Il pretesto per l’intervista a Gaia Gaja, primogenita di Angelo Gaja, “Giove Tonante” dell’enologia italiana come qualcuno lo ha soprannominato, la dà l’anticipazione di Wine Spectator dove si parla della scelta, a vent’anni da quello che per alcuni fu uno strappo, di tornare alle denominazione Barbaresco dop per tre crus della maison piemontese: Costa Russi, Sorì Tildin e Sorì San Lorenzo (leggete qui).
Angelo Gaja, due decadi fa, aveva deciso di denominarle Langhe doc. E bon, come si dice in Piemonte. La decisione di tornare alla denominazione Barbaresco con la dop, che vale la docg, è stata presa, in accordo col padre, dai figli Gaia, Rossana e Giovanni, tutti e tre impegnati nell’azienda di famiglia.
«Ma non c’è nessuna decisione epocale. Solo un ritorno al presente» spiega la primogenita di Angelo Gaja che chiarisce: «Per quanto riguarda questi vini cambierà solo l’etichetta. Non ci sarà nessuna azione di marketing a sottolineare la nuova denominazione che, secondo la filosofia scelta da me e dai miei fratelli, è l’evoluzione naturale per vini fatti al 100% da uve nebbiolo».
Quindi il discorso si sposta sulle potenzialità del Barbaresco. «Un vino che per anni è stato considerato il “fratello minore” del Barolo. Oggi, invece, ha una sua personalità che si sta accreditando sempre di più sui mercati nazionale ed esteri. Le sue note di eleganza e delicatezza ne fanno un vino di approccio non complicato che, nello stesso tempo, mantiene le caratteristiche dell’uva nebbiolo. Io ci vedo un grande futuro».
E il Piemonte del vino? «Oggi fa più squadra che in passato ed è soprattuto merito dei giovani imprenditori che si applicano con competenza e determinazione» sostiene Gaia Gaja che non nasconde qualche perplessità alle gestione del territorio legato al riconoscimento Unesco ai Paesaggi Vitivinicoli Piemontesi diventati il 50° sito italiano Patrimonio dell’Umanità. «Ero convinta che il riconoscimento desse impulso a nuove regole a difesa del paesaggio. Fino ad ora, però, si è mosso poco. Spero ci si applicherà di più. Noi produttori di vino – dice la giovane imprenditrice – raccontiamo il nostro prodotto e le vigne da cui proviene, ma il nostro territorio va preservato perché è unico al mondo e perché è davvero patrimonio di tutti e un valore aggiunto che fa bene non solo al mondo del vino».
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)