Lavoro agricolo e caporalato. Tra dannati e furbetti ci perde l’agricoltura di qualità. E l’Italia

inserito il 29 Giugno 2015

È un sapore del Piemonte amarissimo quello che viene fuori dall’inchiesta di Giancarlo Gariglio per Slow Food. Il tema scottante è il caporalato. Cioè quella pratica per cui io ti trovo lavoro e tu mi dai una fetta, consistente, del tuo salario. Il caso più eclatante fu quello di Rosarno, anni fa. Il settore era quello dei pomodori

Ora l’inchiesta di Gariglio, ripresa da molti media e che bisogna ringraziare, la trovate qui, e coinvolge il comparto del vino, in una delle regioni più rilevanti in questo senso, come le Langhe piemontesi.

Lo scorso anno fu la volta di Canelli, patria del moscato, con la sua “vendemmia della vergogna”: vendemmiatori stranieri ospitati alla bell’e meglio in un campo di accoglienza ai margini della città dello spumante tra tende di fortuna, sacchi a pelo, bagni chimici e condizioni igieniche precarie. I sindacati parlarono di scandalo. I media nazionali ci inzupparono il biscotto. Dal Comune dissero che con i pochi soldi che c’erano a bilancio non si poteva fare di più. I volontari di tutti i colori si diedero da fare per tappare la falla. Poi la vendemmia finì e tutto ripiombò nell’oblio. Almeno fino alla prossima vendemmia di settembre.

Intanto dopo la pubblicazione del servizio di Slow Food sono, come spesso accade in Italia, scoppiate polemiche e sono state lanciare accuse durissime. All’autore del servizio, che secondo alcuni avrebbe dovuto fare nomi e cognomi. Ai proprietari furbetti che, nella ricca zona del barolo, darebbero lavoro sottopagato attraverso cooperative agricole. Alle stesse cooperative che sfruttano i lavoratori. Agli organi di controllo che dovrebbero controllare di più o, secondo alcuni, controllare in certi ambiti e non in altri. Insomma un gran casino. Sullo sfondo il solito quadro confuso all’italiana.

Il fatto è che il caporalato è diffuso in tutta Italia. Basta leggere i giornali. Nel ricco Nord Est sono stati accusati di pagare 2 euro per raccogliere mele (leggi qui). La “piaga” ha toccato anche la Toscana (leggi qui) oltre che il Centro e Sud Italia, isole comprese.

E c’è da ricordare che la pratica del caporalato non è un’invenzione moderna. Nella Sicilia latifondista pre e post Unità i braccianti “a giornata” venivano scelti nella piazza del paese.

Che fare? C’è chi invoca l’intervento del Governo e comunque delle Istituzioni. Giustissimo. Lo faranno? Non si può ancora sapere. E con che tempi? Se sono i soliti ci vorranno anni.

Intanto chi ci perde è l’agricoltura di qualità, cioè tutta quella italiana, che corre il rischio di essere svilita e sbeffeggiata, persino da quell’Unione Europea che si permette, dopo avere schiaffeggiato (finanziariamente) le nazioni “monelle” (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna. Alla Francia solo un buffetto), assurdità come la legge che vuole obbligare chi non lo fa a produrre formaggio senza latte frasco. Altri scandali Ue parlano di leggi ad nationem sul vino senza uva o aranciate senza arance colte dall’albero. Il tutto spacciato come corretta omologazione europea che, guarda caso, garantisce gli affari di Nazioni “virtuose” che non hanno produzioni agricole di qualità e, magari, nemmeno l’odioso fenomeno del capolarato, ma che respingono, senza esitazione, i migranti disperati che fuggono dalle guerre, magari sbarcandoli sulle coste italiane, e alzano le tasse a chi dà lavoro a cittadini extra Ue o costruiscono muri per impedire l’arrivo di profughi.

Ma cosa c’entrano l’Europa e i migranti e la crisi economica con gli “schiavi” delle Langhe? C’entrano. Perché proprio in questa Europa lo sfruttamento dei lavoratori in vigna si inserisce come l’ennesima follia dettata dal caos che sta avviluppando il Vecchio Continente. Qualcuno dirà che l’abbiamo presa troppo alta, che abbiamo mischiato riso e fagioli. E forse ha ragione.

