Dopo l’ubriacatura della vendemmia 2015 da record e del sorpasso italiano alla Francia ecco la doccia fredda dei dati sull’export: Nuovo Mondo in piena crescita, Europa al palo per colpa della completa assenza di politiche adeguate. È un analisi cruda e preoccupante (ecco il link al documento originale: CS Nomisma Wine Monitor – Il ritorno dell_Emisfero sud) quella che emerge dai dati diffusi in questi giorni da Wine Monitor, lo strumento di analisi del centro studi Nomisma che setaccia ed elabora i dati sull’economia del vino mondiale in relazione a quella italiana e europea. I numeri parlano chiaro: nei primi 8 mesi del 2015, i dati Wine Monitor sul commercio mondiale di vino evidenziano una ripresa dell’export dei paesi del “Nuovo Mondo” vinicolo, con tassi di crescita mediamente superiori a quelli dei top 3 exporter europei (Francia, Italia e Spagna). In particolare, i volumi di vino esportati dalla Nuova Zelanda crescono del 13%, quelli dal Cile dell’8%, dall’Argentina del 4% e dall’Australia del 2%, a fronte di un -3% dell’Italia e di un -2% della Francia. L’unico produttore comunitario che riesce a tenere testa all’Emisfero Sud è la Spagna con un +14%, grazie soprattutto ad un incremento del +18% nei quantitativi esportati di vino sfuso.
Sottolinea Denis Pantini, responsabile Wine Monitor: «La crescita nell’export di vino dei paesi dell’Emisfero Sud sembra segnare un punto di svolta dopo la battuta d’arresto del 2014, quando i top 6 esportatori del Nuovo Mondo, Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sudafrica a cui vanno aggiunti anche se produttori di più lungo corso, Argentina e Stati Unitiavevano, accusato un calo complessivo nelle quantità vendute di oltre il 6% rispetto all’anno precedente».
Per quanto riguarda l’Europa, questi primi 8 mesi del 2015 evidenziano per i top 3 exporter europei una crescita dei volumi esportati congiuntamente pari al 3,5%, trainati soprattutto dagli sparkling (+7%, grazie soprattutto all’Italia che cresce del 16%) e dallo sfuso (+5%), dove in questo caso il merito è tutto della Spagna (+18%, come ricordato sopra) che tra l’altro continua a vendere a prezzi medi sempre più bassi (da 0,65 € /litro del 2013, gli esportatori spagnoli sono scesi a 0,42 nel 2014 e a 0,36 nel 2015).
Ma che cosa ha determinato l’exploit dell’export di vino del Nuovo Mondo? Tra le cause WM indica l’indebolimento delle valute di quei Paesi rispetto al dollaro americano e all’euro. «Un fattore – si legge nella nota di WM – che rappresenta uno dei fattori alla base di questa ritrovata competitività. Tra dicembre 2014 e agosto 2015, il dollaro neozelandese si è deprezzato di quasi il 19% nei confronti di quello statunitense mentre quello australiano ha perso il 13%, al pari di quanto accaduto anche al peso cileno e al rand sudafricano». Tuttavia ricondurre alla sola svalutazione competitiva il recupero nell’export di questi Paesi secondo WM non sarebbe corretto. «A questa leva – sostengono gli analisi di Nomisma – va aggiunto l’attivismo dei governi verso accordi di libero scambio e delle imprese sul fronte della promozione commerciale. Si pensi ad esempio, non solo al TPP (Trans-Pacific Partnership) appena concluso tra gli Stati Uniti e i paesi del Far East (tra cui Singapore e Vietnam), Giappone ed Oceania, ma anche al Free Trade Agreement (ChAFTA) raggiunto tra Australia e Cina che prevede, tra le altre cose, la progressiva riduzione dei dazi all’import a partire da quest’anno sul vino esportato in Cina fino alla loro completa eliminazione nel 2019, praticamente lo stesso trattamento di favore di cui già oggi beneficia il Cile, quando all’opposto i nostri vini pagano un’imposta pari al 14% se imbottigliati e del 20% nel caso degli sfusi. Si tratta di un’agevolazione rilevante, considerato che il prezzo rappresenta la principale variabile guida negli acquisti dei consumatori cinesi, in particolare per tutto ciò che non è di provenienza francese». Un campanello d’allarme per gli esportatori italiani di vino che continuano a guardare alla Cina come un mercato sempre più accessibile. E quanto gli accordi tra Stati possano favorire l’export lo ricorda ancora Pantini che rivela: «E di questo vantaggio (cioè dell’accordo commerciale tra Australia e Cina ndr) ne sono consapevoli gli importatori locali (cioè cinesi ndr) che in questi primi 8 mesi del 2015 si sono portati avanti nell’immagazzinare prodotti più convenienti, aumentando così gli acquisti di vino australiano imbottigliato del 116%!». Insomma l’Europa si deve svegliare se non vuole perdere il treno dell’export mettendo al lavoro i Governi e magari anche le istituzioni centrali della Ue.
SdP
dietro la solita “ubriacatura” delle cifre…io leggo che in fin dei conti il mondo intero guarda sempre al prezzo più basso. Che poi noi italiani per fare gli “splendidi” abbiamo quasi abbandonato il mercato interno è altro discorso,,,,,