I tarocchi agroalimentari hanno colpito ancora. Lo ha comunicato, per la verità un po’ in ritardo, Il Giornale che con un’intera pagina, prendendo spunto dai finti gianchetti (pesciolini indigeni del Mar Ligure) scoperti in quel di Genova , e che erano, invece, di provenienza cinese, si è prodigato in una filippica sul falso made in Italy. In realtà si tratta di una di quelle notizie che si potrebbero definire “periodiche”. È, infatti, da tempo che in giro per il mondo copiano i prodotti alimentari italiani.
Ne sanno qualcosa quelli dei consorzi di tutela dell’Asti spumante, del Gorgonzola, del Parmigiano Reggiano o del Grana Padano, da anni impegnati nella lotta contro spumanti “Tipo Asti” fatti in Sud America e formaggi simil-italici prodotti in Austria o Germania.
C’è poi anche il cosiddetto “italian sound”, quei prodotti stranieri, cioè, che nelle denominazioni imitano il suo delle denominazioni italiane. Come il Parmesan tedesco o il Combozola austriaco.
Ci sono poi le vere frodi, come i tartufo cinese spacciato come umbro o, appunto, i peschi ghiaccio, sempre della Cina, venduti come gianchetti liguri.
Ora la lotta ai falsari del cibo si fa con gli avvocati e i trattati internazionali. Non basta gridare allo scandalo ogni sei mesi.
Poi la gente va educata. Un olio che costa meno di tre euro al litro non è olio, una bottiglia di vino che costa poco più di un euro non è vino. Insomma consumiamo un po’ di meno ma meglio.
Sennò finiamo a copiare gli involtini primavera.
Fate Vobis.
Filippo Larganà – filippo.largana@libero.it