Consorzio dell’Asti: via quattro “moscatisti”. Vino: i piemontesi litigano, il resto del mondo fa business

inserito il 21 Dicembre 2010

Questa volta i nomi non sono così “pesanti” come lo scorso Natale, tuttavia il Consorzio di Tutela continua a perdere adesioni con strascichi polemici che di natalizio hanno poco, anzi pochissimo. Nel 2009 ad andarsene dall’ente consortile, in polemica con le scelte del presidente presidente Paolo Ricagno, furono pezzi da novanta: Martini & Rossi e Gancia, seguiti da altre tre aziende minori collegate.

Quest’anno, sempre in periodo natalizio, hanno annunciato di aver inviato lettere di dimissioni, come singoli soci, dal Consorzio di piazza Roma i moscatisti Giovanni Satragno, di Loazzolo (Asti) e presidente di Assomoscato (vignaioli), Paolo Saracco, Castiglione Tinella (Cuneo) portavoce di Moscatellum (piccola associazione di vignaioli), Ignazio Giovine, L’Armangia di Canelli (Asti) e Roberto Sarotto di Neviglie (Cuneo).

I motivi li chiarisce Satragno: «Non siamo d’accordo con la politica del Consorzio. Di più, non condividiamo la gestione che Ricagno fa della politica consortile. Pensa solo ai grandi numeri senza dare dignità a chi, come i produttori, hanno fatto grande il Moscato d’Asti. È una situazione insostenibile per noi e per altri che stanno considerando di seguirci fuori dall’ente consortile».

Spazi di manovra per ricucire? «Non ce ne sono fino a quando ci sarà questa gestione. Vogliamo fare affari anche al di là della “moscatomania” di questi mesi, che fa comodo all’industria, ma non ai piccoli. E non siamo noi a dividere, ma Ricagno» sostiene Satragno.

Paolo Ricagno, da Roma, dove sta seguendo personalmente alcune iniziative di promozione dell’Asti docg (domenica era, con il pasticcere Ernst Knam, ospite da Simona Ventura alla trasmissione “Quelli che il calcio” per un brindisi a base di Asti), replica alle notizie che giungono dal Piemonte: «Dimissioni dal Consorzio? Non ho ancora ricevuto alcuna comunicazione. Quando l’avrò commenterò» dice. E quando gli comunichiamo che i quattro moscatisti sarebbero in polemica con la sua gestione  risponde annunciando un evento pro Asti: «Questa sera (21 dicembre 2010) partecipo ad una cena con i direttori delle maggiori testate televisive italiane. Si brinderà con Asti docg. Sono convinto che sia un modo perfetto per promuovere il nostro spumante e la sua filiera ed è quello che il Consorzio deve fare e sta facendo».

Tirare le fila di quello che sta accadendo non è facile. Proviamo aiutandoci con la cronaca. Dunque, l’anno scorso due grandi aziende abbandonarono il Consorzio presieduto da Ricagno perché non condividevano la promozione del marchio consortile e l’uso delle risorse destinate a questa azione pro filiera, tanto che fu bloccata ogni réclame natalizia targata Consorzio di tutela dell’Asti. «Possiamo fare meglio da soli tutelando i nostri interessi e quelli dei nostri vignaioli» avevano spiegato con un comunicato congiunto M&R e Gancia.

Oggi se ne vanno, per la verità non così inaspettatamente, quattro moscatisti con motivazioni simili a quelle di M&R e Gancia, ma di segno opposto.

Insomma le dimissioni sembra siano il modo preferito per dissentire, almeno in seno al Consorzio di tutela dell’Asti.

E pensare che il mondo del moscato sta vivendo una stagione positiva. Le uve sono state pagate più o meno come ha indicato l’accordo interprofessionale e ancora ripagano il lavoro dei contadini nelle vigne. Come non bastasse le cose commercialmente sembra non siano andate mai meglio, con i mercati che chiedono Asti e Moscato a più non posso e vendite che a fine anno sfioreranno i 100 milioni di bottiglie tra spumante e “tappo raso”.

