Il servizio di una tv olandese specializzata in agro-falsi ha smascherato un riso spacciato come riso italiano della varietà Arborio. L’inchiesta è stata ripresa da siti italiani con una dura presa di posizione delle Coldiretti piemontese. Ecco tutta la storia. Per primo il canale olandese Dahl Tv ha denunciato la commercializzazione in Olanda di un riso spacciato come Arborio italiano. I giornalisti della tv, che ha un programma specializzato in inchieste sulle frodi alimentari, hanno messo sotto osservazione una confezione di risotto e ne sono venute fuori delle belle. Per chi capisce l’olandese il link con il video è qui. Gli altri possono leggere il servizio con cui Gianfranco Quaglia, già giornalista del quotidiano La Stampa da Vercelli e oggi direttore del sito http://www.agromagazine.it/, ha ricostruito la vicenda. Il testo originale qui.
In sintesi: i giornalisti olandesi hanno intercettato confezioni di riso spacciato come Arborio. Allora sono venuti in Italia, nel Vercellese, per controllare se davvero si trattasse di Arborio. Ma le differenze tra il vero e il falso Arborio si sono dimostrate abissali.
Da qui la durissima presa di posizione di Coldiretti Piemonte che in un comunicato diffuso oggi riferisce le dichiarazioni di Delia Revelli presidente di Coldiretti Piemonte: «La risicoltura piemontese rappresenta l’identità socioeconomica e la tradizione in particolare dei territori novaresi e vercellesi. È necessario, quindi, rendere obbligatoria una normativa, da esportare anche in Europa, sull’etichettatura d’origine per i risi italiani al fine di evitare frodi a danno della salute dei consumatori che, oltretutto, ledono l’immagine del Made in Italy nel mondo» e di Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Piemonte: «Abbiamo consegnato al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il testo sulle “Nuove norme in materia di reati agroalimentari” e continuiamo a voler combattere le numerose truffe alimentari, oltre a punirle con sanzioni, con la confisca in grado di colpire i patrimoni economici».
Del resto i dati parlano chiaro: il business delle agromafie è aumentato del 10 per cento in un anno e ha raggiunto i 15,4 miliardi di euro solo nel 2014.
Intanto va avanti il processo per il giro di wine kit, cioè per quei prodotti che promettono di costruire un vino in casa con l’uso di polveri e altri additivi, scoperto in Emilia Romagna (leggi qui). Sul suo profilo Facebbok, Dino Scanavino, astigiano e presidente nazionale della Cia, la confederazione degli agricoltori, ha annunciato che il gup, cioè il giudice per l’udienza preliminare, ha ammesso la costituzione della Cia come parte civile nel procedimento a carico di coloro che sono ritenuti dagli inquirenti responsabili dello scandalo italiano Wine kit. Leggi qui.
Sullo stesso fronte, Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura, ha dichiarato: «Quasi un’azienda agroalimentare su due (il 41,8%) ha subito almeno una contraffazione dei propri prodotti in Italia, due su tre nelle imprese con oltre 250 dipendenti», augurandosi che si trovino le strade giuste per fronteggiare il fenomeno del fake food italiano e dell’italian sounding che ormai ha raggiunto livelli di guardia con un giro d’affari che, secondo recenti stime, si aggirerebbe attorno ai 70 miliardi di euro.
SdP