprendere qualche ragione in più.
    Ricagno presiede un gruppo di coop che è stato, in modo molto circostanziato, accusato di puntare a fare dello stoccaggio di mosti nelle proprie strutture. Ed ecco il punto: 110 quintali significano una capacità ben superiore ai 100 milioni di bottiglie. Il mercato le richiede? No. Allora perché tutta quell’uva? Per fare mosto, stoccare e avere una leva in più da far valere nelle trattative future con la parte agricola. Questa accusa è stata puntualmente rivolta agli industriali, ma nell’articolo (pur acuto) non trovo traccia. I numeri sono numeri e che il mondo asti (fungo + raso) passi da 75/80 milioni a 100 milioni di bottiglie assorbite dal mercato, mi pare degno di qualche spiegazione o indagine.
    Non è affatto condivisibile l’affermazione l’uva c’è la si vinifichi. 100 quintali ettaro significano concentrazioni inferiori e quindi vini mediamente meno buoni. Ma quel ch’è peggio, significano ettari di erta collina da 65 quintali mediati con mezze pianure da 135. Qualitativamente una tristezza. Una resa massima vicina ad un livello qualitativamente accettabile è un obiettivo valido, per una regione che ha scelto di non avere IGT.
    La Regione, e chiudo. Come si fa a scrivere che forse l’assessore ha fatto bene? Primo: lui può obbligare chiunque a ragionare, perché non solo propone le delibere in giunta, ma controlla il portafoglio che foraggia associazioni, agricoltori e industriali. Secondo: un tavolo lo si prepara, si sentono le parti prima, ci si fa anticipare le posizioni e si studia il punto di medietà accettabile socialmente oltre che politicamente. Invece, il giovane assessore Sacchetto ha pensato che un moscato dal prezzo lasciato al mercato libero sarebbe andato bene, come il latte, che ha lasciato al mercato libero perché crede nelle tesi di Robusti (mentore di tutti gli splafonatori) secondo cui devo sopravvivere solo mega allevamenti da migliaia di capi e ciao nini ai piccoli. Nel moscato le cose sono diverse: 5000 famiglie reggono aziende mediamente di 2 ettari. E’ un tessuto sociale che letteralmente tiene su le colline. Si decide che se ne può fare a meno? Io non sono d’accordo ed esigo che si sappia, perché secondo me neanche i Piemontesi e neanche i votanti Sacchetto lo sono.
    Saluti e grazie dell’opportunità.

  12. luca bosio 6 Agosto 2010 at 15:55 -

    come sempre la verità sta nel mezzo( e detto da un vinificatore di moscato questa affermazione vale doppio!); è vero, bisogna garantire la qualità, però per questo sono stati istiutiti organi di controllo efficaci ed efficenti, d’altro canto non bisogna dimenticare il principio basilare di ogni scambio economico: se c’è domanda è da STUPIDI non offrire il prodotto al cliente, calcolando che attorno all’oasi felice asti e moscato docg, vi sono molte regioni viticole dove il moscato viene coltivato e venduto ( tra l’altro con un tasso di crescita elevato). Per tutti coloro che parlano senza pensare che il mondo non finisca ad asti, vorrei solo ricordare che nel mondo enologico così variegato, il moscato d’asti non è che una goccia nell’oceano; prendete un catalogo web di un negozio americano( ne cito uno: http://www.bevmo.com) e scoprirete quanti moscati vengono prodotti in tutto il mondo. Crederete mica che il consumatore medio conosce le differenze tra l’uno e l’altro?? Ora, se noi non forniamo moscato a coloro che vogliono berlo, siamo ASINI, perchè se non lo forniremo noi, state pur tranquilli che ci sarà qualcun altro. La bella cazzata dell’anno è stata non trasferire l’asti a moscato d’asti in un momento in cui il mercato fremeva per averlo!! volete sapere qual’è stata la cosa che ci ha salvato? il fatto che in tutte le aree viticole dove si produce moscato, tutte le cantine fossero rimaste senza un litro da vendere; grazie a questa situazione i diversi importatori si sono rassegnati ed aspetteranno la prossima vednemmia; però ricordiamo che una situazione simile non dovrà più accadere… altrimenti passeremo proprio da pirla!

  13. mauriziof 6 Agosto 2010 at 15:30 -

    purtroppo l’esempio dell’Asti spumante non depone a favore di quei signori che “inseguono” il mercato. I prezzi e la remuneratività non sono MAI stati sorretti con orgoglio, ma solo ribassati in una lotta fratricida. Oggi all’estero l’immagine dell’Asti è davvero bassa.
    L’attuale momento favorevole del Moscato d’Asti docg non è certo merito degli sbottigliatori da hard discount, ma delle aziende e dei viticoltori che si sono sobbarcati viaggi e investimenti per dare immagine e visibilità ad un VINO di qualità finora snobbato dall’industria.
    Ora che il cliente lo chiede, e che il lavoro è fatto, si vorrebbe evitare il rischio di fare la fine dello spumante. Tutto qui.
    Il consorzio ha la forza di IMPORRE il prezzo minimo di vendita? se si, bene. Altrimenti è solo ipocrisia.
    Già il dover “inseguire” il mercato anzichè “prevederlo e gestirlo” dimostra insipienza manageriale e inettitudine imprenditoriale

