Chi ha partecipato all’incontro sui dieci anni di Ocm, la misura che mette a disposizione fondi pubblici per la promozione del vino, organizzata alla Vignaioli Piemontesi nei giorni scorsi, non ha potuto non cogliere alcuni messaggi che, in un modo o nell’altro, sono emersi dalle relazioni dei tecnici: il mondo del vino piemontese non può navigare a vista, non può procedere per comparti stagni, non può avere figli e figliastri, deve darsi una voce unica, puntare su obiettivi precisi, muoversi secondo un piano comune nel rispetto delle proprie identità e possibilmente fare cose che gli altri non abbiano ancora fatto. Insomma deve aprire una buona volta il libro dei sogni e farlo diventare realtà. Facile? Difficile? Impossibile?Ingenuo solo pensarlo? Tanto non lo faranno fare mai (ma chi?)? Comunque bisogna rifletterci. È un imperativo. Il resto sono “chiacchiere e distintivo”. E mentre pubblichiamo qui la nota stampa che dà conto del forum che in gran parte abbiamo seguito, segnaliamo un’unica dissonanza: l’ironia, sia pure elegantissima, sui dati non esaltanti del mondo dell’Asti. Vero che i numeri sono numeri e non mentono, vero che il mondo dell’Asti sta vivendo un momento non facile, ma è anche vero che accostare un fenomeno unico, nel bene e nel male, come la filiera del moscato, ad altre filiere, come quella genericamente dei “rossi piemontesi” o quella del Prosecco tout court, non è, a nostro avviso, pratica completamente corretta. Ci sono differenze determinanti, sia in termini sociali, sia culturali e produttivi. L’Asti, come hanno detto e scritto in tanti, è un gigante che ciclicamente scopre di avere i piedi d’argilla, e tuttavia non cade mai. È preda dei suoi pregi come dei suoi difetti, è alla perenne ricerca di un punto di gravità permanente che forse non esiste, eppure dà solidità e reddito a migliaia di viticoltori, aziende, indotto, operatori, molti di più di quanto facciano altre denominazioni, piemontesi e non, decisamente meno blasonate, conosciute e anche “democratiche” del moscato.
Detto questo ecco la nota del convegno sull’Ocm vino a dieci anni dal suo avvio. Buona lettura.
Sono stati 131 milioni di euro i soldi investiti dalle aziende piemontesi in promozione nei paesi extra UE nell’ultima programmazione dell’OCM Vino. La Regione ha sostenuto tali investimenti approvando 60 milioni di fondi comunitari, il resto è il contributo messo da 350 aziende vinicole e 5 Consorzi di Tutela oltre a Piemonte Land of Perfection che raggruppa tutti i consorzi di tutela piemontesi. I fondi Ocm sono stati spesi soprattutto sui mercati sicuri: Usa (40%), Cina (20%), Svizzera e Nord Europa (10%), Canada (9%), Russia e Giappone (8%). L’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo entrò ufficialmente in vigore il 1° agosto 2009. Ai tempi si cominciava a capire che i concorrenti dell’Italia enoica non erano più i vicini di casa, ma i Paesi dove la viticoltura stava crescendo e modernizzandosi. Bisognava essere più competitivi per affrontare il futuro. Oggi è una certezza.
«Ma le aziende piemontesi non rischiano» commenta Daniela Scarzello, funzionaria della Regione Piemonte, che ha presentato un bilancio dei primi dieci anni di OCM Vino in Piemonte. Scarzello ha spiegato come sono stati utilizzati i finanziamenti Ocm e quali traguardi si sono raggiunti, proponendo una riflessione sulle nuove sfide che gli imprenditori del vino piemontesi dovranno affrontare nei prossimi anni.
«I piemontesi vanno a fare promozione sui mercati sicuri – conferma la funzionaria regionale – ma il senso dei fondi europei dovrebbe essere quello di essere investiti in nuovi ed emergenti mercati. Tra l’altro, emerge che il vino è il prodotto più colpito dal protezionismo estero: il paese con i dazi maggiori è la Cina, seguita da Russia, India, Indonesia, Usa e Turchia». Scarzello ha incalzato i rappresentanti dei Consorzi di tutela presenti in sala: «La Cina è un’opportunità? Vale la pena fare un piano sul Made in Italy solo per la Cina? La Russia è solo un mercato da difendere dalla contraffazione? Le politiche protezionistiche di Trump sono un pericolo per le nostre esportazioni? Quali sono i mercati emergenti interessanti?».
Di prospettive future ha parlato Tiziana Sarnari, analista di mercato Ismea, partendo dal dato dell’export: nel 2018, il Piemonte ha esportato 2,9 milioni di ettolitri di vino per un valore di 1 miliardo di euro. «Il settore del vino va bene, l’Ocm ha funzionato ma ora dove va il mercato? – si chiede Sarnari – Entro il 2025, si ipotizza che il volume di produzione e di consumo cresca del 10%. Per il Piemonte la crescita è confermata anche nel primo trimestre del 2019 per le Docg e Doc rosse sono 74 mila ettolitri e un fatturato di 61 milioni di euro con +7% in volume e +11% in valore». Non così bene per l’Asti spumante in crisi: nel primi tre mesi del 2019, segna una vendita di 52 mila ettolitri pari a 20 milioni di euro ovvero -32% in volume e -16% in valore. «Aumenterà la fascia media dei vini, quelli tra i 5 e i 7 euro – avverte Sarnari – E nella nuova Pac, che partirà in primavera, sarà importante il concetto di sostenibilità ambientale nelle vigne».
Stefano Massaglia, ricercatore dell’Università degli Studi di Torino, ha presentato una ricerca condotta in 103 aziende del Piemonte su come hanno investito i fondi comunitari e il grado di soddisfazione. «Emerge che le aziende più piccole hanno aumentato il fatturato – rileva Massaglia – come nei matrimoni, questo rapporto ormai di lungo termine ha trovato una sua stabilità ma rimango ampi margini di miglioramento con nuovi approcci e nuove strategie».
Qui le relazioni presentate.
relazione-tiziana-sarnari_ismea_2009-2019-dieci-anni-di-ocm-vino
relazione-daniela-scarzello_regione-piemonte_2009-2019-dieci-anni-di-ocm-vino
relazione-stefano-massaglia_universita-degli-studi-di-torino_2009-2019-dieci-anni-di-ocm-vino