Come si degusta all’estero un grande vino italiano? Chi immagina atmosfere esclusive e ristoranti stellati come da noi cambi canale. Negli Usa basta il piazzale di uno stadio. Non ci credete? Guardate qui.Il video è di Mark Oldman (http://www.markoldman.com), giornalista, scrittore, appassionato e conoscitore del mondo del vino.
La location non è un’enoteca di rango né la cantina di qualche maison vinicola. È il parcheggio dello stadio dove è in programma una partita di football americano: gli Stanford Cardinal, squadra di cui Mark è tifoso, se la giocheranno contro quelli del Virginia Tech (per la cronaca vinceranno i Cardinal).
E incurante delle auto dei supporters che vanno e vengono Mark tira fuori una bottiglia di Moscato d’Asti di un noto produttore astigiano e, versandolo in un “indegno” bicchiere di vetro stile Nutella, ne canta le lodi definendo il Moscato d’Asti come uno dei migliori vini del mondo.
Ecco il video.
Ora, davanti a una dichiarazione d’amore del genere uno deve per forza mettere da parte tutte le formalità e persino qualche regola di servizio inderogabile e incoronare quel buon vecchio uomo di Oldman come un genio del marketing enologico.
Essì perché quello che ha fatto il collega a stelle e strisce lo dovrebbero fare i produttori vinicoli piemontesi, insieme a associazioni ed enti di riferimento, i quali al posto di litigare e darsi addosso, portando la rissa anche sui mezzi d’informazione e dando in questo modo prova di scarsissima lungimiranza commerciale, dovrebbero pensare di più a vedere il vino e meno ad elaborare guerre di potere che rischiano di lasciare devastazioni da cui poi sarà difficile risollevarsi.
Sdp
Giovanni, grazie dell'”unzione” (non estrema eh…), però raggiunto il mezzo secolo d’età son “vecchio” di sicuro, ma marpione proprio no, magari amante delle discussioni utili, quello sì. Quanto ai vicepresidenti di Consorzio o Assomoscato, di Coldiretti o Moscatellum, di Cia o Confmoscato o… Ctm, tranquilli tutti, non ho nessuna intenzione di lasciare il mestiere di reporter, mi diverto troppo a fare il giornalista…
Su questo blog sono stati sollevati tantissimi problemi. Filippo è un vecchio(?) marpione che sa come sollecitare le discussioni. Filippo ha poi un’esperienza sul moscato che potrebbe benissimo sostiture al Consorzio dell’Asti almeno un VicePresidente (a proposito per la parte agricola il Conte Incisa Beccaria di Santo Stefano Belbo è durato come vicepresidente dal 1932
al 1967= 35 anni – la prima elezione di Evasio Polidoro Marabese come Vicepresidente è datata 1979). Fatte queste premesse (ungere non duole) parliamo di Moscatomania. Sembra che tutti abbiano scoperto l’acqua calda. Sapete perchè mi sono sempre battuto per la valorizzazione del Moscato d’Asti? Per un semplice motivo: la Moscatomania è sempre esistita. Nel mondo vi sono oltre 130.000 ettari di vigneti coltivati a Moscato (i Vigneti nostri non arrivano a 10.000 ettari) Si producono e si consumano nel mondo, sotto vari nomi, oltre un miliardo e mezzo di bottiglie di Moscato…e noi facciamo festa grande se il Moscato d’Asti nel 2010 ha raggiunto i 20 milioni di bottiglie.Il Moscato d’Asti non veniva consumato perchè non era conosciuto al grande pubblico. Noi, prima come Amici del Moscato , poi come CTM, ci siamo sempre battuti affinchè invece di sprecare soldi sull’Asti Spumante , una parte fosse investita per far conoscere il Moscato d’Asti. Il problema oggi à questo: dobbiamo tenere i prezzi alti e controllare le vendite oppure buttarci nella mischia e abbassare i prezzi andando a fare concorrezza ai moscatelli di tutto il mondo che vengono venduti a meno di 1 euro e cinquanta centesimi a bottiglia?