Tuttavia è innegabile serva un cambio di passo. Una nuova mentalità. Per essere credibili e perché l’Italia del Gusto non sia solo un brand spendibile da chi ha ridotto l’ottimismo ad un slogan, l’orgoglio di un popolo al manifesto per una campagna elettorale, la cultura ad un compitino scritto sulla lavagna, la scuola a merce di scambio politico.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

6 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. giovanni bosco 28 Agosto 2015 at 07:51 -

    Come sempre in questi giorni si è fatta molta confusione tra “lavoro nero” (sfruttamento-caporalato) e lavoro in nero (evasione fiscale) tutti e due da condannare come è da condannare il commerciante che non rilascia lo scontrino fiscale o il professionista che non rilascia la fattura fiscale e l’utente che non li richiede. Chi è senza peccato scagli la prima pietra….
    giovanni bosco
    presidente CTM

  2. filippo 25 Agosto 2015 at 15:15 -

    Vabbè, CV, vuoi rovinarti giornata? Leggi l’ultimo post di SdP su una nota della GdF… forse fa un po’ di chiarezza

  3. contadina 25 Agosto 2015 at 14:10 -

    E bravo Filippo!!! Fra tutti gli articoli hai colto proprio quello che stamattina mi ha fatto saltare i nervi. E più che l’articolo in sé inviterei ad andare a leggere i commenti della gente “comune” sulla pagina Facebook della Stampa.