  14. maurizio 6 Agosto 2010 at 14:47 -

    Appunto, la logica di una DOCG non è quella del tavernello, altrimenti facciamo un Tavernello a base di moscato. Pardon, già lo fanno: si chiamano gran dessert e simili. In Champagne la potenza dell’industria soverchia quella dei viticoltori, infatti nel periodo di maggiore richiesta sono arrivati a fare 155 quintali per ettaro, con uve verdi come l’erba, salvo poi battere sonoramente il culo e tagliare di brutto. Ma con quello che guadagnano i viticoltori se lo possono anche permettere. Una crescita si può accettare se limitata, progressiva, condivisa all’interno della filiera e accompagnata da controlli sulla qualità e la politica dei prezzi. sventolare “contratti che abbiamo già in mano” da parte dell’industria è una pagliacciata. Avevano solo da non farli. Un industriale intelligente come Enzo Ferrari diceva che il suo obiettivo è produrre sempre una macchina in meno di quelle che il mercato vuole. Un insegnamento del tutto ignorato dal mondo del vino in genere, e dagli industriali in particolare.

  15. filippo 6 Agosto 2010 at 10:38 -

    Caro Maurizio sono d’accordo a metà con te. Che ci siano segnali di sputtanamento del Moscato d’Asti è vero. Recentemente ho assaggiato vini un po’ così così, che del Moscato sembravano una pallida, in tutti i sensi, imitazione. E su questo bisogna lavorare perchè sennò scatta l’effetto “ciao nini”, il cliente fa dietrofront e non lo becchi più. Ma poi perché, scusa, inseguire la domanda sarebbe una iattura? Se domani il mercato chiedesse 20 milioni di bottiglie di Moscato d’Asti docg, davvero vignaioli, cantine, Case vinicole non sarebbero in grado di fornirle garantendo un rapporto qualità-prezzo favorevole e soddisfacente per tutta la filiera? Io credo che sarebbero perfettamente in grado. È ora che i piemontesi del vino (e magari anche di altri settori) la piantino con le masturbazioni “ce-la-faccio-non-ce-la-faccio”. Gli strumenti di controllo ci sono, che si usino. L’uva c’è, che la si vinifichi. E che sia garantito un reddito dignitoso per i viticoltori (tutti vorrebbero incassare 20/30mila euro a ettaro, ma di questi tempi anche 11mila vanno bene. o ho?). E poi, per favore, smettiamola di litigare, troviamo punti di contatto, strategie comuni, intese, collaborazioni. Ma voi ve lo immaginate il settore dello Champagne così litigioso con vignerons e grandi maisons in perenne lite. Ma quando mai? E non venitemi a dire che i francesi sono un’altra cosa, che lo Champagne è un altro prodotto. L’Asti e il Moscato d’Asti hanno storia e volumi e potenzialità da vendere. La capacità di vendere e aggredire i mercati, italiano o esteri, è dipendente solo in parte dall’appeal e dalla storia di un prodotto. Di esempi ce ne sono a iosa. Il fenomeno del vino in brik Tavernello, che quest’estate sta lanciando versioni frizzanti in vetro (qualcosa vorrà pur dire! meditate vinificatori, meditate), dovrebbe insegnare molto a molti, prima di tutto a non avere puzze sotto il naso.

  16. maurizio 6 Agosto 2010 at 08:38 -

    La buona notizia è che il Moscato d’Asti a quanto pare continua a tirare. E siccome quando un prodotto tira lo sputtanamento è sempre dietro l’angolo io credo che Assomoscato abbia fatto bene a rifiutare il passaggio da Asti a Moscato. Però, oltre a non inseguire la domanda, strategia giudicata ovviamente suicida dall’industria, ma invece assolutamente fondamentale per tutelare gli agricoltori e motivo stesso dell’esistenza di una DOC, sarebbe importante controllare meglio la qualità e il prezzo di tanti moscato d’asti sul mercato. Purtroppo lo sputtanamento è già cominciato, e dietro non ci sono solo gli industriali. Perchè su questo ha ragione Filippo, il mondo non si divide tra agricoltori buoni e industriali cattivi.

