«Se la città di Asti non entrerà nell’elenco dei Comuni dove si coltiva il moscato c’è il rischio concreto che la denominazione decada perché non a norma rispetto le direttive dell’Unione Europea». È un appello forte e dai toni drammatici quello lanciato in questi giorni dal presidente del Consorzio di Tutela dell’Asti e del Moscato, Paolo Ricagno.
Nel corso di vari incontri con i sindaci della zona del moscato il numero uno dell’ente ha spiegato come il futuro della denominazione sia condizionato dall’ingresso della città di Alfieri nella lista dei centri dove si coltiva l’uva moscato.
Ma per capire bene quello che sta accadendo occorre fare un passo indietro e ripercorrere una querelle che risale a due anni fa.
A fine 2008 il Governo Prodi, in procinto di chiudere per crisi, emana un decreto a firma Paolo De Castro, allora ministro per l’Agricoltura. Nel documento si dà il via libera a che Asti diventi il 53° Comune del Moscato e alla seguente modifica del disciplinare.
Il decreto, però, non ha rispettato l’iter formale e per questo, dopo mesi di polemiche e summit, una parte della filiera che comprende Assomoscato (vignaioli), Comuni del Moscato e il Comune di Coazzolo nell’Astigiano, presenta ricorso al Tar opponendosi ad una delibera pro Asti già votata dal Consorzio di tutela.
I giudici amministrativi danno ragione a chi non vuole la città di Alfieri nel novero dei paesi del Moscato e il Consorzio. E alla fine si accetta una sorta di aggiustamento, ossia l’ammissione nei territorio del moscato di pochi ettari vitati della scuola di Agraria di Asti, come presenza simbolica della città nella lista dei comuni moscatisti.
Tuttavia il Comitato Vini del Ministero boccia l’escamotage e rispedisce tutto al mittente, cioè al Consorzio, facendo rilevare che le nuove direttive Ue in materia di dop alimentari richiedano come condicio sine qua non per il mantenimento della denominazione l’inserimento del luogo legato alla origine geografica di quel prodotto.
In parole povere se l’Asti spumante vuole chiamarsi ancora “Asti” e soprattutto tutelare questo nome e renderlo inimitabile in tutto il mondo deve far rientrare il capoluogo dell’Astigiano nei paesi del disciplinare.
In caso contrario rischia di fare la fine dl Tocai Friulano, cancellato dal mondo enologico italiano perché i produttori ungheresi, dove esiste la città di Tocaj, hanno fatto valere le disposizioni Ue sulle denominazioni battendo i produttori d’Italia, nove non esiste neppure una frazioncina che si chiama Tocai. Emblematico il caso del Consorzio del Prosecco che ha recentemente esteso l’area di produzione da Treviso sino a Trieste per comprendere una frazione di nome Prosecco, garanzia di blindatura e tutela della denominazione delle bollicine venete anche di fronte alle rigide disposizioni dell’Unione Europea.
Quelli dell’Asti spumante sono chiamati a fare altrettanto.
Di questo hanno parlato Ricagno e i suoi vice Marzagalli (Campari) e Marabese (viticoltori) ai sindaci. Ma di questo hanno parlato anche avvocati esperti di diritto enologico e di tutela di marchi: Giuseppe Gallo, consulente pure per il Comune di Asti, e Carlo Alberto Demichelis della Jacobacci e Partners, studio specializzato nella tutela internazionale di marchi.
In particolare Demichelis ha riferito di alcuni tentativi recenti di imitare il nome Asti in russia da parte di marchi vinicoli che ricalcano il nome dello spumante docg piemontese e del fatto che, proprio per non essere stato ancora allineato con le direttive Ue, i giudici di Brasile e Svizzera hanno bocciato o accolto solo in parte le tutele presentate dal Consorzio di tutela.
Il legale della Jacobacci ha anche parlato del caso del Vino Nobile Montepulciano che avendo compreso nel disciplinare solo la definizione varietale “Montepulciano” non ha potuto tutelare la denominazione Vino Nobile di Montepulciano (Siena) verso il Montepulciano d’Abruzzo
Ci sono stati chiarimenti anche sul “nodo Zonin”. L’azienda veneta, infatti, ha una tenuta, Castello del Poggio, a Portacomaro, una frazione di Asti, dove vi sono ettari di moscato. Un fatto, questo, che ha fomentato non poco l’avversità di molti vignaioli ad accettare l’ingresso di Asti come 53° Comune del Moscato, preoccupati dall’apertura ad una delle industrie vinicole più potenti d’Italia che in questi anni ha acquisito marchi e cantine in varie regioni.
«Ma l’apertura ad Asti sarebbe autorizzata a massimo 25/30 ettari. Una goccia rispetto agli oltre 9 mila della zona del moscato. E a questo Consorzio interessa la difesa della denominazione, la più grande d’Italia e unica a rappresentare voci economiche positive per aziende e vignaioli» ha precisato Ricagno.
