La denuncia. “Né tonda né gentile”, ecco il docufilm sulla raccolta delle nocciole turche. Coldiretti Piemonte: «La concorrenza sleale al Made in Italy passa attraverso l’ombra della schiavitù»

inserito il 15 Ottobre 2020

Chissà che il docufilm/reportage di denuncia sulle nocciole turche e su come nel Paese di Erdogan, che una volta voleva entrare nella Ue, non ci si faccia problemi a ingaggiare raccoglitori con regole che in molti chiamerebbero schiavitù o sfruttamento (anche su minorenni), non apra le porte alla denuncia di tutti gli sfruttamenti che vengono perpetrati in molte parti del mondo, Europa compresa, Italia compresa, e anche in altri settori produttivi d’eccellenza italiani che hanno ramificazioni all’estero come.

Intanto qui di seguito il comunicato stampa con il quale Coldiretti Piemonte lancia il suo “j’accuse” nei confronti delle nocciole turche, che così tanta concorrenza fanno a quelle italiane, insieme al trailer del documentario.

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Il 95% della nocciola viene utilizzato per i prodotti dolciari e il 70% della sua produzione mondiale proviene dalla Turchia, il resto o poco più dall’Italia che è il secondo produttore a livello globale con una quota di mercato di circa il 12%. La Turchia, nel 2019, ha esportato le nocciole in 121 paesi per circa 320 mila tonnellate con un reddito di oltre 2 miliardi di dollari. L’Italia è al primo posto tra i paesi importatori facendo arrivare circa 84 mila tonnellate di nocciole turche con un valore di 548 milioni di dollari, seguono la Germania, leader degli ultimi 9 anni (73.476 tonnellate) e la Francia (22.719 tonnellate). E’ quanto emerge dal documentario “Né Tonda né Gentile” del giornalista Stefano Rogliatti, nato da un’idea di Coldiretti Piemonte e presentato alla stampa presso lo Starhotels Majestic a Torino.

“Dare voce a chi voce non ha mi fa credere nella mia professione, necessaria e utile sempre. Questa volta il viaggio mi ha portato in Turchia sulle coste del Mar Nero, nella capitale della produzione di nocciole. Qui nel mese di agosto arrivano più di 350000 lavoratori stagionali. A vederli da lontano sembrano persone serene, individui intenti a lavorare come tutti. Ma avvicinandomi inizio a scorgere che oltre agli uomini ci sono anche donne e minori tra gli alberi di nocciole, mani e ginocchia a terra 10 ore al giorno. Mi chiedono «secondo te ne vale la pena?» Non ho la risposta pronta ma dentro di me penso proprio di no. Testimoniare e accendere i riflettori sulla situazione precaria e disumana di centinaia di migliaia lavoratori gratifica il mio impegno. È solo un pezzo del nostro mondo ma drammaticamente situazioni simili non rimangono casi isolati”, afferma Stefano Rogliatti.

A livello nazionale, il Piemonte gioca un ruolo importante nell’ambito corilicolo con la nocciola Piemonte Igp, una eccellenza del patrimonio gastronomico piemontese e, dal punto di vista organolettico, di elevata qualità con numeri importanti: 2000 aziende con 23mila ettari di superficie coltivata, per una produzione totale media di oltre 200mila quintali. 

“Dietro ai dolci che mangiamo c’è un lavoro molto rischioso, senza tutele, senza contratto e svolto in condizioni di sostanziale schiavitù: è questo ciò che emerge forte e chiaro dal documentario di Rogliatti e che deve far riflettere – spiegano Roberto Moncalvo presidente di Coldiretti Piemonte e Bruno Rivarossa delegato confederale -. La nocciola turca, che fa concorrenza sleale al fiore all’occhiello del Made in Piemonte, viene prodotta con metodi estremamente diversi e rischiosi per la salubrità del prodotto, ne sono un esempio i metodi di raccolta in climi particolarmente umidi e, ancora di più, i sistemi di essiccazione molto rudimentali praticati addirittura lungo le principali vie di comunicazione. In queste condizioni è sicuramente inevitabile la maggior possibilità di contaminazioni del prodotto finale. Oltre a tutto ciò, è vergognoso quanto vengano pagati i lavoratori: neanche 10 euro al giorno per intere giornate fino anche a 15 ore e senza garantire le minime necessità della vita quotidiana, oltre a non fornire nessuna tutela sanitaria e previdenziale. Abbiamo voluto portare alla luce, attraverso questo documentario, quello che spesso per comodo, solo di certe industrie, non si vuole far emergere, ma riteniamo – concludono Moncalvo e Rivarossa –  sia una denuncia necessaria per far comprendere ai principali acquirenti l’importanza di sostenere la nostra produzione attraverso un’equa remunerazione dei corilicoltori, del loro lavoro e dei valori racchiusi nel prodotto stesso”.

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