Cuore cervello e cantina a Canelli; braccia, radici, vigneti e grappoli a Bossolasco nel cuore dell’Alta Langa. Contratto, una delle Case spumantiere storiche della città culla e patria dello spumante italiano, cambia pelle puntando alle sue radici, cioè al Piemonte.
Spiega tutto in un’intervista eslusiva a SdP, a pochi giorni da Vinitaly, Giorgio Rivetti, enologo, vignaiolo di una famiglia di vignaioli (i “suoi” sono quelli della Spinetta di Castagnole Lanze con vigne anche nella zona di Barolo e in Toscana) ovviamente un innamorato del vino e frontman di un gruppo tra i più attivi e innovativi in un panorama vinicolo piemontese che sempre di più appare cristallizzato e immobile. A cinque anni esatti dall’acquisizione della Contratto da Carlo Bocchino (leggi qui) che nel 1993 a sua volta l’aveva rilevata dalla famiglia Contratto, Rivetti svela un progetto a suo modo rivoluzionario che ha al centro la storica maison canellese e un’idea: «Cambiare la denominazione di tutti gli spumanti brut Contratto in modo da produrli esclusivamente con le uve coltivate in Alta Langa. Ci vorrà del tempo. Bisogna seguire gli iter della legge. Ma confidiamo di arrivarci in 5/6 anni. Quella dei piemontesi che non sanno fare vini bianchi è una bufala. E non dimentichiamo che lo spumante italiano è nato a Canelli».
40 ettari in Alta Langa
Per concretizzare il progetto Giorgio Rivetti e la sua famiglia hanno acquisito una quarantina di ettari di terreni in Alta Langa. Appezzamenti che storicamente erano destinati a vigne di dolcetto e che, negli anni, si erano trasformati in prati e coltivazione di erba medica. «Torneranno ad essere vigne di pinot nero e chardonnay atto a fare spumanti brut con la denominazione Alta Langa» conferma. La scelta di Contratto non è di poco conto in un mondo come quello spumantistico piemontese che storicamente ha attinto all’Oltrepò Pavese, vedi il President Riccadonna e il Pinot di Pinot Gancia tanto per citare due brut noti e d’annata. «Tuttavia – annota Rivetti – con i terreni che ci sono in Alta Langa si può pensare a bollicine brut al 100% piemontesi. Gli appezzamenti esistono e non costano né poco né moltissimo. E hanno posizione stupende. I nostri sono compresi tra i 650 e gli 800 metri. Abbiamo avviato i lavori di impianto di 7 ettari, altri 20 e 15 seguiranno nei prossimi anni. Noi abbiamo portato qui anche occupazione, investimenti e reddito. È quello che devono fare gli imprenditori piemontesi del vino. Perché restare legati ad una zona, investire solo, per esempio, nell’area del Barolo o del Barbaresco. C’è molto Piemonte da valorizzare. È una sfida esaltante che mi entusiasma molto» ammette Rivetti. E a chi gli fa notare come, Alta Langa a parte, già esistano spumanti a base di uve autoctone, come il Cortese o il Nebbiolo, replica: «L’Alta Langa è una docg che ci invidiano in molti. Bisogna solo farla conoscere. Contratto ha per l’80% il suo business all’estero. Chi dice che l’Alta Langa non si vende all’estero sbaglia. È lì che bisogna puntare, ma caratterizzando al massimo le nostre bollicine che non devono imitare il Prosecco, ma semplicemente essere sé stesse. Il nostro progetto di Bossolasco va proprio in questo senso».
Il futuro
Poi il discorso si allarga sulle prospettive degli spumanti piemontesi in Italia e all’estero: «L’ho già accennato: il segreto è essere sé stessi. Non prosecchizzarsi, perché quelli del Prosecco fanno già bene per loro conto, ma ritrovare proprie caratteristiche territoriali. È quello che piace in Italia e all’estero». Insomma tornare ad essere piemontesi doc? «Esattamente. Franciacorta è Franciacorta, lo Champagne è Champagne e l’Alta Langa deve essere orgogliosamente sé stessa. Senza se e senza ma. Così i risultati arrivano di sicuro. Il guaio è che l’Alta Langa è stato sempre percepito come il contorno di aziende che fanno vino. Invece deve essere il piatto forte di imprese specializzate in bollicine. Contratto fa solo spumanti. Bisogna crederci. Noi ci crediamo. E tanto».
E per l’Asti docg…
Bene per i brut, ma per l’Asti docg, le bollicine dolci piemontesi “più brindate al mondo” come recita uno slogan, sono ancora dolori. Le vendite sono a un punto critico, sotto i 60 milioni di bottiglie, il Consorzio di Tutela è nella bufera, Case spumantiere e produttori di uve sembrano su posizioni distanti anni luce e c’è già chi parla di rese per ettaro decurtate del 40% alla soglia limite di 65 quintali per ettaro. Rivetti sospira: «Per l’Asti è complicato – ammette -. Ci sono due grandi forze, Case spumantiere e produttori di uva, che non si comunicano tra loro. I primi devono fare business e tenere i mercati che oggi sono aggrediti da molte tipologie di spumanti simili a basso costo; i secondi vorrebbero aumentare il reddito, alcuni aumentando la produzioni altri aumentando il prezzo delle uve. Bisogna avere voglia di trovare un punto di equilibrio. Il punto di partenza deve essere la qualità, senza compromessi, delle uve e dell’Asti. Con questi presupposti si può pensare di risalire la china. Senza sarà difficile».
Filippo Larganà (filippo.largana@libero.it)
Buongiorno,
Non c’e’ ombra di dubbio …non posso dire di essere un esperto in materia… con molto piacere mi sento di scrivere queste poche righe per dire che e’ un ottima idea …Bravo.
Dario