Come accontentare le richieste del mercato garantendo un reddito agricolo dignitoso, appagare gli appetiti industriali e salvaguardare la qualità del prodotto? Il futuro del moscato si gioca attorno a questi interrogativi.
Se ne è parlato a Santo Stefano Belbo nell’ambito di un convegno organizzato da Cepam (Centro Pavesiano) e Ctm (coordinamento Terre del Moscato).
Al tavolo dei relatori Paolo Ricagno (Consorzio di tutela), Giovanni Satragno (Assomoscato), Beppe Artuffo (Comuni del Moscato), Walter Bera (Enoteca regionale di Mango), Paolo Saracco (Muscatellum), l’assessore regionale all’Agricoltura, Claudio Sacchetto e Massimo Fiorio, parlamentare e membro della Commissione Agricoltura della Camera.
Diciamo subito che novità e soluzioni non se ne sono trovate. In quasi due ore e mezza d’interventi, in assenza di un qualsiasi stimolo al dibattito, ognuno ha presentato la propria posizione, senza contraddittorio e moderazione di sorta.
Così se da una parte si è, giustamente, scongiurata la bagarre, dall’altra non si sono favoriti né chiarimenti né confronti. E intanto fuori dal Piemonte chi vuol fare business con il Moscato, il cui vitigno è coltivabile dovunque e il cui nome è liberamente utilizzabile da chiunque, lo sta facendo e lo farà.
A Santo Stefano Belbo, certo, si è parlato anche di questo, ma senza dare l’impressione che sia in atto un vero attacco al sistema Moscato Piemonte, come invece è.
Si è parlato di Moscato-mania, del fatto che nel mondo stanno aumentando le vendite di Asti e soprattutto di Moscato, si è detto che in altre regioni d’Italia e in Paesi stranieri si sta piantando moscato a più non posso, che sugli scaffali compaiono bottiglie italiane non piemontesi e straniere che scimmiottano il prodotto piemontese. Si è detto che si dovrebbe produrre più moscato piemontese per evitare che gli altri occupino settori di mercato, ma poi si è detto anche che se si produce più moscato c’è il rischio che la qualità vada a farsi benedire. Si è detto che i contadini hanno diritto di guadagnare di più se le aziende chiedono più uva, ma anche che se oggi le industrie chiedono prodotto domani c’è caso che lascino col sedere per terra i vignaioli. Si è detto che l’industria ha in mano elementi per prevedere l’andamento dei mercati, ma anche che non c’è da fidarsi degli analisti di mercato. Che il Moscato d’Asti è un vino reso famoso dai piccoli produttori, ma anche che se non ci fossero le aziende il moscato non sarebbe mai coltivato con questi volumi e redditi. Si è perfino detto che si dovrebbe far squadra, ma nei fatti non si fa.
Insomma la solita infilata di cose dette e ridette per un settore che non riesce a trovare sintonia nonostante le cose vadano oggettivamente bene con Asti e Moscato che veleggiano verso i 100 milioni di bottiglie vendute. Roba che in altre parti d’Italia farebbero festa per due anni. Invece in Piemonte impera il tafazzismo, l’arte cioè di darsi martellate sulla… ginocchia quando tutto va bene.
Il sospetto è che dietro ad arroccamenti e prese di posizioni ci siano personalismi difficili da cancellare. Se fosse così dovremmo augurarci un rinsavimento rapido per evitare danni irreparabili.
Le poche novità del convegno santostefanese sono giunte, come spesso accade, a fine assemblea. L’assessore Sacchetto ha annunciato che la Regione Piemonte lavorerà per limitare l’impatto della rivisitazione del vigneto Piemonte in atto da parte di Valoritalia, la società di certificazione che deve far coincidere i filari reali con quelli virtuali dei registri burocratici. «I vigneti declassati dovranno tornare nella disponibilità dei legittimi proprietari e le Province dovranno stringere sui controlli» ha detto annunciando per il prossimo anno sgravi burocratici per i viticoltori d’intesa con il Ministero per la Semplificazione. Applausi.
Filippo Larganà (Filippo.largana@libero.it)
A nome del CTM chiedo scusa a Maurizio per il mancato invito, purtroppo gli inviti sono stati
spediti dal Cepam, Il CTM è soltanto da quest’anno che collabora a questa manifestazione..Se
Maurizio mi contatta tramite posta elettronica axabelbo@virgilio.it per il futuro sarà sommerso di comunicati stampa ed inviti. Grazie e Buon Moscato d’Asti.
prego e certo che permetto… ci mancherebbe… 150 ettari in Emila? A me hanno parlato addirittura di 3500… valzer di numeri o reale cambiamento di rotta verso il business del momento? Mah, intanto i piemontesi parlano, parlano, parlano e alla fine rischiano di fare (l’ho già scritto…) come i capponi di Renzo… Sulle promesse antiburocrazia sono d’accordo con te…
grazie Filippo, se permetti riprendo qualcosa per Millevigne visto che il nostro giornale, anche se ha circa duemila lettori tra i produttori di moscato, non è stato invitato al convegno. Le mie idee le ho già espresse. Aggiungo che giorni fa mi ha chiamato un collega agronomo dalla Romagna per avere informazioni agronomiche sul moscato perchè In Emilia pensano di piantarne 150 ettari. Del resto è il terzo vitigno bianco più piantato al mondo dopo Airen e Chardonnay, ce ne sono in tutto 130.000 ettari. Quando facciamo le nostre riflessiono teniamo conto di questo dato, altrimenti facciamo come “Griffy the cooper” di Edgar Lee Masters (vedete l’interno della vostra botte e pensate di vedere il mondo). Ai proclami sulla sburocratizzazione crederò quando li vedo. Per ora vedo poco arrosto e molto fumo (come quello che ha fatto Calderli con la buffonata del rogo degli scatoloni).