Il fronte dei Comuni appare spaccato. I sindaci della parte alessandrina hanno già dato l’ok ad Asti 53° Comune del Moscato. Ora si attende la risposta di astigiani e cuneesi.
«Vogliamo una soluzione politica. Non un’imposizione» ha detto nel corso della riunione con i sindaci astigiani, Ivo Biancotto, assessore a Coazzolo. In questi giorni ci sarà l’incontro con i primi cittadini della zona di Cuneo.
Cautela da parte di Giovanni Satragno, presidente di Assomoscato: «passerà la documentazione presentata dal Consorzio e dai legali ai nostri avvocati. Poi decideremo la nostra posizione».
Che potrebbe anche essere ininfluente perché, a quanto pare, la nuova legge 61 sul vino dà ampia libertà di manovra ai consorzi in materia di tutela e promozione dei marchi.
Una partita, insomma, quella dell’Asti ancora aperta, con posizioni forse fin troppo radicalizzate rispetto all’esigenza di una filiera che sappia fare squadra, tanto importante per prodotti come l’Asti spumante e il Moscato docg che quest’anno, nonostante crisi congiunture varie, venderanno quasi 100 milioni di bottiglie in Italia e nel mondo.
Un successo eclatante che insieme a notorietà commerciale e soldi ha sviluppato anche l’attività dei concorrenti. Il fatto è che il moscato può essere coltivato in ogni parte del mondo e, come in questo blog abbiamo dimostrato più volte, di vini a base moscato ce ne sono in ogni dove.
Diversa la situazione del marchio “Asti” a cui, querelle e polemiche a parte, si deve obbligatoriamente garantire un futuro. Per il bene dei vignaioli e della case spumantiere, certo, ma anche, in definitiva per il bene dell’intero Piemonte.
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Giunti a questo punto il problema non è di semplice soluzione. si sono fatte notevoli spese e qualcuno cercherà di recuperarle a scapito della realtà. Tutto è nato, secondo uno studio che ho fatto sulla vicenda, da un errata interpretazione del nome “Asti”. Una parte dei contendenti si è convinta che la parola “Asti” sia stata usata non in riferimento alla città, ma perchè la maggior parte dei comuni produttori di moscato fosse situato nella provincia di Asti, dimenticandosi però che il Consorzio dell’Asti Spumante nasce il 17.dicembre.1932 e prende il nome proprio dalla città di Asti, tantè che a simbolo del consorzio di tutela viene scelto il cavallo con cavaliere. Lo studio del marchio realizzato dall’artista astigiano Ottavio Baussano,diventò portavessillo non solo della città di Asti, ma anche dei vini tipici Moscato d’Asti e Asti Spumante.La provincia di Asti nasce solamente il 1.Aprile.1935 con regio decreto 297.Asti ha pertanto tutti i diritti, anche senza le direttive della comunità europea a far parte della zona tipica dei due prodotti. La delimitazione delle zone della città di Asti deve interessare le autorità competenti, non dimenticandoci che Alba è inserita nella zona tipica ma solo per le frazione di San Rocco Senodelvio e Madonna di Como.
Buon Moscato d’Asti
giovanni bosco
presidente CTM
@Felice: non mi risulta che il Comune di Asti si sia fatto o si faccia rappresentare dai legali di Zonin. Mi risulta invece che l’avvocato Gallo di Nizza, come ha detto lui stesso alla riunione di Canelli, rappresenti il Comune di Asti. Se lo pagano o no non credo che sia la questione centrale. Al netto di quello che dici tu, comunque, resta il fatto che l’Asti docg ha bisogno di azioni di tutela forti e immediate, indipendentemente dal fare entrare o meno Asti città nella lista dei Comuni del Moscato e dal fatto che il signor Zonin abbia, da questo, un beneficio. A me, come cittadino di questa parte del Piemonte, preme che si garantisca il futuro di un prodotto che ha rappresentato e rappresenta ancora una risorsa per l’economia locale che comprende industriali e vignaioli, giornalisti e geometri, consorzi e associazioni, politici e amministratori. Fuori da questo, mi dispiace, ma c’è il rischio che le contrapposizioni ci trascino verso un suicidio commerciale… esagero? Effetto Cina docet…
come al solito, piove sul bagnato. Mai che una norma europea venga incontro alla piccola imprenditorialità ed alla fantasia dei piccoli produttori italiani, ovunque essi siano
Tutto quello che viene detto mi suona assurdo, seppure vero, e spiega il muro di silenzio che il Comune di Asti continua a riservare, nonostante la varie trattative politiche faticosamente avviate, soprattutto quando si assiste ad un Comune che rinuncia ad agire, dando mandato incondizionato anche per propria difesa allo studio legale dei Zonin, tranquilli del fatto che la delibera non prevedeva “impegno di spesa per il Comune”…
un po’ come dire” lasciamo la nostra politica agricola in mano a dei tecnocrati, basta non avere spese…”
Cosa fa pensare che a quella giunta non era presente il Sindaco Galvagno..E viene da dire: se la norma europea sulle docg non è di ieri,se i piccoli sindaci ed i produttori del Moscato possono essere dei disinformati, che cosa ci sta a fare il Consorzio dell’Asti? Non mi sembra che di ciò si sia mai parlato nelle varie difese del Consorzio, almeno in questi termini, e mi piacerà poi sentire gli amici di Coazzolo a proposito. Quindi se fare tutela dell’Asti vuole dire accantonare milioni di euro sottratti agli agricoltori senza sapere cosa farne e stare dalla finestra ad aspettare le “verità” di due studi legali, direi che le dimissioni per l’intero Consorzio di “tutela” sono un passo obbligato. Se il problema era la dimensione, con molto meno dei 40 (?) mln di euro si poteva acquistare una azienda agricola a partecipazione dei 52 comuni per assoluta garanzia per la tutela del “vero asti” ove realmente prodotto, se il problema era mettere il prosciutto agli occhi ai burocrati europei.
