Il vino più caro è anche il più buono? La griffe giustifica qualità e, soprattutto il prezzo della bottiglia? Ecco i risultati di una estemporanea degustazione… alla cieca.Tutto comincia con una telefonata che ci invita ad una degustazione particolare. La cornice è una piccola cantina, in cima ad una delle colline piemontesi del vino, nel cuore della zona di produzione della Barbera d’Asti.
Attorno ad un tavolo, per questa nostra prima degustazione alla cieca, ci ritroviamo insieme ad altri cinque “assaggiatori in cerca d’autore”: il padrone di casa, enologo, viticoltore e produttore di vini; un enologo collaboratore, winemaker di vini anche all’estero, e tre enotecari della zona del Cuneese.
Allineata una ventina di bottiglie ognuna delle quali avvolta da carta stagnole e senza capsula, in modo da non fornire indizi sul produttore.
Il padrone di casa le ha suddivise in due batterie: le prime nove sono di Barbera d’Asti base, prezzi tra i 7 e i 16 euro; le altre dieci di Barbera d’Asti Superiore Nizza, prezzi tra gli 11 e i 20 euro. Tutte sono state acquistate in enoteche e botteghe della zona.
Distribuiti fogli e penne, per fissare le proprie valutazioni, e messi in tavola grissini e acqua, per dare sollievo al palato bombardato da così tanti vini tutti insieme, si parte con gli assaggi.
Il primo Barbera d’Asti base, ai più, appare deludente, colore torbido, profumi e sapore indefinibili. Sarà punito da quasi tutti i degustatori anche se qualcuno lo troverà stimolante.
L’ultimo vino della batteria della tipologia Superione piacerà a tutti e, solo alla fine, si scoprirà essere un uvaggio (Merlot e Cabernet) prodotto da un’azienda turca (mamma li turchi!) per cui lavora l’enologo che collabora con l’azienda che ci ospita e che ha voluto farci un tiro mancino. E noi di Sdp, che non siamo degustatori professionisti, avevamo individuato il calice del vino “foresto”. Fortuna o sensazione corretta? Mah, vallo a capire.
In ogni caso tra questi due vini c’è stato un’arcipelago di discussioni e sensazioni che ha portato a risultati sorprendenti.
Dalla informale, e assolutamente non ufficiale, degustazione “cieca” sono uscite con parecchie ossa rotte soprattutto i grandi nomi, sconfitti sul terreno più insidioso e appetibile, quello della Barbera d’Asti base.
Al top sono risultate le “piccole” etichette, quelle meno note e meno presenti su guide e liste varie. Evidentemente più avvezze a confrontarsi sul primo gradino della piramide commerciale, hanno affinato tecniche e produzioni.
L’andamento sensoriale per i nove vini presi in esame è stato ondivago, con ottimi vini, ma anche vini non maturi, scostanti e persino lontani dalla tipologia dell’uva.
Discorso diverso sulla Barbera d’Asti Superiore Nizza.
Intanto la qualità media è sempre stata alta e abbastanza omogenea. Le griffe hanno avuto la loro rivincita, ma i “piccoli” si sono battuti bene piazzandosi nei primissimi posti.
Insomma un pari “ai punti” ci sta.
La morale: l’equazione: il vino più caro è il migliore, non è vera. E non è vera anche l’altra equazione secondo la quale un vino famoso è anche buono. Ci sono, infatti, fattori che condizionano fortemente il consumatore: il blasone della maison vinicola, il suo appeal mediatico, il prezzo.
Nascoste queste caratteristiche di marketing il duello tra produttori vinicoli torna alla pari e spesso Davide batte Golia. Con buona pace di portafoglio e palato.
Banalità? Abbiamo scoperto l’acqua calda? Può darsi. Però è stato divertente toccare con mano, anzi con bocca.
Infine un consiglio: un consumatore consapevole fa bene ad affidarsi a guide e media. Ma, in ultima analisi, fa meglio a fidarsi di un un ultimo e inappellabile giudice: il suo gusto.
Sdp
Già ma l’importante è bere e poi scusate se abbiamo la fortuna di bere benissimo a poco non è meglio, mica dobbiamo comprare le bottiglie sulle guide come purtroppo spesso devono fare i “foresti” , si va , si assaggia , si compra, non si compra e si passa al prossimo, spesso manco a 2 km , il problema piu’ grosso sono gli orari delle cantine che spesso coincidono con quello d’ufficio!
Per tutte le Barbere! Concordo quasi su tutto, Caro Adrian. Epperò dai “grandi” mi sarei oggettivamente aspettato di più. Oltretutto son gente che non ha problemi a veder cara la pelle… pardon, la bottiglia.
Sono convinto che, degustati alla cieca, molti altri vini riserverebbero sorprese…detto questo e considerando che l’argomento, se analizzato in ogni sfumatatura, porterebbe via pagine intere anche in blog….mi limito a qualche considerazione…la prima che il “Nizza” ha una qualità media superiore soprattutto perchè i produttori aderenti si sono dati l’ottima regola di assaggiarsi i vini a vicenda, giudicandoli e trovando i difetti….lo scambio di opinioni ed esperienze non può che far crescere tutti…magari succedesse con l’Asti Spumante….E’ storia non nuova che esistano Barbera molto più buone di quelle celebri, prodotte da piccole e sconosciute cantine, il problema è che quasi sempre sono disponibili in poche centinaia o quando va bene 2/3.000 bottiglie….il che equivale sul mercato nazionale ed internazionale ad una goccia nel mare…..quelle “famose” lo sono diventate anche perchè ad ogni annata hanno saputo mantenere una media qualitativa buona se non ottima….poi le Guide, a cominciare da quella del Gambero Rosso oggi orfana di Slow Food, alla Barbera d’Asti oggettivamente non ha mai regalato nulla….anzi……tutte le Guide in generale che assegnano punteggi, hanno la mania di andare a cercare vini che sono certamente buoni….ma che poi nessuno riesce a trovare, in quanto prodotti in quantitativi risibili. Ultimamente si sono “accorte” che il rapporto prezzo/qualità diventava sempre più un parametro di scelta fondamentale per il consumatore sfiancato dalla crisi economica ed allora hanno cambiato un pò impostazione. Per non farla troppo lunga, sono d’accordo sul fatto che il consumatore deve abituarsi ad un approccio più personale e non troppo influenzato da mode e sentito dire sulla Barbera e qualunque vino…la settimana scorsa molti hanno “scoperto” da Beppe Francese che la Barbera vivace è buona con la pizza (e non solo) per anni molti si comportavano come dei carbonari per berla con i tajarin ed i produttori del Monferrato Casalese si vergognavano di produrla….Spezzo infine una lancia a favore delle aziende vitivinicole nostrane (per la verità non molte) che hanno raggiunto una fama non solo regionale con la Barbera, qualche merito ce l’hanno, intanto hanno creduto in questo vino quando aveva l’immagine vicino alla zero e poi hanno lavorato sodo nel migliorarlo, farlo conoscere anche all’estero, impostando perchè no una politica di prezzo che l’allontanasse dalla guerra al ribasso che non porta da nessuna parte…..poi sul futuro è difficile scommettere..