«Gli altri comparti guardino al settore del vino per rilanciarsi», così l’assessore regionale all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, ieri ai microfoni di SdP. E a taccuini chiusi il titolare dell’assessorato alle Politiche agricole della Regione Piemonte aveva citato proprio il riso tra le agro filiere che non attraversano un buon momento.
Le notizie sul campo confermano. Tanto che Confagricoltura Piemonte ha diffuso una nota con cui annuncia di avere chiesto al ministro Maurizio Martina lo stato di crisi per la risicoltura piemontese.
Ecco il testo del comunicato: “L’Italia è il maggiore produttore europeo di riso, con una superficie dedicata di 234.134 ettari, 7.000 in più rispetto al 2015 (fonte: Ente Risi, 2016), concentrati soprattutto tra le province di Vercelli, Biella, Novara e Pavia. L’importazione selvaggia dai PMA (Paesi Meno Avanzati) è un problema che da anni mette a repentaglio il sistema produttivo ed economico italiano; tuttavia, a fronte di una situazione preoccupante, l’Europa non è stata finora capace di mettere un limite a questo fenomeno. Al tavolo del riso convocato in Regione, Confagricoltura Piemonte ha chiesto l’attivazione dello stato di crisi del comparto: “Abbiamo toccato il fondo – afferma Giovanni Perinotti, presidente di Confagricoltura Vercelli e Biella – e la politica non è stata capace di difendere la produzione nazionale”.
Si è passati da 10.280 tonnellate di riso entrato in Europa dai PMA nella campagna 2008/2009 a 511.648 tonnellate nel 2016/2017 (fonte: Commissione europea, gennaio 2017). Nel 2009 è entrato in vigore l’accordo EBA (Everything But Arms) tra la UE e 49 Paesi Meno Avanzati che ha soppresso i dazi aprendo la strada a importazioni indiscriminate di riso nel vecchio continente, in particolare da Cambogia e Myanmar (ex Birmania). Da quest’anno pure l’Ecuador ha la possibilità di inserirsi a dazio zero con un quantitativo di 5.000 tonnellate.
“Con la richiesta dello stato di crisi al Ministero delle Politiche Agricole – spiega Paola Battioli, presidente di Confagricoltura Novara e VCO – sollecitiamo una procedura d’urgenza per questo annoso problema, finora trascurato. Le nostre richieste sono di porre fine all’import massiccio a dazio zero e di introdurre l’etichettatura obbligatoria, in modo da rendere chiara l’origine del prodotto”. Attualmente, infatti, l’indicazione “Made in Italy” può essere apposta anche sul riso confezionato in Italia ma coltivato altrove.
Dall’incontro in Regione la richiesta dell’attivazione del tavolo nazionale di filiera per accelerare le procedure sulle istanze del comparto è stata unanime”.
Poi c’è il j’accuse della Coldiretti che conferma critiche su importazione selvaggia e accusa Ente Risi di essere suddito delle aziende.
Ecco la nota ufficiale Coldiretti: “Sono passati quasi 70 anni dal celebre film “Riso Amaro”, diretto da Giuseppe De Santis, e ritorna in forma diversa, ma non meno drammatica, una stagione amara per il mondo della risicoltura.
Invasione di riso dell’Oriente: dal più 489 per cento degli arrivi dal Vietnam al più 46 per cento dalla Tahilandia. E’ quanto emerge da un’analisi di Coldiretti su dati Istat.
“Questa situazione non è più ammissibile – evidenzia Paolo Dellarole presidente di Coldiretti Vercelli e Biella con delega al settore risicolo – Il fatto che i dazi non vengano più pagati, perché l’Ue ha introdotto il sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA, sta agevolando solo le multinazionali del commercio. A farne le spese, invece, sono le nostre imprese risicole che stanno subendo pesanti ricadute economiche”.
L’Italia è il primo produttore europeo di riso con un territorio di 237 mila ettari ed un ruolo ambientale insostituibile, oltre ad opportunità occupazionali.