non ho parole e mi preoccupa che tutto ciò stia passando nella quasi indifferenza generale.
Mi sembra un po’ quando a chi avvertiva del problema Cina, qualcuno scuoteva la testa sorridendo, ed ora a pochi anni di distanza, vediamo distrutto l’intero tessuto industriale italiano e con questo la nostra economia.
dobbiamo solo più giocarci l’agricoltura…
Caro Filippo,
la sostanza non la mettevo in discussione, specie riguardo ad Asti.
Convengo e ho scritto che restando fuori Asti dall’Asti di problemi potrebbero sorgerne, anche senza fare riferimento a Tocaij e Prosecco. Tutto qui.
Ciao e buon lavoro
Caro Mike,
per quanto riguarda il Tokai sto a quello che ha riferito, nella sua relazione, l’avvocato Carlo Alberto Demichelis della Jacobacci & Partners. Io ho sintetizzato, tagliando forse qualche passaggio giuridico, ma il risultato non cambia: gli ungheresi hanno tutelato il loro vino. gli italiani no. Anche sul caso Prosecco sto a quanto riferito da Demichelis e dall’avvocato nicese Gallo, che forse conoscerai, esperto di legislazione enologica. Ma anche qui invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia, che siano stati i giuliani a rivendicare o i veneti ad ampliare, il risultato è stata una blindatura della denominazione Prosecco con ampliamento della zona di produzione. Ed è questo l’esempio più calzante per al questione Asti così come è stata presentata dal Consorzio: di produttori di bollicine dolci docg ad Asti, che è fuori dall’area di produzione, non ce ne sono. Ma c’è la tenuta di Zonin, che in una frazione di Asti ha vigneti di moscato e potrebbe avanzare qualche pretesa qualora la città di Alfieri (ma anche di Conte e Faletti e della Saclà) restasse fuori dal disciplinare. Almeno questo è quello che sostengono Consorzio e avvocati vari. È questo il nodo da sciogliere…
Cordialità a che a te.
Caro Filippo,
le cose non stanno proprio così, riguardo al Tocai.
Il riconoscimento della DOP ungherese Tocai è stata contrattata dagli ungheresi ed ottenuta al termine dei negoziati di adesione all’UE nel 1993. Una volta ottenuta la denominazione gli ungheresi, una precisa norma dell’OCM Vino che impedisce di avere come nome di vitigno il nome di una DOP ha fatto sì che i produttori friulani, per i quali incredibilmente non era mai stato inserito il nome tocai nel catalogo nazionale delle varietà di vite autorizzata, dovessero rinunciare a questo nome nei tempi e nei modi che tutti conosciamo.
Il caso Prosecco è ancora parzialmente diverso: qui la frazione giuliana asserisce che il vitigno sia nato lì e ne rivendica il nome. Conseguentemente, se detta frazione non fosse stata inclusa nella DOC a base di uva GLERA (nuova denominazione dell’uva già prosecco), avrebbe ben potuto richiedere il riconoscimento di una DOC che, toponimo alla mano, non avrebbe potuto che suonare PROSECCO DOC con evidenti ricadute di mercato.
Il problema dell’asti che affaccia Ricagno lo conosco poco. Ma non mi pare che il rischio di perdere la denominazione omonima alla città di Alfieri sia concreto, a meno che, restando ASTI fuori dall’ASTI DOCG i produttori di dolci bollicine aromatiche dle capoluogo non chiedessero il riconoscimento di una DOC che avrebbe necessariamente un nome in conflitto con quella che tutti conosciamo.
Cordiali saluti.