Condizioni lontane anni luce  rispetto a quelle di altri vini, bianchi e rossi, piemontesi. Come Barbera, Brachetto e Dolcetto che hanno uve e vino tanto sviliti da chiederne la distillazione attraverso addirittura proteste di piazza e interrogazioni parlamentari.

Perfino i vini più blasonati del Piemonte non sono immuni da polemiche. Dall’albese, infatti, filtrano critiche al nuovo presidente del Consorzio di tutela del Barolo e del Barbaresco, Pietro Gatti, reo, secondo notizie riprese anche su Internet, di avere tagliato le azioni consortili di promozione. Un fatto questo che, secondo i critici, andrebbe a favore delle grandi griffe barolistiche e danneggerebbe i produttori come meno visibilità mediatica.

Insomma tutto fa pensare che al Piemonte del vino più che fare squadra e business piace litigare e tendersi agguati.

E il resto del mondo? Fa affari. Come una grande marca di Champagne che pochi giorni fa, al relais San Maurizio di Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo e a due passi da Canelli, nell’Astigiano, dove un secolo e mezzo fa è nato il primo spumante d’Italia, ha organizzato una serata di degustazione con Champagne e tartufi. A quando una serata a Parigi con Alta Langa o Asti spumante o Moscato d’Asti abbinati a ostriche o fois-gras o camembert?

È meglio prendersi a stracci in faccia? Ci si può chiedere “cui prodest”, cioè a chi giova che il mondo del vino piemontese sia così litigioso e disunito. A questa domanda noi proprio non sappiano dare risposta.

Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)

2 Commenti Aggiungi un tuo commento.

  1. filippo 22 Dicembre 2010 at 14:20 -

    E non mi stancherò mai di ripeterlo, caro Luca, che fare squadra è meglio che scontrarsi. Io, però, non mai parlato di condivisione, ‘ste cose lasciamole ai politici. Quando parlo di unità parlo di identità di scopi, di obiettivi di mete comuni, non di portare all’ammasso le idee. In una società democratica e adulta ci devono essere confronto e dialogo tra idee diverse. In questo momento, secondo me, il mondo del vino piemontese è attraversato da personalismi e lotte di potere ed economiche. Qualcuno lo fa trasparire, altri le camuffano da “guerre sante”, altri ancora si arroccano sulle proprie posizioni. E sedersi attorno ad un tavolo?! E discutere senza vedere nell’interlocutore sempre e comunque un nemico più che un avversario. Il vino, caro Luca, è un’altra cosa. La vigna è un’altra cosa. Eppoi, scusa, che cosa intendi con “certe persone” e “certe strategie”. Lo scopo delle industrie è fare reddito. Quello che produttori vinicoli, idem. Quello dei vignaioli che conferiscono l’uva lo stesso. I modi per raggiungere lo scopo possono essere diversi, a volte opposti, ma la meta è la stessa e una filiera che si rispetti deve trovare punti di contatto per il bene comune. Al di là delle contrapposizioni. Ma che razza di discorsi costruttivi possiamo portare avanti se partiamo dal presupposto che l’altro ci sta fregando? No, a mio avviso, questi presupposti sono sbagliati, di più: sono pericolosi perché mettono a rischio tutto quello che si è costruito fino ad oggi e in un momento di successo per i vini piemontesi che, proprio per questo motivo, sono attaccati da competitor nazionali e internazionali. Perciò, ripeto, non dico di condividere le idee, ma gli obiettivi, quelli, per favore, sì.

  2. luca vola 22 Dicembre 2010 at 12:50 -

    caro filippo, tu continui a ripetere che invece di litigare bisogna fare squadra; per carità, come darti torto, ma mi sembra un pò come quel motto politico : sì alle riforme purchè condivise. siamo sicuri che una riforma se condivisa è buona? allo stesso modo, siamo sicuri che fare squadra con certe persone che perseguono certe strategie di mercato sia positivo per il mondo del moscato? oppure potrebbe avere effetti controproducenti? domanda di difficile soluzione..la parola a te e ai lettori..

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