Il pretesto, alcune settimane fa, è stata una passeggiata tra i filari di barbera in quel di Agliano Terme, nell’Astigiano. Si è parlato di vendemmia, di uva, di mercati. Alla fine si è finiti a discutere del futuro della Barbera.
L’iniziativa è stata organizzata dalla Cia (coltivatori) astigiana. Tra gli invitati anche Giuliano Noè, enologo di lungo corso, “dottore del vino” tra i più apprezzati, di grande esperienza e “papà” di molti vini piemontesi. Alla base della discussione il fatto che la Barbera piemontese non goda della fama e della salute commerciale che meriterebbe. Ci sono, sì, grandi eccellenze, ma la grande maggioranza della produzione, secondo molti analisti, è svilita con ricadute negative sui vignaioli che si ritrovano redditi ad ettaro non proprio dignitosi.
In questo senso Giuliano Noè ha lanciato l’idea di un riallineamento della Barbera piemontese sulla falsa riga, ancora una volta, dei cugini francesi. «Il concetto – ha spiegato – dovrebbe essere quello del Grand Ordinaire, la denominazione che in Francia raccoglie grandi vini quotidiani la cui caratteristica è avere un rapporto qualità prezzo onesta e calibrata tra costi di produzione ed esigenze di mercato». La Barbera piemontese, secondo Noè, potrebbe proprio fare da apripista, «magari cambiando nome e facendo riferimento alla grande tradizione del Piemonte in fatto di grandi vini quotidiani» ha annotato l’enologo.
Ora la palla potrebbe passare al Consorzio di Tutela condotto da Filippo Mobrici. E ci sarebbero già Cantine vinicole disposte a sperimentare questo nuovo corso barberista. Un fatto è certo, la Barbera piemontese non può e non deve essere venduta a prezzi troppo bassi come può capitare di vedere nella grande distribuzione in Italia e all’estero. Del resto, come dice uno dei nuovi slogan del Consorzio di Tutela, la Barbera ha storie da raccontare. Bene, facciamogliele raccontare.
SdP