Regione e Tartufo bianco d’Alba. Il Tuber Magnatum Pico (e non solo) come materia di studio nelle scuole. Il nodo del “nero” e della certificazione delle piante

inserito il 29 Ottobre 2019

Tartufo bianco non solo come premio per la gola (e anche per le tasche di chi lo raccoglie e vende), ma anche come materia di studio nelle scuole professionali piemontesi che si occupano di gastronomia. È la notizia di cui dà conto la nota della Regione Piemonte che pubblichiamo qui sotto. E c’è da sperare che questo sia solo il primo passo, perché sarebbe belle e utile che i ragazzi, oltre a Matematica e Fisica, Letteratura e Geografia, Storia e Arte, conoscessero, o almeno avessero una infarinatura, anche di altre “materie” come la vitivinicoltura e l’agricoltura per cui, non a caso, cambiando una vocale, diventano sorelle della cultura. Ecco, dunque, la nota regionale. Buona lettura.

Nel piano didattico degli istituti scolastici e delle agenzie professionali piemontesi  verrà sperimentato un momento limitato, ma denso di contenuto, sul tartufo, quello bianco d’Alba, ma sulla sua scia anche sui  tartufi neri e invernali, che costituiscono un tratto distintivo della gastronomia piemontese in tutto il mondo. In Piemonte, dalle osterie agli stellati, una galassia di professionisti sa come servire, selezionare, conservare, servire, abbinare e illustrare il prodotto. Queste capacità richiedono di essere diffuse, rafforzate, consolidate. Ecco perché si ritiene utile che le giovani leve presenti nel sistema formativo e scolastico regionale si accostino al “mondo del tartufo” e imparino a trasmettere ai turisti non solo un prodotto, ma un’esperienza, una storia di successo, un forte legame con territorio ed un volano per l’economia.

È questa una delle novità emerse nel corso della prima riunione della Consulta per la valorizzazione per patrimonio tartufigeno regionale, che, rinnovata a seguito dell’insediamento della nuova Giunta, ha iniziato i suoi lavori presieduta dal vicepresidente Fabio Carosso.

Tanti i temi affrontati, a partire alla costatazione di come nel corso del tempo si sia assistendo a una diminuzione della superficie destinata al tartufo nero, l’unico coltivabile, attraverso la tecnica della “micorizzazione” (associazione simbiotica tra il fungo e la pianta). In questo caso di tratta si stimolare la diffusione di piante che ben si prestino alla crescita del tartufo nero e di evitare che quelle esistenti vengano tagliate, magari prevedendo un più alto incentivo economico per i contadini che investono sul lungo periodo sulla produzione tartufigena.

Un altro problema preso in esame è stato quello della certificazione delle piante, procedura oggi non esistente in Piemonte. Per questo l’Ipla (Istituto piemontese per le piante da legno e l’ambiente) insieme al Cnr lavoreranno a delle linee guida per produrre delle piantine tartufigene di qualità e per la loro certificazione.

“Ci troviamo davanti a un lavoro molto impegnativo – ha concluso Carosso – con una visione di progetti a medio lungo periodo.”

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