Qualcuno pensa già alle menzioni geografiche, cioè ai cru, altri tirano il freno a mano e parlano di un primo passo verso la consapevolezza delle differenze tra gli areali di produzione, quale sia la differenza tra questi due pensieri si vedrà tra qualche anno, quando i risultati della ricerca Barbera d’Asti 2.0 (nome non originale, ma significativo) prenderanno concretezza e saranno “digeriti” da una filiera che, come tutte quelle agricole in Piemonte, ha bisogno di tempo per accettare innovazioni e cambiamenti.
Comunque il progetto di ricerca BdA 2.0 è stato presentato ieri (20 luglio) al Castello di Costigliole d’Asti dai protagonisti che lo hanno suppoertato e realizzato, cioè il Consorzio di Tutela, la Regione Piemonte e l’Università di Torino, sponda Enologia e VIticoltura. Al tavolo dei relatori il presidente consortile, Filippo Mobrici, l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero e tre ricercatori scientifici: il prof. Vicenzo Gerbi insieme a Simone Giacosa e Salvatore Giacoppo.
L’obiettivo del nuovo progetto, secondo quello dichiarato al forum, è la realizzazione di una ‘mappa sensoriale’ della Barbera d’Asti Docg. «Uno studio – è stato detto – che si propone di definire il vasto territorio della denominazione, che si estende per 5300 ettari sulle superfici collinari dei 167 comuni delle province di Asti e Alessandria, collegando in modo puntuale le caratteristiche dei vini Barbera d’Asti alle differenze geologiche e microclimatiche che ne definiscono l’area di produzione.
Uno studio particolareggiato (qui il link: presentazione-progetto-barbera-2-0_20180720_ba20_disafa_v2) che ha definito le molteplici sfaccettature che contribuiscono a creare un vino. Il progetto è partito nel 2017. Lo scopo era definire i profili sensoriali e le conoscenze chimico-fisiche, per chiarire e valorizzare i profili identitari di ciascun area di produzione, sia in termini di caratteristiche pedoclimatiche, sia della loro impronta sul profilo organolettico.
Tecnici esperti e accademici sono partiti dalle zone di produzione con attività di sperimentazione e monitoraggio su vigneti che per altitudine, età delle viti, esposizione e composizione del suolo sono risultati i più rappresentativi della zona di appartenenza. La ricerca tecnico-scientifica che ne è derivata è stata articolata in due fasi: la prima incentrata sull’osservazione e l’analisi in vigna di fattori quali l’andamento climatico (inteso in tutte le sue variabili, come escursione termica e precipitazioni), la struttura del terreno e l’analisi delle uve (tramite la curva di maturazione, nella quale sono analizzati la componente fenolica, il ph, gli zuccheri, l’acidità). In relazione a questa prima fase sono poi state fatte micro-vendemmie e prove di micro-vinificazione, per cui le campionature di uve Barbera d’Asti, prelevate dai vigneti oggetto di analisi, sono state vinificate separatamente secondo il medesimo processo, volto a preservarne l’espressione del varietale e dell’area di provenienza. Un importante elemento, questo, per definire la correlazione tra vigneti e caratteristiche sensoriali, chimiche e fisiche espresse dai vini. La seconda fase della ricerca è stata dedicata a test dei vini attualmente in commercio (82 vini Barbera d’Asti Docg vendemmia 2016, 29 della tipologia ‘Superiore’ vendemmia 2015) prelevati da 97 aziende diverse. Il Consorzio, insieme ai suoi associati, ha raccolto 111 campioni di Barbera d’Asti. Una campionatura significativa e rappresentativa delle tipologie attualmente disponibili, sottoposte a una commissione di degustazione composta da tecnici di cantina e ricercatori dell’Università di Torino.
«I grandi vini del mondo, le più rinomate denominazioni – spiega il presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, Filippo Mobrici – sono caratterizzate da aree vocate, i cosiddetti ‘cru’. Anche la Barbera d’Asti ha intrapreso questa strada e con l’avvio di questa nuova ricerca scientifica, mai realizzata prima d’ora, puntiamo ad arrivare alla caratterizzazione delle aree produttive. Con questo studio intendiamo far emergere le diverse tipicità produttive di un’area molto vasta, con caratteristiche uniche e distintive, punto di forza della Barbera d’Asti. Se si pensa al Barolo, ad esempio, sono proprio le diversità di zona la vera ricchezza. Ci aspettano anni di lavoro e impegno – prosegue – per portare a termine il nostro ambizioso progetto, che ci impegnerà per i prossimi anni e che porterà a qualificare ancora di più la regina dei rossi del Piemonte. Oggi abbiamo presentato i primi dodici mesi di attività scientifica e di studio avviata dal Consorzio, grazie al Dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell’Università di Torino e con il contributo fondamentale della Regione».
«A distanza di 10 anni dal progetto regionale ‘Increase Barbera’ che contribuì alla riqualificazione della Barbera d’Asti Docg – dichiara il professor Vincenzo Gerbi dell’Università degli Studi di Torino, responsabile scientifico del progetto Barbera d’Asti 2.0 – con questa nuova ricerca finanziata dalla Regione Piemonte si vogliono raggiungere nuovi obbiettivi concreti ed acquisire conoscenze scientifiche utili per tutto il comparto produttivo della Barbera d’Asti. Il lavoro ha due pilastri fondamentali, con il primo, operando su una campionatura di oltre cento vini commerciali, si vuole determinare come le diverse caratteristiche chimico- fisiche del vino, quali i caratteri cromatici e la composizione polifenolica, influenzino la qualità organolettica del vino. Con la seconda attività – prosegue – si vogliono studiare le relazioni tra le caratteristiche delle uve alla raccolta, provenienti da zone diverse, ed i caratteri dei relativi vini prodotti. A tal fine, si sono analizzate in modo approfondito uve provenienti da areali di produzione diversi della Barbera d’Asti, sottoponendole poi ad una vinificazione controllata presso la nostra cantina sperimentale (Centro Bonafous). Valutando i caratteri dei vini sperimentali e le caratteristiche dei vini in commercio, sarà possibile modellizzare le relazioni uve-vino e proporre ai produttori un modello predittivo che, in base alle caratteristiche delle uve, possa decidere il target commerciale a cui destinare il futuro vino».
«L’impegno anche economico della Regione Piemonte nella ricerca sulla Barbera d’Asti Docg – afferma l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero – è un altro segno concreto della volontà di valorizzare al massimo questo vitigno, che tante soddisfazioni sta portando anche ai produttori. E’ una ricerca impegnativa per l’ampiezza dell’area interessata, 167 comuni dell’Alessandrino e dell’Astigiano, e per la necessaria accuratezza con cui deve essere condotta. Del resto anche la Barbera, come ogni grande vino, ha la sua carta di vocazionalità. Le nostre colline hanno caratteristiche diverse e insieme uniche, sulla base della composizione dei terreni e delle condizioni climatiche e ambientali. Lo stesso vale per gli uomini e le donne che coltivano la Barbera, con le loro storie, tradizioni e vocazioni individuali. Sono convinto che caratterizzare tutto questo aiuterà a sviluppare le azioni più adatte per presentare nel modo migliore le grandi qualità della Barbera, che tanto ha ancora da offrire sui mercati internazionali».
Se sono rose (chi ricorda che tanti anni fa fu inventato un logo, la “rosa della Barbera” che individuava tutte le tipologie della “Rossa”?) fioriranno. Intanto si è seminato bene. Qui sotto la video intervista a Filippo Mobrici e per i più curiosi anche i primi rilievi della ricerca fatta dall’Università e dai tecnici. Buona visione.
fi.la.