Succede che uno cerca una cosa e ne trova un’altra che, magari, credeva persa o a cui non pensava proprio. A noi di Sdp è accaduto partecipando ad una degustazione di spumanti Gancia. Oh, intendiamoci, niente di trascendentale, ma di significativo sì. Ecco, è successo che un amico ci ha invitato ad una degustazione di spumanti Gancia metodo classico.
Negli ultimi anni la Casa canellese ha puntato decisamente sulla sua tradizione spumantistica essendo il suo fondatore, il famoso Carlo Gancia, primo pioniere italiano dello spumante avendo inventato nel 1865 a Canelli nell’Astigiano, mutuando la tecnica francese, le prime bollicine italiche utilizzando le uve moscato e commercializzando il primo “Moscato Champagne di Canelli”.
Ebbene, perché negarlo, ci siamo deliziati prima di tutto della location, le cantine storiche della Gancia che, insieme a quelle di altre tre cantine (Bosca-Cora, Contratto e Coppo) sono denominate cattedrali sotterranee e fanno parte della candidatura delle vigne piemontesi a diventare patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco.
Quindi ci sono stati gli assaggi dei brut metodo classico (fermentazione in bottiglia con la tecnica champagnistica) con diverse tipologie di affinamento: il 18 mesi (bianco e rosè) con le sue fragranze e armonia, i due Alta Langa doc, ottenuti solo da uve (Pinot Nero e Chardonnay) coltivate in Piemonte: il 36 mesi con la sua rotondità ed equilibrio, il 60 mesi con la sua eleganza indiscutibile, e infine il gioiello inimitabile: l’Asti docg 24 mesi, connubio raro di dolcezza e morbidezza.
E fin qui tutto okkei. Ma la notizia è un’altra. È, cioè, che la Gancia, nella sede storica di corso Libertà a Canelli, ha creato una cantina nella cantina, tutti i metodo classico firmati dalla maison canellese escono, infatti, da un impianto creato appositamente per la loro elaborazione e che sta all’interno dell’azienda, a due passi dalle grandi e velocissime linee dove, attraverso i metodi più moderni di elaborazione enologica, si ottengono i milioni di bottiglie che vanno in tutto il mondo. È, insomma, un’oasi di tradizione nel cuore di uno stabilimento enologico d’avanguardia.
I nostri ciceroni chiariscono che si è trattato di una precisa scelta aziendale, che la maison che ha dato i natali al primo spumante italiano non poteva non ricostruire uno spazio dedicato a queste produzione strettamente di nicchia e fortemente evocative di una trazione vinicola che è stata ed è alla base della storia enologica del Piemonte.
Così in una saletta protetta da un portoncino di legno massiccio è custodito quello che non t’aspetteresti: due grandi torchi per la pressatura soffice dei grappoli, quella che non rompe gli acini e ne spreme via delicatamente tutto il nettare; una decina di vasche in acciaio dove il vino riposa sotto controllo prima di andare in bottiglia, le pupitre che ospitano migliaia di bottiglie per il rito del remauge, cioè della rotazione che consente di separare i residui della fermentazione in bottiglia dal vino oggi effettuata anche con grandi griglie cubiche che si muovo in automatico. È insomma l’eno-santuario che la Gancia ha dedicato alla sua storia, un passato prossimo che è ancora futuro in questo angolo di Piemonte legato alle produzioni vinicole di pregio, vanto e, speriamo, grimaldello per accettare e vincere le sfide economiche globali.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)