Il futuro della nostra zona sta tutto qui.
giovanni bosco
presidente CTM
Caro Felice, okkei all’innovazione ma con giudizio. A mio avviso il mondo del Moscato ha il dovere di rinnovarsi ma lasciando perdere le lotte di potere che si stanno concretizzando sempre di più in questo primo scorcio di 2011. Non fanno bene a nessuno, anche se potrebbe servire a qualcuno a caccia di un posto al sole. In buona sostanza quello che vedo io oggi è da una parte una ripresa vivace delle contestazioni in stile cobas del moscato di un decennio fa che, però, questa volta, non si battono solo per il prezzo delle uve, ma anche per la difesa della qualità e delle tradizioni, affiancati – ed è questa la novità – da “eno-griffe” e maison vinicole che supportando la contestazione di questa fetta di vignaioli hanno atteggiamenti un tantino radical chic. Dall’altra parte, al di là delle persone e delle contrapposizione sempre più personalistiche, c’è un Consorzio che non riesce a comunicare quello che ha fatto, che sta facendo e che intende fare, dando l’impressione di essersi arroccato su posizioni intransigenti o, peggio, filo padronali. Le uscite dal Consorzio, lo dico e lo ribadisco, secondo me sono state un errore. Le cose non si cambiano dal di fuori ma dal di dentro, magari cercando di contare di più. Neanche a me l’Ordine dei Giornalisti va bene così com’è, ma non do le dimissioni cercando di fondarne uno nuovo, magari dò il mio aiuto a chi vuole cambiare le cose e mi batto per cambiarle. Infine un’osservazione: condivido la tesi di chi difende l’esigenza di produrre un Moscato d’Asti sempre di alta qualità, ma allora perché ci sono produttori, singoli, industrie e cantine sociali, che al docg affiancano il Moscato doc fatto con la stessa uva che serve al docg, ma con costi delle uve inferiori e rese per ettaro superiori? A me sembra una presa in giro nei confronti del consumatore anche se, mi dicono, che il Moscato doc, con l’avvento delle fascette ministeriali, sia passato da 4 a 1,2 milioni di bottiglie. A questo punto perché non si fa solo ed esclusivamente Moscato d’Asti docg? E il fatto che le case spumantiere, in sede di commissione paritetica, abbiano rinunciato a produrre moscato doc è da intendersi come una conferma della volontà di perseguire un percorso di qualità? Ecco, credo che su questi interrogativi sia necessario fare chiarezza. Noi di Sdp ci proveremo
Certo che con in 25 mln di euro che hanno in tasca quelli del Consorzio, di “pubblicità subliminali” simili se ne potrebbero fare nel mondo…. Sul duro passaggio storico del mondo del Moscato, per quello che la vedo io, Filippo, è purtroppo un passaggio obbligato, cruento, ma necessario. Proprio la certezza di aver raggiunto un buon risultato di mercato dà ora la possibilità per affrontare questi passaggi dolorosi, velocemente… non dobbiamo aspettare che qualcuno scada nel 2012. Del resto Chiarlo stesso che volente o nolente è nello spot, ha fatto proprio recentemente fatto su “baracche e burattini” dal Consorzio, forse anche come ulteriore passaggio pubblicitario. Ed è una consolazione per chi, disorientato, ha ancora paura di lasciare la vecchia strada per impegnarne una nuova! coraggio!
ciao e grazie del commento Adriano… p.s.: mi sono sempre chiesto se sia vera la battuta sull’aroma di idrocarburi che un comico ha affibbiato al solito degustatore professionista. «Vuol dire che vigne le hanno piantate vicino all’autostrada?!» ironizzava il guitto. Satira enologica a parte se la battura è vera siam messi male…
Ho sempre sostenuto che troppa “ritualità” nell’approccio al vino sia degna della spassosa presa in giro di Albanese “sommelier”(che comunque fa pensare) Ci si è messo pure il Tavernello, protagonista improbabile di un pranzo tra rappresentanti del melodramma ai massimi livelli e citato come “bandiera” del made in italy (certamente da scrivere minuscolo) con uno spot “ambientato” a Londra. Saremmo proprio malmessi (ma siamo sulla buona strada) se il vinello in cartone diventasse un simbolo dell’enologia tricolore nel mondo……Che non sia necessario l’abito da sera per bere Moscatod’Asti dobbiamo farcelo insegnare dagli americani, da Michele Chiarlo, non a caso tra i transfughi del Consorzio, molti dovrebbero prendere lezioni di un termine che evocano spesso ma applicano molto approssimativamente e con scarsi risultati: MARKETING