Chi si ricorda della Lega Nord di Umberto Bossi che non ebbe timore di predicare la secessione dall’Italia al grido di “Roma ladrona”?
Oggi quel partito si è trasformato. Si chiama semplicemente Lega, ha in Matteo Salvini il suo “capitano” ed è diventato un movimento nazionale che ha aperto sedi anche nel tanto vituperato Sud Italia. Come cambiano i tempi!
A poche settimane dalla vendemmia del moscato questa parentesi politico-storica serve per introdurre quello che sta accadendo nel mondo del vino piemontese. Sembra, infatti, che spirino venti di secessione nel comparto più “democratico” e strategico che c’è, cioè proprio quello del moscato.
La voce che alcuni moscatisti del Cuneese siano “sul piede di guerra” circola già da tempo. Tra i motivi del “maldipancia” soprattutto la “governance” consortile dell’Asti e del Moscato docg che essi considererebbero troppo distante dagli interessi dei produttori.
Ed è di questi giorni la notizia di una riunione riservata a cui avrebbero partecipato sia i vertici del Consorzio dell’Asti sia quelli del Consorzio del Barolo e Barbaresco. Si sarebbe parlato, davanti a una quarantina di produttori, del progetto di un Langhe Moscato, pare non dolce, a produzione prevalentemente cuneese. Un progetto interessante che già diversi vignaioli stanno testando con crescente successo. Ricordiamo il gruppo di vignaioli di Castiglione Tinella, ma anche i moscati secchi vinificati anni fa, e in tempi non sospetti, a Cassinasco e Canelli, nell’Astigiano.
Il summit sul Langhe Moscato, che dovrebbe ricadere sotto la giurisdizione dell’ente consortile guidato da Matteo Ascheri, per ora sarebbe stato solo un puro e semplice “purparler”anche se si parla di una certa “insofferenza” da parte dei rappresentanti del Consorzio dell’Asti e del Moscato e di una esplicita cautela da parte dell’ente barolista.
Se, tuttavia, il progetto andrà avanti, sulla scorta, a quanto pare, di “istanze” dei produttori, non è inverosimile che si consumi un inedito strappo con il Consorzio dell’Asti. Il pretesto per un divorzio che avrebbe dell’eclatante sarebbe proprio la nascita del Langhe Moscato, un vino col DNA “langhetto”. I cuneesi “secessionisti”, però, dovrebbero fare i conti con le resistenze del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti, guidato da Romano Dogliotti, il cui parere potrebbe persino essere vincolante. In questo caso il Langhe Moscato da secco potrebbe diventare decisamente “amaro”.
Siamo, dunque, a posizioni contrapposte tra comparti vitivinicoli “cugini”? Potrebbe essere. Del resto non è la prima volta che i mondi del vino piemontese si scontrano. Gli ultimi esempi riguardano l’Alta Langa docg, il Nebbiolo e ancora il Moscato.
Nel primo caso, un anno fa, alcuni barolisti chiesero, senza ottenerlo, che alla base ampelografica fissata dal disciplinare dell’Alta Langa docg, cioè le uve chardonnay e pjnot, fosse aggiunto anche il nebbiolo. Molti produttori storici si schierarono contro, altri a favore. Il presidente consortile, Giulio Bava, gestì posizioni molto distanti tra loro. Alla fine prevalse il no.
La questione nebbiolo fu più complessa. Tutto cominciò con il Consorzio della Barbera, presidente Filippo Mobrici, che presentò il progetto di un Piemonte Nebbiolo. I cuneesi del Langhe Nebbiolo, con in testa il Consorzio albese, si opposero sostenendo che la nuova denominazione avrebbe potuto causare confusione e nocumento alla storica denominazione cuneese. Dopo discussioni e qualche scontro si arrivò al compromesso del Monferrato Nebbiolo che in qualche modo accontentò (e scontentò) un po’ tutti.
Per il moscato occasione di divisione fu la nascita della nuova docg il “Canelli” (leggete qui) a base moscato con rese e disciplinare fissati ad hoc. Nonostante nella lista dei i 18 Comuni dell’area di produzione ci siano anche centri della provincia di Cuneo, dall’Albese si levarono voci di dissenso per chiedere lumi sull’esclusione dal progetto “Canelli docg” di paesi e città cuneesi di rilevanza, come ad esempio la zona di Alba. La questione fu dibattuta sui social e sui media tradizionali. Nel corso delle recenti elezioni regionali anche qualche candidato toccò il tema auspicando un dibattito allargato, che fino ad oggi non c’è stato. Un fatto, però, è certo: ai moscatisti cuneesi l’esclusione dal Canelli docg ha lasciato un po’ di amaro in bocca.
Fin qui la raccolta di fatti, indiscrezioni e contrapposizioni che animano il mondo del vino piemontese il quale, duole osservarlo per l’ennesima volta, al di là delle dichiarazioni di facciata e di alcuni, pochi, progetti comuni, appare diviso su quasi tutto, dalle denominazioni alla promozione.
E pensare che in altre regioni italiane da anni si avviano campagne di comunicazione e valorizzazioni comuni che , al di là delle singole denominazioni e persino Consorzi di Tutela, valorizzano un unico territorio.
In terra piemontese questa strada è stata percorsa poche volte e non benissimo. Eppure il nome Piemonte sarebbe, ed è, molto spendibile in tutto il mondo. Speriamo che il nuovo corso regionale lo capisca e si attivi.
Per quanto riguarda i Consorzi di tutela, nonostante a tratti collaborino tra loro (vedi Asti-Moscato e Barbera), a tutt’oggi non sembrano riuscire a trovare terreni comuni concreti e soprattutto duraturi per affrontare sfide nazionali e internazionali. L’impressione è, anzi, che si operi a compartimenti stagni, coltivando aree di competenza che spesso sono collidenti.
Sarà il caso di ripensare al ruolo di Piemonte Land, il super consorzio che dovrebbe armonizzare l’attività promozionale dei Consorzi? Sarà il caso che il mondo del vino piemontese di doti di una cabina di regia, magari super partes? Sarà il caso di ragionare del futuro del comparto vino tenendo presente il quadro generale, preferibilmente mettendo da parte, per una volta, interessi particolari di area?
Interrogativi non facili a cui, però, si deve tentare di dare risposta per il bene e lo sviluppo non solo di alcune denominazioni, più o meno prestigiose, ma dell’intero settore vitivinicolo del Piemonte.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)