  17. giovanni bosco CTM 5 Agosto 2010 at 21:04 -

    Per la prima volta nella mia vita ho partecipato alla paritetica come uditore.Da questa esperienza
    mi sono fatto una certa idea.La mia impressione è che si voglia far saltare la paritetica per tornare dopo 31 anni al libero prezzo con tutte le conseguenze del caso.Senon si firma la normativa l’assessore è costretto ad applicare la legge in 100 q.li per ettaro, senza poi nessun controolo futuro sull’andamento del mercato. Per il primo anno i prezzi dell’uva possono anche schizzare in alto, ma poi se le vendite ristagnano e i q.li per ettaro restano 100(l’assessore può modificare i quantitativi solo per annate sfavorevoli o se c’è accordo tra le parti) a che prezzo andranno le uve moscato per i prossimi anni?Ai prezzi delle altre uve, vedi barbera, dolcetto, cortese ecc.?forse qualcuno vuole arrivare a questo.La situazione non è semplice. Quando trent’anni fa’ scrivevo che ai 20 milioni di bottiglie di Moscato d’Asti avremmo risolto il problema del moscato mai avrei immaginato che per colpa di troppe vendite di questo prodotto sarebbe saltato tutto.Ha ragione Filippo Largana’ bisogna fare gioco di squadra.Purtroppo martedi’ mi sono accorto che non tutti i giocatori della stessa squadra indossano la stessa maglia e non tutti cercano di buttare la palla nella porta giusta.

  18. filippo 5 Agosto 2010 at 20:28 -

    Caro Gianmario,
    sapevo che alla riunione erano presenti anche rappresentanti della Moscatellum, la piccola associazione che raggruppa alcune griffe del Moscato tra cui il presidente Saracco che, ovviamente, conosco bene. Grazie del consiglio, ma francamente non credo che un’intervista possa apportare nuove cose alla cronaca della riunione del 3 agosto. La posizione di Moscatellum mi risulta in linea con quella di Assomoscato e Coldiretti (di cui per altro non ho intervistato esponenti). Poi nel pezzo, che ho scritto in modo equilibrato presentando tutte le posizioni senza commentarle, non ho mai affermato che la posizione di Assomoscato (di Moscatellum o di Coldiretti) sia “ottusa” e men che meno mi sono permesso di alludere al fatto che i produttori di uve “non capiscono un gran che”. Per me, che sono figlio di un carpentiere e nipote di contadini, il rispetto per chi lavora con le proprie mani e il sudore della fronte è basilare. Sull’ultima affermazione non sono d’accordo. I moscatisti hanno fatto grande il Moscato “tappo raso” e le Case spumantiere hanno diffuso la cultura e il gusto dell’Asti. Certo con un sacco di errori, da entrambe le parti però. Vogliamo parlare delle bottiglie vendute a meno di 2 euro sia di Asti che di Moscato d’Asti? E occhio a far passare l’allusione che se il Moscato d’Asti è fatto dai piccoli è ok e se lo fa la grande industria non lo alla stessa maniera, perché sarebbe un gioco al massacro oltre che una cosa non vera. Cosa non sarebbe diventata la Nutella se non l’avesse prodotta una grande industria multinazionale come la Ferrero. E non venite a dirmi che sono prodotti diversi. Ecco, quello che manca, ancora una volta, come ho scritto, al mondo del moscato (e del vino piemontese in generale) è il gioco di squadra, la sinergia. Invece di cercare l’unione si rimarcano le divisioni, invece di creare un fronte comune, si scavano trincee. Mi dispiace, moltissimo, ma così non si andrà da nessuna parte. Anzi no, si torna indietro.
    Filippo Larganà

  19. Gianmario Cerutti 5 Agosto 2010 at 18:59 -

    Leggo quanto sopra e mi accorgo che manca una voce oltre a quella degli Industriali e Produttori d’uve,… ci sono le Aziende Vitivinicole quelle che producono e trasformano le proprie uve da propri vigneti per produrre Moscato d’Asti e a volte comprano anche uve da altri vignaioli dandogli il giusto valore e rispetto che essi meritano,…. queste aziende tra cui figurano la maggior parte dei grandi nomi, che hanno fatto grande il Moscato d’Asti (tappo raso per intenderci) seguendo una strada e creando un mondo che nulla a che fare con le dinamiche del mondo dell’Asti…. sono riunite nell’Associazione Moscatellum di cui è presidente Paolo Saracco (produttore che penso conosciate).
    Tale associazione ha un posto permanente in Paritetica,… quindi vi consiglierei di sentire anche la loro opinione (un’altra campana diciamo) e forse si farà un pò più di chiarezza sulla decisione di non consentire il passaggio da Asti a Moscato d’Asti presa non certo con spirito ottuso e immobilista.
    Ci tengo a sottolineare che la decisione non è stata presa solo dalla Produttori Moscato e cioè da quei produttori d’uve che magari qualcuno dice “non capiscono un gran che” di grandi mercati, ma è stata condivisa proprio con quei produttori sia d’uve sia di vino Moscato d’Asti. che quei mercati li hanno creati, quando del tappo raso alle grandi case importava ben poco e che a quei mercati tengono non per paura di vendere 2 bottiglie in meno o in più, ma ci tengono perché quei mercati siano stabili e continuino a fidarsi del prodotto MOSCATO d’ASTI dando sicurezza e garanzie a lungo periodo per il nostro territorio….

    Saluti

    Gianmario Cerutti

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