  4. filippo 25 Agosto 2015 at 13:22 -
  5. contadina 25 Agosto 2015 at 09:52 -

    Caro Filippo, per esercitare il tuo mestiere ci vorrebbe il porto d’armi. Dal tg al giornale, ho sempre preso le varie notizie con un minimo di distacco. Nella migliore delle ipotesi si mira all’ audience dando risalto alla parte più scabrosa arrivando anche al punto di esasperare, se non contorcere, solo alcuni aspetti della realtà. Poi ci sono le alte sfere, dove si fanno i giochi di potere e di interessi per intenderci, che usano le notizie per indurre le persone a pensare in una direzione già stabilita a tavolino. Non è il t caso, Filippo, normalmente sei molto obiettivo e disinteressato. La notizia è una merce pericolosa specie quando non è sviscerata con ponderatezza.
    E’ scoppiata la bomba. Si moltiplicano gli articoli sul caporalato in agricoltura con conseguenze molto pesanti. Il problema esiste ed è giusto denunciarlo ma arrivare ad imputare al contadino la responsabilità dello sfruttamento della manodopera è una vergogna. Allo stesso modo, allora, si vada a colpevolizzare chi compra abiti o accessori prodotti in Cina o in Corea o in qualunque altra parte del mondo dove, notoriamente, esiste lo sfruttamento dei lavoratori, anche minori!
    Essere italiano in Italia è discriminante. Vorrei parlare di quanto sono penalizzate le aziende italiane in confronto a quelle aperte da stranieri ma sarebbe un’analisi troppo lunga quindi tornerò al tema dell’articolo.
    Il contadino si rivolge alla cooperativa per avere manodopera allo stesso modo in cui va dal ferramenta a comperare una zappa. La coop e il ferramenta sono entrambe ditte esistenti e regolari di cui lo stato è ben informato e che ha autorizzato ad esercitare. L’alternativa è l’assunzione diretta, ma cosa comporta? Analizziamo la situazione con esempi pratici: ho bisogno di 5 persone per un periodo limitato, indicativamente di un settimana, per la vendemmia o per la sistemazione della spalliera. Comincio con frequentare i vari corsi a cui sono tenuta ad aderire per poter assumere personale e ad aggiornarli periodicamente, cosa che può anche essere costruttiva. Mi assicurerò di poter mettere a disposizione dei lavoratori una struttura, in regola con le disposizioni di legge, fornita di bagno, con antebagno e spogliatoio. Pagherò, profumatamente, un professionista che mi farà una passeggiata di un quarto d’ora in azienda per una formalità chiamata valutazione dei rischi. Ora procedo con la ricerca e la selezione del personale, continuo sostenendo l’onere del costo e del tempo per le formalità dell’assunzione (comunicaz all’INPS, busta paga, cud, 770, contributi, ecc) senza dimenticare che mi è necessario appoggiarmi, e quindi pagare, un professionista che mi sbrighi le pratiche. Dopodiché dovrò assicurarmi sullo stato di salute dei lavoratori pagando la visita dallo specialista abilitato ed intanto iscriverli, a mie spese, a corsi di formazione oltre a fornirli dei dpi idonei alla mansione per cui li ho assunti. Siamo quasi pronti a lavorare ma prima di partire devo preparare due righe con cui informo i lavoratori sui rischi presenti in azienda. Devo fare attenzione perché se uno si becca la bronchite o si fa male a un piede perché non li ho informati che in campagna ci possono essere sbalzi termici o terreno accidentato questi mi possono denunciare. Per mettere le mani avanti provvederò ad accendere una bella assicurazione che contempli anche la rivalsa INAIL. Tutto ciò per una settimana di lavoro???? Allora ti rivolgi alla cooperativa che,seppur molto costosa, ti solleva da tutte queste incombenze e, in teoria, dalle responsabilità e il tempo che ci guadagni lo usi per lavorare. Costosa! Sì, perché non credo che il signore del barolo o delle mele abbiano pagato 2 €/ora. Sono quasi certa, ovviamente solo in base alla mia esperienza, che loro abbiano pagato i canonici 12€/ora al titolare della cooperativa (che poi ufficialmente vengono tramutati in compenso ad ettaro). E’ il titolare della coop che paga il lavoratore. E, vi assicuro, che per piccole aziende come la mia è un onere importante. Dicevo che solo in teoria siamo sollevati dalle responsabilità perché, in realtà, siamo tenuti a rispondere economicamente se il titolare della coop non paga l’IVA sulla fattura o i contributi o la retribuzione ai suoi dipendenti. Siamo ritenuti a rispondere anche nel caso ci sia stato mandato un lavoratore non regolarmente assunto…ma tutto quel bel contrattone di appalto lo facciamo per cosa? Questo è il regime del terrore! Se già negli anni passati il controllo dell’Ispettorato ti fa sentire al pari a un delinquente quest’anno cosa succederà? E’ significativo ciò che mi disse un nostro collaboratore durante un controllo:” mentre ci ammassavano come un gregge mi hanno fatto sentire sporco dentro” e questo detto spontaneamente da un lavoratore non da me!
    Sfruttati! Davvero? Tutti o si fa di tutta l’erba un fascio? Ho avuto modo di lavorare con due diverse coop e di conoscere un discreto numero di lavoratori stranieri. Al pari di molti miei colleghi li ho trattati con molto rispetto, ho accompagnato ogni mia richiesta con un “per favore” e sempre ringraziato. Ho fatto fare loro più pause e forniti di acqua fresca, caffè e spuntini. IL riscontro è stato che qualcuno un po’ più responsabile ci metteva impegno ma i molti svolgevano un lavoro lento e mediocre sbattendosene completamente delle mie richieste. Per questi ultimi chiedi la sostituzione ma la storia si ripete spesso e allora vai avanti comunque perché il lavoro è pressante e ti accontenti purché si vada avanti. Per gioco forza ho imparato un po’ il macedone e credetemi alcuni ci prendono proprio per il sedere e scusate il francesismo! E quando si confrontano, ridendo, sulla disoccupazione dicendo che in Italia si prendono soldi a far niente? Lavoro nero? Sono proprio loro che fanno attenzione ad mantenere i requisiti per poter arrivare a soldi facili! E soldi in Italia non ne lasciano nessuno.
    Pagati poco! Credo proprio di sì ma la responsabilità va imputata a noi o ai titolari delle coop? E come mai in caso di controlli le coop chiudono e riaprono facilmente sotto altro nome mentre le aziende italiane chiudono e fanno la fame?
    Concludendo, cari giornalisti, ministri e portavoci vari…vogliamo prendere il problema nella sua interezza?
    Filippo….scusa scusa scusa! Sono stata logorroica come sempre ma il tema mi prendeva molto.

  6. massimo Fiorio 30 Giugno 2015 at 10:00 -

    L’inchiesta evidenzia ciò che si sa, ma che si dice sottovoce. Il civilissimo Piemonte vive un fenomeno che vogliamo pensare relegato solo nelle regioni del Sud .È una cosa grave anzi più grave ancora perché molto spesso riguarda colture che danno un reddito ben maggiore che le arance di Rosarno. Oggi ho proposto in commissione agricoltura alla camera di affrontare il tema del caporalato in agricoltura per cercare di uscire dal luogo comune che sia un fenomeno legato all’agricoltura del Sud

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