Il riso, oltretutto, ricorda Delia Revelli presidente di Coldiretti Piemonte – è un alimento fondamentale nella dieta: ha, infatti, elevate proprietà nutritive, è ricco di potassio mentre ha basso contenuto di sodio e di grassi. A sostegno delle imprese del comparto, è urgente quindi che gli organi di competenza, quale l’Ente Risi, assumano una posizione chiara e si intervenga in tempi brevi per rendere obbligatoria una normativa sull’etichettatura di origine. Il Piemonte detiene una superficie risicola di oltre 116 mila ettari, 1.100 aziende ed una produzione di 8 mila quintali.
Le industrie devono uscire una volta per tutte – sostiene il Delegato Confederale Bruno Rivarossa – allo scoperto e dire in modo chiaro se vogliono o meno la trasparenza con l’etichettatura di origine obbligatoria. Nel comparto esistono comportamenti da basso Medioevo. Basta con le speculazioni degli industriali che, oltre a pagare a poco prezzo il risone, obbligano le imprese a stoccare nei loro magazzini il prodotto generando forme di vincolo inconcepibili e non più accettabili.
L’Ente Risi – conclude Rivarossa – oggi è così un ente che ha abbandonato il proprio ruolo di difesa delle produzioni di riso italiano per una sudditanza palese verso le lobby industriali”.
Insomma i nodi da sciogliere sono essenzialmente due: stop ad importazione selvaggia di riso straniero e obbligo per le aziende di indicare in etichetta l’origine del prodotto.
In questo senso il suggerimento di Ferrero potrebbe essere seguito.
Una notizia buona per il riso piemontese c’è ed è di tema ambientale.
La Regione Piemonte la annuncia così: “Nelle aree risicole piemontesi si riduce l’inquinamento delle acque superficiali grazie alle restrizioni sull’impiego di quattro prodotti fitosanitari. È quanto emerge dai primi dati sul monitoraggio ambientale regionale relativo al 2016 e realizzato dall’Arpa Piemonte. In generale si evidenzia un calo dei riscontri analitici di 4 pesticidi analizzati, per cui le concentrazioni medie risultano scese drasticamente, ponendosi molto vicino al limite (0.1 µg/l) ammesso dalla legge.
I prodotti fitosanitari sul cui impiego la Regione Piemonte ha imposto restrizioni, a partire dal febbraio 2016, sono due erbicidi – oxadiazon e quinclorac – e due fungicidi – azoxistrobina e triciclazolo. La concentrazione media dell’oxadiazon, l’erbicida più utilizzato dai risicoltori in quanto efficace per il contenimento delle malerbe, rispetto al triennio 2012-13-14 risulta diminuita del 50%, con valori medi di concentrazione molto prossimi alla soglia di riferimento. Quanto al quinclorac, si riscontra solo nel 50% dei punti di prelievo, con valori medi di concentrazione ridotti dell’80% rispetto agli anni precedenti e comunque molto prossimi alla soglia.Il triciclazolo si riscontra ancora in un numero esiguo di punti di prelievo, con valori medi inferiori alla soglia di riferimento. Per concludere, l’azoxistrobina non si ritrova più in alcun punto di monitoraggio.
Gli assessori regionali all’Ambiente, Alberto Valmaggia, e all’Agricoltura, Giorgio Ferrero, hanno espresso grande soddisfazione per i risultati ottenuti. “La collaborazione che si è creata con i risicoltori – hanno commentato gli assessori -, grazie anche al protocollo d’intesa sottoscritto dalle parti, evidenzia come sia possibile utilizzare in modo sostenibile i prodotti fitosanitari rispettando l’ambiente” .
Beh, se stanno così le cose indicare l’origine del riso in etichetta e, magari, sottolineare la sostenibilità della coltivazioni sarebbe davvero un plus.
Che si aspetta a farlo?
SdP